Ecco gli argomenti in evidenza sui quotidiani in edicola oggi, venerdì 3 agosto.
Politica Interna
Presidenza Rai, Foa rimane in campo Salvini: nessuna retromarcia. È stallo nel consiglio di amministrazione della Rai dove ieri Marcello Foa, il presidente bocciato dalla commissione parlamentare di Vigilanza, ha guidato la riunione nelle vesti di «consigliere anziano». Ai colleghi ha detto di essere «ancora in attesa di indicazioni dell’azionista» e che nel frattempo continuerà «a coordinare i lavori del cda» per anzianità. Per Salvini, Foa resta «assolutamente» il candidato-presidente anche a costo di rompere con Berlusconi. «Se il mio nome per la presidenza Rai resta quello di Marcello Foa? Assolutamente sì. Io guardo se una persona vale. Mi devono dare una giustificazione valida per dire “no”. Che Forza Italia preferisca il Pd alla Lega e a un giornalista come Marcello Foa è surreale. A Silvio dico: andare contro il cambiamento è una scelta, ma ad ogni scelta corrispondono delle conseguenze».
Naturalmente la reazione di Forza Italia è immediata. I segni di irrequietezza su entrambi i fronti sono palpabili. E i parlamentari di più lungo corso lasciano capire che bisognerà attendere settembre e la ripresa dei lavori per capire cosa ne sarà dell’anomala alleanza. Il piano attendista del ministro dell’Interno si scontra anche con le preoccupazioni del M55. Luigi Di Maio, che aveva detto sì al ritorno in campo di Foa «solo se c’è accordo», vive con crescente disagio l’imbarazzante stallo ai piani alti di viale Mazzini. In virtù del patto di ferro che lo lega al leader del Carroccio, il vicepremier pentastellato non forzerà la mano e non cercherà lo scontro, ma certo non approva che «una questione tutta interna al centrodestra», blocchi le nomine al vertice del servizio pubblico. Per Di Maio la soluzione va trovata in fretta, perché la prima azienda culturale del Paese deve riprendere a funzionare sotto le insegne gialloverdi e deve avere, ripetono i grillini, «un presidente autonomo dalla politica». I Cinque Stelle aspettano che Salvini batta un colpo e sperano che anche il Cda si assuma le proprie responsabilità, magari scegliendo il presidente al proprio interno tra i consiglieri Giampaolo Rossi e Riccardo Laganà.
La strage di Bologna: 38 anni dopo. “Uno Stato che non cerca la verità fino in fondo non si può dire Stato. Io sono qui per dirvi che ora lo Stato c’è al cento per cento”. Parla a braccio il presidente della Camera, Roberto Fico. Si rivolge alla piazza gremita di folla che da 38 anni si ostina a chiedere giustizia per gli 85 morti e i 200 feriti colpiti da una bomba alla stazione mentre andavano in vacanza. Quella stessa piazza che ha fischiato ministri di ogni colore e che non risparmiò neppure Giuliano Amato. Nessuna contestazione invece, anzi applausi per Fico che ha fatto di tutto per non mancare l’appuntamento nel quale i Cinque Stelle si sono presentati a Bologna con la promessa di una svolta e hanno lanciato, di fatto, una sorta di Opa sulla commemorazione. C’è il ministro della giustizia Alfonso Bonafede che denuncia i «30 anni di negligenze» dello Stato e promette di «accendere un faro su verità inconfessabili». È il Presidente Sergio Mattarella a ricordare nel suo messaggio che «restano ancora zone d’ombra da illuminare». Sono stati condannati gli esecutori e individuata la matrice neofascista dell’attentato, sottolinea il Capo dello Stato, ma «le sentenze hanno anche individuato complicità e gravissimi depistaggi». Le zone d’ombra, come dice il presidente della Repubblica Mattarella, ci sono e sono tante. A cominciare da quella che copre i mandanti della strage. A 38 anni dalla bomba che uccise 85 persone, ne ferì 200 e calò la saracinesca sul decennio della «strategia della tensione» avviato con la strage di piazza Fontana, non sappiamo chi e perché ordinò quella carneficina. Le ulteriori indagini non hanno portato a niente di concreto, finché adesso un nuovo dibattimento a carico di Gilberto Cavallini – altro componente dei Nar ma di estrazione diversa da Mambro e Fioravanti, sia per origine che per età, particolare non irrilevante per questa categoria di terroristi neri – e una nuova istruttoria avocata dalla Procura generale di Bologna hanno riaperto qualche flebile speranza.
Politica Estera
Dalla Russia 16 mila tweet Ong, Ue e Pd nel mirino. Domenica 27 maggio, a partire dal tardo pomeriggio, il capo dello Stato Sergio Mattarella inizia a fare i conti con il lato deteriore dei «social network». Senza che fosse chiaro come e da dove sia partito l’ordine, migliaia di profili di Twitter iniziano improvvisamente a bombardare la Rete con la stessa parola d’ordine: #MattarellaDimettiti. Non era il frutto di un’operazione trasparente, ma venne chiaramente coordinata con cura: lo si intuiva dall’attivismo di tanti snodi digitali, molti dei quali anonimi e tutti impegnati a far crescere il più in fretta possibile il rumore di fondo attorno allo slogan prescelto. In quel momento un dettaglio sfuggiva a tutti: almeno una ventina dei profili di Twitter coinvolti nella campagna digitale contro il capo dello Stato avevano una storia controversa. Nel passato recente quei profili su Twitter, che appartengono a italiani del tutto ignari, erano stati usati una o più volte dalla Internet Research Agency (Ira) di San Pietroburgo per far filtrare nel nostro Paese la propria propaganda a favore dei partiti populisti, dei sovranisti e degli anti-europei. In realtà, dall’analisi del materiale allegato all’indagine dell’Fbi sul Russiagate, si scopre che miravano a screditare il governo Renzi nel suo complesso. E, dall’altra parte, a esaltare l’attuale ministro degli Interni, Matteo Salvini, oltre che ha amplificare tweet su temi “classici”, come il contrasto alle migrazioni e alle sanzioni della Russia. Ma perché a San Pietroburgo si occupavano di Poletti, Renzi e Salvini? C’è un secondo aspetto interessante sul quale, in queste ore, stanno lavorando anche i nostri servizi: la cerchia dei profili russi. I profili fake, infatti, venivano ritwittati da altri profili – questi sì con molti follower – che avevano target precisi: simpatizzanti di Lega e 5 Stelle, che per lo più pubblicavano notizie contro i migranti o i vaccini. L'”effetto eco”, così, era comunque garantito. Ora bisognerà capire se c’era un collegamento diretto tra questi ultimi account e l’Ira di San Pietroburgo. Il governo rimane indifferente ed esclude l’ipotesi che Lega e M5S abbiano ottenuto il successo elettorale grazie alle fake. Immediata, invece, la reazione del Pd, che invoca l’istituzione di una commissione d’inchiesta.
Il Papa cambia il Catechismo: pena di morte mai ammissibile. No tranciante di Francesco alla pena di morte: ha modificato un paragrafo – il 2267 – del Catechismo della Chiesa cattolica per qualificarla come «inammissibile. «La Chiesa insegna alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona». La svolta di papa Francesco riscrive il Catechismo ed elimina tutte le eccezioni. «La nuova dottrina – ha stabilito Bergoglio – si applica in tutto il mondo». La novità è netta: pur avendo abbandonato da tempo la dottrina tradizionale della liceità indiscussa della pena di morte (lo Stato Pontificio la praticò fino alla vigilia del 20 settembre 1870 e il codice penale vaticano la previde fino al 1969), gli ultimi Papi si erano limitati a sconsigliarne l’applicazione senza mai proclamarla «inammissibile». Questo è il nuovo testo approvato da Papa Bergoglio, esplicito anche nel riferimento alle formulazioni precedenti: «Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità fu ritenuto una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune». «Oggi – continua il nuovo testo – è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi». C’è però un altro dato che sta scritto nella lettera con cui il cardinale Ladaria, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha trasmesso ai vescovi il rescritto papale: ha scritto che la posizione di Francesco «non è in contraddizione con gli insegnamenti anteriori del Magistero», giacché il precedente possibilismo si collocava in un «contesto sociale» diverso e in un ambiente «in cui era più difficile garantire che il criminale non potesse reiterare il suo crimine».
Economia e Finanza
La Camera approva il decreto Dignità. Alle 11 di sera il decreto «Dignità», primo vero atto di legge del governo di M5S e Lega, viene approvato dalla Camera con i voti della maggioranza. A Montecitorio il margine è ampio: i sì sono 312, i no 190, un solo astenuto. Un risultato in linea, al netto delle assenze, con la fiducia al governo di due mesi fa, quando i favorevoli erano stati 350, i contrari 236, gli astenuti 35. Adesso il testo passa al Senato, dove il governo punta all’approvazione entro la prossima settimana, prima della pausa estiva. I tempi sono strettissimi e quindi non ci dovrebbero essere modifiche. Nell’ultima seduta sono stati approvati dei ritocchi proposti delle opposizioni, in cambio del ritiro di molti emendamenti, in modo da chiudere la discussione nei tempi previsti, anche per la diretta tv del voto finale. Oltre che contestare i contenuti del decreto, i partiti della minoranza hanno lanciato al governo accuse di «fiducia mascherata» e di aggiramento del ruolo del Parlamento. Tra le novità introdotte, un mini bonus per le aziende che assumono a tempo indeterminato, sanzioni da due a quattro volte i benefici per le aziende che delocalizzano prima dei cinque anni dall’incasso delle agevolazioni pubbliche, l’estensione dei voucher a piccoli alberghi e imprese agricole, l’esenzione delle famiglie dai maggiori costi dei contratti per colf e badanti. Ma anche l’applicazione di un logo “no slot” agli esercenti che eliminano le macchinette, l’obbligo di tessera sanitaria per giocare. E la scritta sui tagliandi Gratta e Vinci, sugli apparecchi e nei locali che li ospitano: “Il gioco nuoce alla salute”, come fossero sigarette (emendamento del Pd). Inasprite le sanzioni per chi viola il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo e di sponsorizzazioni (dal 2019): multe del 10%, con un minimo di 50 mila euro. Inserite anche le deroghe per le maestre con diploma magistrale ante 2001-2002 e dunque prive di laurea: potranno insegnare, nonostante lo stop del Consiglio di Stato, i contratti però diventano a tempo e sono prorogati al 30 giugno 2019. Eliminato infine il limite dei 36 mesi per gli insegnanti precari, chiesto dall’Europa.
L’incognita manovra fa volare lo spread, slitta il vertice sui conti. È bastata l’indiscrezione di un vertice di governo sulla legge di Bilancio, che poi non si è svolto, a far tornare il nervosismo sui mercati. La Borsa di Milano, ieri, è stata la peggiore in Europa, con l’indice Mib in calo dell’1,73% e il differenziale tra i Btp e i titoli tedeschi è tornato a 250 punti base, lo stesso livello di fine giugno. In chiusura lo “spread” si è leggermente ridotto ed i tassi di interesse, che lo avevano infranto, sono tornati sotto il tetto del 3%. II mercato azionario, già teso per l’innalzamento dello scontro sui dazi tra gli Usa e il resto del mondo, ha penalizzato in modo particolare le banche. In un mercato europeo debole, l’Italia torna ad essere maglia nera e sorvegliata speciale. Nelle stesse ore la lunga discussione sul decreto lavoro ha tenuto inchiodato all’Aula della Camera il vicepremier Luigi Di Maio, facendo slittare in tarda serata il consiglio dei ministri e spostando il primo vertice politico sulla manovra. Un nuovo incrocio fra le agende governative ha aggiornato a oggi l’appuntamento, salvo nuovi intoppi. Confermata la composizione del tavolo. che accanto al premier Giuseppe Conte e al ministro dell’Economia Giovanni Tria prevede il titolare degli Affari europei Paolo Savona e i due leader politici della maggioranza, i vicepremier Matteo Salvini e, appunto, Luigi Di Maio. L’obiettivo del resto è proprio quello di mettere qualche punto fermo sui confini della manovra prima della pausa estiva, anche per ridurre un po’ l’incertezza sull’Italia che agita i mercati. Agosto, quando gli scambi sono più sottili, è da questo punto di vista un mese tradizionalmente delicato, e il calendario prevede per il 31 la revisione del rating da parte di Fitch (ora è BBB con outlook stabile).