Politica interna
Trattative di governo. Le trentasei ore della (possibile) svolta. Si attende uno scossone (politico) prima che intervenga il Quirinale e dia — molto probabilmente — un mandato esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico, un mandato che potrebbe non essere limitato solo a una convergenza Movimento Cinque Stelle-Partito democratico, ma sondare anche un eventuale asse tra i pentastellati e il Carroccio. Un orizzonte allargato che avrebbe il vantaggio di far guadagnare altro tempo alle forze in campo e portare a «una attenta riflessione» i soggetti coinvolti. I Cinque Stelle in questo frangente sperano in «un fatto nuovo» dalla Lega, ma sanno che la soluzione potrebbe arrivare in extremis e solo a urne chiuse in Molise. Salvini ancora non divorzia da Berlusconi e non lo fa se prima non avrà la certezza che Di Maio lascerà la poltrona da premier. Un auspicio vano, a sentire l’entourage del leader grillino che questa mattina girerà la clessidra per le ultime 24 ore: «Salvini ha tempo fino a lunedl mattina».
Mafia e politica. La Corte d’Assise di Palermo ha condannato venerdì scorso Marcello Dell’Utri a dodici anni di galera per la collusione intima tra Berlusconi e la mafia tra il 1992 e il 1994, quando Berlusconi pensava di entrare in politica al più presto. Insieme a lui sono stati condannati gli ufficiali del gruppo speciale dei carabinieri (Ros) che avrebbe dovuto individuare i capimafia che uccisero prima Falcone e poi Borsellino. Con la sentenza della Corte si è aperto un nuovo capitolo della politica italiana, comunque positivo per Di Maio e i 5Stelle. Berlusconi si preoccupa molto poco della sentenza di Palermo e afferma con nonchalance che ormai la magistratura si diverte a tormentarlo ma non ci riesce più. Intanto, c’è un’inchiesta bis sulla trattativa che vuole appurare quali pressioni siano state esercitate sul governo di Berlusconi, nel 1994. I magistrati di Palermo indagano sul ruolo di Giuseppe Graviano, il boss delle stragi Falcone e Borsellino, che qualche mese fa è stato intercettato in carcere mentre parlava proprio del Cavaliere: «Avevamo un paese nelle mani», diceva al compagno dell’ora d’aria, il camorrista Umberto Adinolfi, che doveva essere scarcerato da lì a poco.
Economia e finanza
Debito pubblico. Per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan il debito pubblico dell’Italia scenderà più velocemente nel periodo 2018-2020. Il trend è cominciato nel 2017, quando il rapporto tra debito e pil si e chiuso al 131,8 per cento, contro il 132% del 2016. Nel 2020, scrive Padoan nel discorso depositato all’Imfc, il comitato allargato del Fondo monetario internazionale, la percentuale arriverà al 123,9 per cento. La conferenza stampa del ministro, a conclusione dei lavori del Fondo monetario, è un’occasione anche per un rapido bilancio internazionale di una stagione al governo: «Ho raccolto pareri positivi su quanto fatto dall’Italia. Il Fmi apprezza il nostro lavoro in tema di crescita e di conti pubblici». Accanto a lui il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che non elude la domanda sui programmi del prossimo governo: «Da un lato c’è l’auspicio di affrontare i problemi dell’equa distribuzione del reddito e della ricchezza, ma dall’altro non si possono dimenicare i vincoli sostanziali che ci sono». E il vincolo principale è rappresentato dal debito. Prosegue il governatore della Banca d’Italia: «Il fatto che il debito si sia accumulato negli Anni Ottanta-Novanta non può voler dire che chi governa oggi non ne debba tener conto e quindi mi auguro che il prossimo governo ne prenda atto e cerchi di fare il meglio».
Dazi. Dazi e protezionismo: i più preoccupati sono gli investitori, i gestori dei grandi fondi americani, le banche europee. I dirigenti del Fondo monetario, conversando informalmente, osservano come l’incertezza possa provocare una frenata netta degli investimenti. Ma anche gli economisti del Fondo non sono in grado di fare previsioni: troppe variabili, tecniche e politiche. La situazione è in pieno movimento. Il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha fatto sapere di «stare valutando» l’ipotesi di un viaggio in Cina per avviare la trattativa su «trade» e tariffe. Washington e Pechino sono vicini a una vera guerra commerciale. C’è tuttavia una differenza sostanziale tra le azioni degli americani e quelle dei cinesi: i primi hanno individuato un vasto numero di beni da colpire (1300), per cui ogni settore produttivo risentirà relativamente poco delle barriere tariffarie; i secondi invece si limiterebbero a pochi beni (106), la cui produzione è concentrata in specifici Stati americani, creando danni imponenti a quelle economie locali.
Politica estera
Corea del Nord. <Very good news>, <Big progress…for all!>. Davvero una bella notizia, un grande progresso per tutti. Con l’ormai consueta immediatezza, Donald Trump ha manifestato entusiasmo via twitter alle ultime notizie da Pyongyang, dichiarandosi ansioso di realizzare il previsto incontro con Kim Jong-un. Un modo, certo, per rivendicare alle sue dure tattiche negoziali il merito dell’annunciata sospensione di tutti i test missilistici e nucleari della Corea del Nord. La Casa Bianca riconosce come questo sostanziale passo avanti sia stato possibile grazie agli sforzi di due attori in particolare: i leader della Corea del Sud, Moon Jae-in, e della Cina, Xi Jinping. La strategia degli Usa si è via via precisata nelle ultime settimane. A Pasqua Mike Pompeo, direttore dell’Fbi e prossimo segretario di Stato, è volato a Pyongyang per preparare il vertice tra Kim e Trump. Ma subito dopo il governo statunitense si è come fermato, lasciando campo aperto al negoziato tra le due Coree. Se il 27 aprile i contendenti firmeranno davvero un trattato di pace, sarà naturale passare alla fase successiva: il confronto con gli Stati Uniti sulla «denuclearizzazione» della penisola.
Nicaragua. E’ di almeno 10 morti e 80 feriti in Nicaragua il bilancio delle violente proteste dei giorni scorsi contro la riforma delle pensioni proposta dal presidente Daniel Ortega. Lo ha annunciato il vice presidente, Rosario Murillo, esprimendo la volontà del governo di dialogare. Murillo, tuttavia, ha anche parlato di «rivolte» organizzate da individui che provano a «rompere la pace e l’armonia». Si tratta delle più grandi proteste da quando Ortega è entrato in carica 11 anni fa. La scintilla che ha acceso le proteste, poi estesesi dalla capitale Managua a tutto il piccolo Paese centroamericano, è stata una riforma delle pensioni approvata per decreto dal presidente. La riforma prevede un aumento dei contributi sia da parte dei datori di lavoro che dei lavoratori ma riduce la somma che otterranno come pensione. Ma il conflitto esploso sulle pensioni è in realtà una spia di un malessere più generale e dell’avvio di un movimento che mette in discussione tutto lo stile di governo di Ortega. Insieme ai soldati, il presidente ha usato contro i manifestanti i servizi d’ordine del suo partito sandinista, e ha censurato radio, tv e social network.