Politica interna
Trattative per il governo. Di Maio apre all’ipotesi di un premier terzo, venendo incontro alle richieste della Lega ma ribadendo l’invito al passo indietro di Silvio Berlusconi. Dopo queso invito, pronunciato in tv in una intervista alla Annuziata, la palla è passata alla Lega. Ma nel lungo e difficile vertice serale di Palazzo Grazioli, Berlusconi ha ribadito l’irricevibilità della proposta M5S, che prevederebbe anche la presenza di ministri di area forzista. Salvini invece nel corso della giornata era apparso più possibilista. Di Maio vuole solo dividere il centrodestra, per coprire i suoi errori in questi 60 giorni”. Questo il commento che avrebbe fatto Silvio Berlusconi all’ultima offerta del M5S al centrodestra. “Vuole che diamo un appoggio esterno al suo governo con la Lega, che facciamo da ruota di scorta? Mai”, aggiunge uno degli uomini più vicini al presidente di Forza Italia. La chiusura di Forza Italia rende quindi complicata la soluzione del rebus governo. Intanto si ricostruiscono i retroscena della trattativa tra Pd e M5S, saltata per volere dell’ex segretario Renzi, mentre Gentiloni dice di considerare un errore la chiusura incondizionata ai grillini.
Consultazioni. Oggi l’ultimo giro di consultazioni al Quirinale. La speranza è che le delegazioni dei partiti offrano al presidente della Repubblica una via d’uscita politica. In alternativa c’è l’ipotesi che i partiti si dichiarino pubblicamente disponibili a un governo di tregua o a tempo, che abbia un programma minimo, anche cortissimo. Esclusa l’ipotesi di un governo di tecnici, il Quirinale proporrebbe una figura che rifletta l’andamento del voto di marzo. Anche se non trapelano molti dettagli, da giorni al Quirinale stanno sondando con estrema discrezione diverse personalità, chiedendo loro la disponibilità a entrare in un esecutivo di tregua. Tra queste ci sarebbe Massimo Bray, ex ministro della Cultura e attuale presidente del Salone del Libro di Torino.
Politica estera
Iran – USA. Durissima sortita del presidente iraniano Hassan Rouhani: “Se gli Usa lasceranno l’accordo nucleare se ne pentiranno amaramente. II loro sarà un rimpianto di portata storica”. Le parole arrivano all’inizio della settimana che porterà alla scadenza del 12 maggio, con Trump che potrebbe far decadere l’accordo siglato nel 2015. “Abbiamo piani per far fronte a qualsiasi scelta, come ci difenderemo è affare nostro”, continua Rouhani. Tra i tessitori della trattativa c’è John Kerry, il segretario di Stato che nel 2015 confezionò per l’amministrazione Obama l’accordo sul nucleare. Nelle settimane scorse ha sondato la possibilità di introdurre limitati correttivi all’accordo del 2015 in due incontri col ministro degli Esteri di Teheran, Javad Zarif. Ma Keyy cerca sponde anche in Macron e nel presidente tedesco Steinmeier. La durezza di Trump e il «no» a ogni modifica dei patti da parte iraniana lasciano poche speranze.
Tunisia. Seggi deserti in Tunisia, per le prime elezioni amministrative dalla Rivoluzione del gelsomini del 2011, nonostante l’appello del presidente Essebsi. Ha infatti votato il 33,7 per cento dei 5,3 milioni di iscritti alle liste elettorali. Le previsioni danno per vincenti il partito islamista moderato Ennahda e la coalizione di partiti laici Nidaa Tounes, a cui appartiene l’attuale presidente e le donne costituiscono il 49% dei candidati. Lontani i tempi dell’entusiasmo “post – rivoluzione”, con problemi economici e sociali mai risolti che pesano. Ad intercettare questo malessere di fondo è stato anche il vicepresidente del Parlamento europeo, Fabio Massimo Castaldo, a Tunisi in veste di capo della missione di osservazione elettorale Ue: “C’è un sentimento strisciante, in qualche caso sempre più evidente, di disaffezione nei confronti del processo democratico – ha spiegato – forse perché ci si attendeva maggiori passi nel campo delle riforme economiche e sociali che restano la vera sfida del Paese”.
Economia e Finanza
Stallo politico. Il caso Alitalia e lo stallo sulla sua cessione sono lo specchio dell’attuale vuoto di potere e delle conseguenze che sta avendo sull’economia. Il premier dimissionario Paolo Gentiloni e i suoi fanno il possibile, ma non hanno maggioranza in parlamento. Ed è vero che l’Italia almeno in questo non è un’anomalia assoluta (i casi di Belgio, Spagna e Germania sono a dimostrarlo), ma i dossier aperti sono tanti, a partire dallo spauracchio dell’aumento dell’Iva dal 2019, o dalle nomine pubbliche, Cdp e Rai in primis. Intanto si registrano le parole di Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Genérale e di Italgas, che non considera il ritorno alle urne un pericolo, ritenendo l’impatto dei mercati molto limitato, e di Carlo Sangalli, presidente Confcommercio, che invece dice: “Siamo al terzo giro di consultazioni e mi aspetto un supplemento di responsabilità della politica tutta per dare un governo al Paese. Stiamo entrando in “zona Cesarini” e mi pare che l’allarme lanciato dal commissario Moscoviti, quasi un ultimatum, sia stato sottovalutato. Non so quanto le cancellerie europee e i mercati potranno accettare senza tensioni questa prolungata fase di stallo”.
Telecom. Alla viglia della prima riunione del nuovo consiglio d’amministrazione di Telecom sono stati incastrati più o meno tutti i tasselli della governance. II board — nominato venerdì scorso dall’assemblea che ha assegnato la maggioranza dei posti ai manager indicati dal fondo Elliot, mandando in minoranza il primo azionista di Tim, Vivendi —, procederà alla nomina del presidente, che sarà Fulvio Conti, e all’attribuzione delle deleghe. Per la prima volta, salvo sorprese, nessuno dei consiglieri «di maggioranza» riceverà deleghe. Mentre l’amministratore delegato Amos Genish scrive al top management del gruppo per rassicurarlo. Parole di fiducia che già oggi, in occasione del cda sulle deleghe, avranno un loro banco prova. Una riunione che dovrebbe confermare lo stesso Genish alla guida, nominare Fulvio Conti presidente e cominciare ad affrontare i nodi più delicati, come quelli della delega sulla sicurezza e la controllata Sparkle.