Politica interna
Salvini al M5S: governo a tempo insieme. Matteo Salvini non può accettare di ritrovarsi inchiodato a un governo di responsabilità nazionale, non ostile a «questa» Unione Europea e per giunta con i 5 Stelle a fare fuoco e fiamme dall’opposizione. E allora, il segretario leghista nel fine settimana dovrà capire se è possibile che i 5 Stelle, su un programma accuratamente messo nero su bianco e rigorosamente a termine, siano disposti a sostenere un governo che dovrebbe comunque avere una trazione di centrodestra. Questa è la proposta che Salvini ieri ha annunciato pubblicamente. Nessuno è disposto a scommetterci troppo, ma il fatto che il capo dei senatori stellati Danilo Toninelli abbia già detto il suo no a «governi balneari», non scalfisce Salvini: «Io credo che con i 5 stelle una soluzione la troveremo». L’ottimismo potrebbe dipendere dai suoi contatti con Luigi Di Maio, che sono ripresi fittissimi. L’ offerta di Salvini al Quirinale è sembrata solo l’ennesimo bluff, strappare in extremis un incarico tanto per gestire da Palazzo Chigi la personale campagna elettorale. Il timing e le intenzioni di Sergio Mattarella non cambiano. Deciso com’è, in assenza di una maggioranza chiusa e confezionata, a mettere in campo un “suo” premier di garanzia. Con i contorni che al Quirinale si vanno precisando meglio. Sarà una figura «neutrale», più che destinata a esercitare un ruolo da tecnico vero e proprio. Il punto vero è quanta strada avrà nei suoi sandali il premier incaricato da Mattarella. Certo se l’aria resta quella che si respirava ieri dalle parti di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio, è probabile che nasca già con il destino segnato. E che da Esecutivo di tregua si trasformi in balneare per portare il Paese alle urne già a settembre. Escluso che si possa votare a fine giugno, per ragioni di tempo e di regole. E soprattutto è escluso che sia Gentiloni a guidare fino a un ritorno alle elezioni. Ecco quindi che l’Esecutivo del presidente, in assenza di alternative, diventa un passaggio necessario. È vero però che al Quirinale non ci si arrende. Si danno per persi i 5 Stelle che ormai sono sulla linea del voto subito e non c’è speranza di recuperarli come è stato chiaro dalle parole di Grillo sul referendum sull’euro. Ma si sta sondando l’area del centro-destra per provare a far nascere questo Governo e magari aspettare che nel corso dei mesi possa maturare un accordo tra i partiti che lo sostengono.
Il M5S invoca la piazza. E Grillo rispolvera il referendum sull’euro. «Non ce l’ho con il presidente Mattarella ma con i partiti che lo hanno messo in questa condizione. Noi volevamo un governo che rispettasse il voto. C’è un serio problema politico in Renzi e Berlusconi che vogliono ancora fare favori alle banche e alle lobby». E’ come se Di Maio fosse tornato indietro di almeno tre mesi. Le parole e i toni sono da campagna elettorale. Si rispolverano le vecchie parole d’ordine del «complotto per tenerci fuori», si abbandonano le lettere felpate ai quotidiani e si evocano piazze quasi a voler far paura: «Per ora abbiamo chiesto il voto, ma se nasce un governo senza di noi potremmo chiamare in causa i cittadini in altri modi…». Anche al capo dello Stato, fin qui rispettato, viene indicata una data precisa per tornare alle urne: il 24 giugno. Spiegando che si può, gli uffici del Movimento hanno studiato, quello che riguarda il voto degli italiani all’estero «è solo un regolamento ministeriale». Non bastasse questo, arriva Beppe Grillo. Anche lui smette i panni di chi vuole solo tornare al teatro all’arte alla vita, e dà un’intervista politica al nuovo mensile francese Putsch (che significa colpo di Stato). E dice proprio questo: «C’è stato un golpe al contrario. Hanno utilizzato la democrazia per distruggerla. Hanno creato il Rosatellum per impedirci di governare». Poi rispolvera il referendum sull’euro, andando oltre: «Il popolo è d’accordo? Bisogna o no uscire dall’Europa?». Intanto i sondaggi ci dicono che l’ipotesi di tornare alle urne piace a metà del Paese (49%), ma lascia interdette alcune forze politiche. Il ritorno alle urne convince il popolo leghista (70%), che sente aria di ascesa elettorale, ma sorride un po’ meno agli altri. Piace poco alla base Pd (29%), e non scalda gli animi del blocco sociale berlusconiano (57%) e neanche di quello grillino (57%). I pentastellati sono il gruppo politico più impaziente, che ha meno tempo a disposizione. Di Maio, nel corso dell’ultimo mese, ha già perso il 10% dei voti positivi all’interno della propria base elettorale (dal 74% di voti tra 7 e 10, al 64%) e ha bisogno di mostrare la capacità del movimento di incidere sul cambiamento. Per M5s, un eventuale fallimento nella partita governativa, potrebbe aprire la strada allo scivolamento verso l’astensione di parte del proprio elettorato; potrebbe ingenerare difficoltà nel serrare in ranghi nel Centrosud, perdendo pezzi verso il centrodestra, nonché potrebbe ridurre e fermare la capacità espansiva verso l’elettorato di centrosinistra nel Centronord.
Politica estera
Scandalo all’Accademia di Stoccolma Salta il Nobel per la Lelleratura del 2018. Il Premio Nobel della Letteratura per il 2018, il più prestigioso riconoscimento della cultura mondiale, non sarà assegnato. Ma verrà «posticipato» al 2019, e poi attribuito insieme al Premio di quell’anno. Lo hanno deciso i vertici ormai decapitati della stessa Accademia, sostenuti e anzi spinti dal suo «supremo patrono», il re Carlo Gustavo XVI. La causa? Una storiaccia di potere e molestie sessuali che ha spaccato i membri dell’istituzione, e che avrebbe avuto fra le sue vittime perfino Vittoria, la principessa erede al trono. Il comunicato diffuso ieri spiega che la decisione di sospendere il Premio è dovuta «al numero ridotto dei membri e alla fiducia diminuita nell’istituzione». Il re si è impegnato a cambiare gli antichi statuti sulla sostituzione dei membri, e lo farà: ne va del prestigio stesso della monarchia. Cambieranno regole e clausole di una vita interna finora estremamente riservata, per non dire segreta. Ma è l’anima stessa dell’Accademia, che dovrà essere curata da molte ferite. L’uguaglianza di genere forse non era poi così consolidata nell’istituzione: solo 9 donne, nonostante tutte le coraggiose speranze nei decenni, sono entrate finora fra i vertici dell’Accademia. Mesi fa Sara Danus, la prima donna nominata segretaria generale dell’istituzione, era stata anche la prima a indagare sul potere interno della sua collega Katarina Frostenson e del marito Jean-Claude Arnault, il fotografo accusato di 18 molestie sessuali. Pierluigi Battista scrive sulle colonne del Corriere della Sera che il Premio Nobel che ufficialmente salta per una brutta storia di molestie sessuali reiterate “dimostra che non ci sono più luoghi invulnerabili e protetti da un’onda tumultuosa che ha travolto distinzioni e barriere sociali, culturali, antropologiche. E dimostra che la pratica della sopraffazione di genere non conosce diversità tra «progressisti» e «conservatori», destra e sinistra, colti ed incolti. E inoltre dimostra che la favola delle nicchie civili che si salverebbero in un mondo rozzo e grossolano e manesco e spudoratamente violento è appunto solo una favola edificante”.
Gran Bretagna: l’«onda rossa» non sfonda. E’ già finito l’effetto Corbyn? È la domanda che aleggiava ieri sulla tornata di elezioni locali svoltasi in Inghilterra: perché l’«onda rossa» che si era sollevata al voto politico dell’anno scorso, e che aveva portato i laburisti dal 30 al 4o per cento facendo perdere la maggioranza assoluta ai conservatori di Theresa May, sembra ormai aver esaurito la sua spinta propulsiva. E se fino a ieri in tanti preconizzavano un prossimo arrivo di Jeremy Corbyn a Downing Street, ora questo traguardo sembra allontanarsi. La consultazione di ieri è finita in un sostanziale pareggio: proiettati a livello nazionale, i risultati danno i due maggiori partiti appaiati attorno al 35 per cento. Ma questa non è una buona notizia per i laburisti: perché nelle elezioni locali che si svolgono nell’intervallo delle politiche il partito di governo tende a essere penalizzato a scapito dell’opposizione. E dunque la sostanziale tenuta dei conservatori e la mancanza di successi clamorosi da parte dei laburisti va letta come una sconfitta del partito di Corbyn. Intervistato daRepubblica, Jon Lansman, il leader di Momentum, l’organizzazione giovanile del Labour, che è stato l’artefice della sorprendente vittoria di Corbyn in due primarie per la leadership del partito spiega che la svolta a sinistra impressa da Corbyn è senza ritorno: «Il dibattito sulla nostra futura politica è chiuso. Non c’è spazio per un partito di centro. Basta guardare al fallimento dei social-democratici in Europa: la Terza Via non vince più. Le politiche che mirano a trasformare la società possono vincere, come hanno dimostrato Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e lo stesso Labour nelle elezioni britanniche del 2017». Lansman
auspica ache che la Gran Bretagna resti nell’unione doganale, nel mercato comune e magari anche nella Ue.
Economia e Finanza
Elliott conquista il board di Tim. Elliott vince la sfida con Vivendi e conquista i due terzi del consiglio Telecom, piazzando tutti i suoi dieci candidati. I francesi devono accontentarsi di cinque posti, ma esprimono ancora l’ad con Amos Genish che era il capolista. In un’assemblea che ha segnato il record di affluenza con oltre il 67,14% del capitale presente, la lista del fondo di Paul Singer ha ottenuto il gradimento del 49,84% della platea, pari al 33,46% del capitale ordinario totale, mentre la lista finita in minoranza si è fermata al 47,18% del capitale presente e al 31,67% del capitale totale. Risultano così nominati Fulvio Conti, Alfredo Altavilla, Massimo Ferrari, Paola Giannotti de Ponti, Luigi Gubitosi, Paola Bonomo, Maria Elena Cappello, Lucia Morselli, Dante Roscini e Rocco Sabelli e, per la “minoranza”, Amos Genish, Arnaud de Puyfontaine, Marella Moretti, Michele Valensise e Giuseppina Capaldo. Lunedì pomeriggio a Roma si riunirà il nuovo consiglio, dove il capofila della lista vincente, l’ex ad Enel Fulvio Conti è candidato a una presidenza “indipendente”, senza le deleghe che saranno tutte attribuite all’ad Amos Genish. Questo per sottolineare la svolta, con un board da public company anche se un po’ atipica, visto che il primo azionista resta Vivendi col 23,94%. II primo atto del nuovo corso sarà di chiedere a Palazzo Chigi di eliminare i vincoli del golden power, che non dovrebbero avere più ragione d’essere. «II voto di oggi — ha commentato Elliott — rappresenta una vittoria per tutti gli azionisti e apre un nuovo capitolo per Tim, in cui la società può basarsi su una governance migliorata per garantire una creazione di valore sostenibile per tutti». In assemblea i due contendenti si sono astenuti dall’intervenire, lasciando la parola al piccoli soci. Ma questo non ha evitato polemiche. «Non è una vittoria dettata dal mercato», ha affermato il gruppo media guidato da Yannick Bolloré al termine dell’assemblea, accusando «la controllata del governo Cassa depositi e prestiti» di aver falsato la sfida «votando per un hedge fund invece che per un azionista industriale». I numeri tuttavia dicono un’altra cosa. La Cdp, con il 4,9% di Tim, è stata certamente importante ma non determinante visto che, al netto delle quote detenute direttamente, Vivendi ha raccolto il consenso dell’11% dei presenti contro il 20% andato a Elliott. Danile Manca sul Corriere della Sera mette in guardia dai facili entusiasmi e sottolinea che un fondo opportunista come Elliott cerca appunto opportunità per valorizzare il proprio investimento. Ché può significare tutto. Scorporare la rete, il maggiore attivo di Tim, per arrivare magari a costituirne una nazionale con l’altro pezzo che sta mettendo in piedi Open Fiber, società che vede la presenza di Cassa depositi e prestiti al 50%. Ma Elliott potrebbe pensare anche di cedere altri pezzi di Tim se ci fossero buone offerte o se ci fossero da architettare operazioni finanziarie che «valorizzino» l’investimento.
Al Nord-Est la ripresa delle Pmi. Ma segnali arrivano pure dal Sud. Tornano a crescere, come numero e come performance economiche, le Pmi del Centro-Nord. In particolare cresce il numero di imprese nel Nord-Ovest, mentre nel Nord-Est aumentano i ricavi. Le Pmi migliorano i conti economici, aumentano i margini e riducono l’indebitamento: la maggiore solidità finanziaria rende possibile e sostenibile la ripresa degli investimenti. Questo potenziale vale fino a 94 miliardie per le Pmi ad alta automazione, c’è un potenziale nell’ambito della rivoluzione Industria 4.0 di quasi 3o miliardi. Questo lo scenario del terzo Rapporto Pmi curato da Confmdustria e Cerved. «In una geografia a macchia di leopardo crescono gli ecosistemi coesi, quelli in cui i diversi attori del territorio (imprenditori, sindacati, istituzioni, lavoratori) condividono visione e strategie», ha commentato Carlo Robiglio, presidente della Piccola industria di Confindustria. Non solo Nord però. C’è un Mezzogiorno che recupera terreno e annulla il divario con il Centro Nord: è quello rappresentato dalle medie imprese. Queste risultano fìinalmente competitive quanto le omologhe del Centro-Nord: l’incidenza del costo del lavoro sul valore aggiunto è infatti pari al 69,6% nel Mezzogiorno e del 69,3% nel Centro Nord. Lo rivela ií Settimo Rapporto La Malfa, realizzato dall’omonima Fondazione, in collaborazione con l’Area Studi di Mediobanca e Matching Energies, e presentato a Napoli da Paolo Savona e Giorgio La Malfa. «Lo studio – spiega Paolo Savona – rivela che l’industria meridionale ha completato il proprio adattamento alle difficoltà create dalla crisi economica internazionale, che i dati del 2015 già preannunciavano. Nel 2016 emergono indicazioni di una buona ripresa del valore aggiunto e dei margini operativi lordi e netti complessivi che il 2017 probabilmente confermerà». E Giorgio La Malfa: «Sul piano della competitività le medie imprese meridionali recuperano ií divario – dice – un dato che sorprende e sfata i luoghi comuni di un Sud che resta indietro». La Malfa dice anche: «Avremmo preferito presentare lo studio a un nuovo Governo in carica poiché da esso possono scaturire spunti di politica economica». E nel concreto precisa: «Bisognerebbe attrarre investimenti e invitare medie imprese del Nord ad aprire succursali al Sud».