Politica Interna
Consultazioni. II Paese segue con ansia e preoccupazione l’iter procedurale alla ricerca di un governo che richiede necessariamente accordi parlamentari. ll Presidente, regista delle crisi, non vuole lasciare nulla di intentato, per rispettare la volontà espressa dall’elettorato: ha quindi avviato tre diverse procedure di consultazione, affidate a mani diverse, e se ne riserva probabilmente una conclusiva. Gli accordi sui vertici parlamentari sono stati raggiunti rapidamente. È più difficile la partita del governo, che richiede necessariamente intese più complesse. Per concludere, occorre con pazienza attendere la fine delle consultazioni e degli sforzi del presidente della Repubblica di aiutare la formazione di un governo che possa avere l’approvazione della maggioranza parlamentare. Ecco spiegata la grande incertezza di queste ore. Se nel pomeriggio l’esploratore Fico chiederà altro tempo, in attesa che la direzione del Pd si pronunci, non sarà certo il Capo dello Stato a negarlo.
Tensioni Pd. Grandi manovre, palesi e sotterranee, per presentarsi all’appuntamento di questa mattina, quando il presidente della Camera Roberto Fico, munito di mandato esplorativo, incontrerà per il secondo giro di consultazioni le delegazioni del Pd e poi del Movimento 5 Stelle. Dentro il Pd, le opinioni divergono sensibilmente. Perché si confrontano varie sensibilità e perché il no di Matteo Renzi e dei renziani, che hanno la maggioranza nella Direzione (non ancora convocata), si scontra con le aperture delle minoranze. Martina ricorda che «le distanze restano importanti», ma ribadisce anche la sua volontà di «provarci». D’altronde l’ala “trattativista” è consapevole della ritrosia renziana e non può più contare sull’aiuto di Paolo Gentiloni. Il premier, anche per tenere fede all’impegno assunto con il presidente della Repubblica, si tiene infatti fuori dalla contesa. Anche nell’M5S si stanno preparando al peggio. Del resto, anche la loro base è entrata in fibrillazione. Un’alleanza con i democratici viene considerata da molti una stilettata al cuore dei refrain grillini.
Politica Estera
Macron in Usa. I democratici si entusiasmano quando dice: «Non abbiamo un Pianeta B. Prendiamoci cura di quello che abbiamo». I repubblicani, invece, quando proclama: «L’Iran non avrà la bomba atomica fra cinque anni o fra dieci. Non l’avrà mai». Su tutto il resto, ed è molto, dal multilateralismo alla crisi coreana, Emmanuel Macron incassa applausi corali nel suo discorso solenne di ieri davanti al Congresso riunito in seduta comune e trasmesso in diretta televisiva. Alla fine si contano 45 battimani, di cui 1 «standing ovation», tutti in piedi. Forse è un segno dello stato d’animo del Congresso: dopo un anno e mezzo di strappi trumpiani, il ragionamento pragmatico, a volte semplicemente sensato di Macron offre sollievo politico, cui si aggiunge il conforto della tradizione, dei valori condivisi e, va detto, anche della retorica. Sull’Iran, la solenne dichiarazione di Macron, serve al presidente francese a essere altrettanto chiaro sulle scelte diplomatiche di Parigi (e dell’Europa). A differenza di Donald Trump, infatti, che deciderà entro il 12 maggio se ritirarsi dall’accordo nucleare con Teheran, «la Francia non se ne andrà, quel documento lo ha firmato».
Patto con l’Iran. L’Europa difende l’accordo sul nucleare con l’Iran, che starebbe evitando la costruzione di una bomba atomica di Teheran, davanti alle richieste di rinegoziare ribadite dal presidente Usa Donald Trump nell’incontro con il presidente francese Emmanuel Macron. Il presidente dell’Iran Hassan Rouhani ha comunque respinto ogni modifica, con giudizi duri sulla competenza di Trump in politica estera e sui Trattati internazionali, e anche la Russia è intervenuta contro la linea di Washington. Tuttavia le diplomazie europee sanno che l’intesa non è modificabile, tanto che ieri Mogherini ha affermato: «Con l’Iran c’è già un accordo e per ora è l’unico. Sta funzionando, impedisce a Teheran di sviluppare armi nucleari e va mantenuto». Ciò non toglie che gli europei siano pronti a lavorare su altri temi, come l’espansionismo regionale dell’Iran e il suo programma missilistico. Resta il fatto che a Teheran non intendono rinegoziare nulla nel testo, che prevede una eliminazione progressiva delle sanzioni internazionali in cambio dell’impegno a non produrre un’arma atomica iraniana.
Economia e Finanza
Fermo di Bolloré. Al termine del secondo giorno di fermo a Nanterre, il finanziere francese Vincent Bolloré è stato deferito ai giudici della procura nazionale finanziaria che lo hanno nuovamente interrogato, e hanno deciso di metterlo sotto esame. Lo stesso è accaduto a due dirigenti del gruppo fermati ieri con il patron. In pratica, il gruppo Bolloré — molto forte in Africa, dove genera un quarto del suo giro d’affari — è sospettato di avere favorito l’elezione dei presidenti Faure Gnassibngbé (Togo) e Alpha Condé (Guinea), fatturando sotto costo l’attività di consulenza di Havas, e ricevendo in cambio le redditizie concessioni dei porti. L’atteggiamento della stampa italiana in proposito, deriva da mesi di campagna anti francese per la contesa in Tim tra Vivendi di Bolloré – passata in modo tattico al figlio Yannick la settimana scorsa – e il fondo americano Elliott con cui i grandi media si sono schierati salutandolo come salvatore dell” `italianità” della compagnia telefonica e della sua rete, per la quale la Cassa depositi e prestiti, il governo uscente e tutti i partiti coltivano ambizioni di ri-nazionalizzazione.
Diritto di sciopero.Tra uno sciopero e l’altro nel trasporto pubblico locale dovranno passare 20 giorni. Lo ha deciso l’Authority sugli scioperi, ma i sindacati sono decisi a non far passare la nuova norma, che raddoppia i tempi di “rarefazione”, modificando un vecchio regolamento del 2003, ma soprattutto interviene sull’intesa faticosamente raggiunta a fine febbraio con le associazioni delle imprese, e cioè Asstra, Anav e Agens. Viene mal digerita anche la norma che prevede l’individuazione dei «servizi e figure professionali eventualmente da escludere dalla partecipazione allo sciopero» per ragioni di sicurezza, perché è vero che l’individuazione viene lasciata alla trattativa tra le parti, ma si teme che, in mancanza di accordi, l’azienda possa intervenire d’imperio. Regolare la rappresentanza, dare maggiori poteri ai sindacati davvero rappresentativi: è questo che chiedono i sindacati. Interviene anche il vicepresidente di Confindustria Maurizio Stirpe in un’intervista a Il Messaggero «Va trovato l’equilibrio tra diritti dei lavoratori e quelli dei cittadini. Mi sembra che si vada nella direzione giusta. La proposta del Garante va valutata positivamente poichè riequilibra il legittimo diritto dei lavoratori a scioperare con quello altrettanto legittimo degli utenti dei servizi pubblici locali a usufruire dei servizi medesimi. Utenti che, come spesso accade a Roma e nelle grandi città, subiscono gravissimi disagi proprio a causa delle agitazioni sindacali (…)».