Politica Interna
Accordo per il nuovo governo. Dopo 88 giorni si chiude la crisi più lunga della Repubblica. È nato il governo M5S-Lega, Giuseppe Conte ha accettato l’incarico e ha presentato la lista dei ministri. Oggi alle 16.00 il giuramento. E già domani, 2 giugno, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i 18 ministri giallo-verdi presenzieranno con il capo dello Stato alla sfilata militare prevista per la Festa della Repubblica. Nel governo di Luigi Di Maio e di Matteo Salvini, che saranno i «vice» del professor Conte con due ministeri pesanti (Lavoro e Sviluppo economico, il primo; Interno, il secondo), c’è anche il professore anti-euro Paolo Savona che però slitta dall’Economia agli Affari europei. In via XX Settembre va un altro professore: Giovanni Tria, preside di Economia a Tor Vergata. E anche l’ultima battaglia condotta da Salvini per trascinare nell’esecutivo Fratelli d’Italia, con un ministero per Giorgia Meloni, si infrange contro il veto finale dei grillini. A blindare la poltrona fin troppo neutra e tecnica del professor Conte a Palazzo Chigi saranno i vicepremier, i due leader Di Maio e Salvini. Con un colpo di coda finale sarà invece il solo leghista Giancarlo Giorgetti a “vigilare” sul premier dalla poltrona unica di sottosegretario alla presidenza. Sul fronte parlamentare, la partita del governo inizierà lunedì con il voto di fiducia al Senato, dove la maggioranza M5S-Lega ha solo 6 seggi di margine; poi l’esecutivo passerà alla Camera dove il vantaggio è di 31 seggi.
Centrodestra in crisi. Berlusconi è preoccupato, più studia le retromarce, le mosse tattiche degli alleati, più si convince che le prospettive per il centrodestra sono fumose, malgrado le assicurazioni che il giorno prima gli ha dato Salvini per telefono. La Meloni, poi, che si rimangia le dichiarazioni e traffica per avere qualche ministero, come giudicarla? Berlusconi per ora tace, probabilmente farà oggi la sua dichiarazione. «Lasciamoli governare – ragiona, in sostanza, il Cav – vediamo come si muovono su fiat tax e reddito di cittadinanza, per cominciare. Giudicheremo passo per passo, pronti ad alzare la voce se ce ne sarà bisogno». Intanto, la leader di Fdi è rimasta quasi senza parole quando il segretario della Lega le ha spiegato con qualche imbarazzo che c’era un problema alla sua nomina a ministro. Stop che la Meloni non ha gradito, ovviamente. «Mi pare di capire che Salvini abbia parlato del nostro ingresso ma abbia ricevuto il no dei 5 Stelle. Ho offerto i nostri voti perché quando l’Italia è sotto attacco dall’estero io difendo l’Italia, anche se il presidente del Consiglio fosse uno del Pd». D’altro canto, ha aggiunto «questo governo non ci rassicura, sono pessimista sulla sua durata e sulla capacità di fare le riforme che servono». Ma la delusione non significa fare la guerra: «Facciamoli partire con un’astensione e restiamo fuori», ha concluso con il vertice di Fdl.
Politica Estera
Partiti i dazi Usa. I dazi Usa del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% su quelle di alluminio sono scattati alle 6 di stamattina, ora italiana. «Bisogna tenere i nervi saldi», alza il sopracciglio il presidente di Federacciai Antonio Gozzi. L’Europa annuncia già contromisure. «Capisco che questa possa essere la tentazione. Però… Pensiamoci bene». La Commissione europea, infatti, dovrebbe far scattare a breve le contromisure pianificate da tempo: verrebbero colpiti beni «made in Usa». «Dal bourbon, ai jeans alle Harley Davidson… Abbiamo sperato che questo mese di supplemento di trattativa ci avrebbe evitato di dover valutare questo scenario. Ora non ci resta che infilarci nella porta lasciata socchiusa dal segretario al commercio Usa. Wilbur Ross ha detto che anche a dazi vigenti si può continuare a trattare». Il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, fa sapere: «sono molto deluso dalle decisioni Usa. Si tratta di misure unilaterali e ingiustificate che arrecheranno gravi danni ai lavoratori, all’industria e ai consumatori su entrambe le sponde dell’Atlantico. Risponderemo con tutti i mezzi possibili».
Ribaltone in Spagna. Al congresso dei deputati di Madrid si vota stamattina e l’esito appare scontato: il capo socialista Pedro Sanchez diventerà capo del governo, con il via libera, abbastanza clamoroso, degli indipendentisti catalani, che tornano a fare politica a Madrid. Con il passaggio dei cinque nazionalisti baschi del Pnv allo schieramento dei «censori», infatti, la mozione promossa dal leader socialista Pedro Sánchez e già appoggiata dagli antisistema di Podemos, dagli indipendentisti catalani e altri partiti minori, dispone alla Camera di 180 voti, quattro più del minimo indispensabile. Quanti ne bastano per chiudere in otto giorni la partita e liquidare l’era Rajoy. Alla resa dei conti, attraverso il voto palese in aula, Sánchez ha dunque altissime probabilità di prendere il posto di Rajoy. La mozione di censura spagnola si basa sul concetto costituzionale di sfiducia costruttiva. Il principio è: se si propone di rimuovere un governo in carica c’è l’obbligo di indicare un altro governo (nel caso spagnolo un altro premier). La Spagna si ritrova così all’improvviso con una situazione di instabilità che preoccupa i mercati.
Economia e Finanza
Prime misure per il nuovo governo. Le misure in programma che dovranno essere affrontate dal nuovo esecutivo sono tante ed importanti. Innanzitutto le tasse. Sono previste due sole aliquote fisse, al 15 e del 20 per cento, per persone fisiche, partite Iva, imprese. Per le famiglie è prevista una deduzione fissa di 3 mila euro sulla base del reddito. Potrebbe arrivare anche una «pace fiscale», con la rottamazione delle cartelle al di sotto dei 100 mila euro. A chi ha perso il lavoro 780 euro al mese con uno stanziamento complessivo di 17 miliardi. Chi ne beneficia deve però impegnarsi nella ricerca di un’occupazione. È prevista quindi la riorganizzazione dei centri per l’impiego e l’ introduzione del salario minimo orario. Si pensa anche alla reintroduzione dei voucher. Per il capitolo pensioni, l’idea è quella di superare la legge Fornero introducendo la «quota 100». Inotre, nel programma che Luigi Di Maio sta mettendo a punto, si vorrebbe punire le aziende che delocalizzano e tagliano posti di lavoro in Italia. La norma in vigore da 5 anni prevede che se un’azienda beneficia di un contributo pubblico ed entro 3 anni delocalizza la produzione fuori dall’Europa – con riduzione di almeno il 50% del personale – deve restituire l’intero contributo. L’obiettivo di Di Maio è intervenire in modo ancora più drastico, cercando di estendere la penalità anche a chi si trasferisce in Paesi dell’Unione europea come la Romania o la Polonia. Infine, cercare di risolvere i dossier caldi, fra gli altri, dell’Ilva e di Alitalia.
Occupazione. Il mercato del lavoro torna a correre ad aprile, con 64 mila occupati in più nel giro di un solo mese. Un contesto economico dinamico, accentuato anche dall’accelerazione dei prezzi: a maggio, rileva l’Istat, l’inflazione arriva all’1,1% annuo, l’aumento maggiore da settembre, mentre nell’Eurozona è all’1,9%. A fronte però di diverse tendenze incoraggianti, a cominciare dal calo degli inattivi, scesi ormai al minimo storico, continua un travaso tra lavoro stabile e lavoro precario. Con una novità significativa: per il secondo mese di fila cresce l’occupazione tra gli indipendenti. Presto per trame delle conclusioni, considerato che in Italia tra le file degli autonomi ci sono anche molte situazioni anomale, di parasubordinazione se non veri e propri rapporti di lavoro dipendente mascherati. Per quanto rguarda gli occupati a tempo indeterminato, va sottolineata la riflessione che si impone riguardo l’efficacia degli incentivi a stabilizzare. Che purtroppo appare debole perché in epoca di cicli economici molto più corti del passato le imprese ci pensano tre volte prima di allargare la pianta organica. Infine Il tempo determinato nello stesso arco temporale è cresciuto. Il fenomeno è così largo che forse la parola «precariato» non lo spiega del tutto. A crescere sono state soprattutto le occupate donne.