Politica interna
Il dibattito elettorale. no alle grandi intese. Il tema che domina nelle dichiarazioni leader nell’ultima domenica preelettorale è quello di un possibile governo delle larghe intese in caso di impasse dopo il voto che, a parole, ora nessuno auspica. Nel Pd, sul rifiuto di tale soluzione, fa un mezzo passo avanti Paolo Gentiloni: «Mai larghe intese con i populisti e gli estremisti». Mentre Walter Veltroni aupica senza mezzi termini, nel suo intervento ieri al teatro Eliseo di Roma, che “si debba fare una legge elettorale con un premio di maggioranza al livello che la sentenza della Corte ha stabilito, si debbano costituire perciò coalizioni coese su un programma e poi far decidere gli italiani”. Nonostante il fallimento del referendum costituzionale, permane inftti la necessità “di un cambiamento, nel solco della nostra splendida costituzione, che accentui la capacità di decidere dell’esecutivo.Altrimenti, continuerà il mix di consociativismo e rissa” E Matteo Renzi, a sua volta, in una intervista alla Stampa,nega che vi sia un canale aperto tra Pd e Fi in vista di possibili larghe intese: «Smentisco che esista, nel modo più categorico», e polemizza con forza sul programma elettorale del centrodestra, dalla flat tax all’indicazione di Salvini, da parte di Berlusconi, come prossimo ministro dell’interno. Mentre Silvio Berlusconi la prende da un altro verso ma, di fatto, anche lui per ora cancella l’ipotesi della grande coalizione: «Con questo sistema, la maggioranza ce l’ha chi ottiene il 40%. Così a quelli del Pd e del M5s, che hanno rispettivamente il 21% e il 27%, dico che chi ama l’Italia vota Forza Italia…»”
Di Maio, un generale dell’Arma pronto per l’Ambiente. Il rush finale oggi a Palermo, l’ultima tappa (prima del comizio conclusivo a Roma) del «rally» che lo ha visto impegnato negli ultimi giorni al Centrosud: Luigi Di Maio punta sulle aree-chiave degli uninominali. Un Movimento a trazione centro-meridionale, geograficamente parlando, per prevalere nelle zone che gli analisti hanno indicato come determinanti nel voto di domenica prossima. La settimana del candidato premier sarà focalizzata sulla presentazione – giovedì a Roma – della squadra di governo del Movimento. Ieri a 1/2 ora in più su RaiTre Di Maio ha annunciato come ministro dell’Ambiente di un suo ipotetico governo «il generale di Brigata dell’Arma dei Carabinieri Sergio Costa». Il generale – dice Di Maio – è «da sempre impegnato nel contrasto alle ecomafie e al clan dei Casalesi. Ha scoperto la più grande discarica di rifiuti pericolosi di Europa seppellita nel territorio di Caserta»”.
Economia e finanza
Il reddito di inclusione. Si segnala lnchiesta della Stampa sulla lotta alla povertà in Italia, e sulla misura del reddito di inclusione introdotta da governi Renzi e Gentiloni. Si legge: “L’Italia ha uno strumento tutto suo contro la povertà, frutto di anni di politiche nate dal basso con l’iniziativa dei Comuni e a cui si sono sommati poi gli interventi delle regioni. Oggi con l’introduzione del Rei, il «reddito di inclusione» a livello nazionale, il sistema è ancora più stratificato e complesso. Un welfare per i più bisognosi che è a macchia di leopardo e che richiede un coordinamento maggiore tra le parti in campo. La sovrapposizione delle misure a livello comunale, regionale e nazionale tende infatti a indebolire lo strumento e ad avvantaggiare chi – per puro caso – è nato in una città dello stivale piuttosto che in un’altra. II nostro Paese è quello con più poveri nell’Ue – nel 2016 l’Eurostat ne ha contati ben 10,5 milioni – eppure il sistema è complesso e farraginoso. Una babele di interventi, a cui da ultimo si è aggiunto quello voluto dai governi Renzi e Gentiloni, che hanno messo in campo un nuovo sostegno statale a favore delle famiglie più povere. II Rei è il primo vero strumento di contrasto alla povertà, in funzione da inizio anno e che oggi vale 1,7 miliardi di euro, fondi destinati a crescere a 2,3 miliardi nel 2019 e a 3 miliardi l’anno seguente”
Fca abbandona il gasolio. Anche Fca è pronta ad abbandonare i motori a gasolio. Lo dice il Financial Times riportando indiscrezioni sul contenuto del prossimo piano industriale del gruppo del Lingotto, che Sergio Marchionne presenterà il 1 giugno a Balocco. L’indiscrezione del quotidiano finanziario inglese non è stata ieri commentata da Torino ma abbastanza chiaro che anche la multinazionale italo-americana ha ormai deciso una exit strategy. Si tratta solo di stabilire la data. Che sia il 2022, come scrive il Ft, o una data diversa poco importa. Probabilmente l’indicazione riportata dal giornale inglese deriva dal fatto che il prossimo piano di Fca avrà un orizzonte di quattro anni .Ad uccidere i motori diesel sono state le norme sempre più stringenti sulle emissioni di ossido di azoto e i divieti di circolazione in molte aree urbane, soprattutto in Europa. Il dieselgate, in parte conseguenza dell’irrigidirsi delle norme di omologazione, ha fatto il resto. I costruttori prevedono che nel prossimo futuro realizzare motori diesel in grado di abbattere le emissioni di ossidi di azoto al punto da rientrare nelle nuove normative potrebbe aumentare i costi del 20 per cento. Incremento che finirebbe per scaricarsi sul prezzo di vendita proprio mentre i costi delle auto ibride (quasi sempre benzina/elettrico) stanno diminuendo
Politica estera
Xi Jinping presidente a vita della Cina Xi Jinping leader assoluto della superpotenza cinese fino a quando vorrà. E questo il quadro che si sta delineando a Pechino, perché il Comitato centrale del Partito comunista ha proposto di rimuovere dalla costituzione il limite di due mandati di cinque anni l’uno per la carica di presidente della Repubblica popolare cinese. La notizia è stata data dall’agenzia statale Xinhua e non c’è da dubitare che «la proposta» verrà accolta. Xi Jinping, 64 anni, è presidente dal marzo del 2013 e nei prossimi giorni è attesa la sua «rielezione» da parte del Congresso nazionale del popolo che si aprirà il 5 marzo. Con questa revisione della costituzione, quando nel 2023 scadrà il suo secondo mandato, Xi potrà ricandidarsi per un terzo. Quest’annuncio è anche la conferma che negli ultimi 5 anni Xi Jinping è riuscito a consolidare il proprio potere al punto da riuscire a forzare quelle regole che avevano imbrigliato le ultime generazioni di leader cinesi. Una serie di norme istituzionali, di pesi e contrappesi che nell’ultimo quarto di secolo hanno consentito transizioni di potere ordinate e che sono state pensate dall’architetto dell’apertura e delle riforme, Deng Xiaoping per scongiurare il ritorno del culto della personalità che aveva segnato gli anni di potere di Mao Zedong.
Siria, fallita la tregua La tregua approvata dall’Onu è durata poche ore. Già ieri mattina l’aviazione governativa ha di nuovo attaccato la Ghouta orientale, roccaforte dei ribelli alle porte di Damasco. I nuovi attacchi hanno gelato le speranze di sabato sera, quando, con il si della Russia, il Consiglio di sicurezza ha approvato una risoluzione che impone a tutte le parti una tregua umanitaria di 30 giorni, con l’esclusione dei gruppi terroristici islamisti come Isis e Al-Nusra. Ma ieri mattina l’Iran ha precisato che l’offensiva «contro i terroristi» sarebbe andata avanti nella Ghouta, mentre più tardi anche la Turchia ha fatto sapere che non avrebbe fermato l’attacco contro i curdi dello Ypg adAfrin. E non ha avuto alcun effetto neppure l’appello di papa Francesco per porre fine alla «disumana violenza»:La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron ne hanno discusso al telefono con il presidente russo Vladimir Putin. La coppia franco-tedesca dell’Europa ha di nuovo fatto pressione perché il capo del Cremlino, massimo alleato di Bashar al-Assad, prema sul regime siriano. Ma l’azione diplomatica sembra impotente. Ieri è stata una giornata di combattimenti a Damasco, ad Afrin, a Idlib, Hama, Homs. Da domenica scorsa, il bilancio dei raid nella Ghouta orientale è di 520 morti, compresi 127 bambini. Un conteggio terribile, che rischia di peggiorare perché le forze governative «continueranno» l’offensiva, come ha annunciato il capo di stato maggiore iraniano