Politica Interna
La Lega supera il M5s. La conferma arriva dall’ultimo sondaggio dell’Ipsos di Nando Pagnoncelli: la Lega è il primo partito italiano con il 30,1%. Scavalcato il Movimento 5 stelle, arretrato al 29,9%. Per capire: alle politiche del 4 marzo il partito di Salvini aveva preso il 17,49, i pentastellati erano al 32,7%. Dal 4 marzo a oggi, dunque, la Lega ha ottenuto un balzo in avanti che nemmeno in via Bellerio si aspettavano. II Carroccio di Salvini infatti veleggiava al 29,2% e seppur di poco superava per la prima volta il M5S (29%). «È stato un processo di crescita che è avvenuto nel corso degli ultimi due mesi ed è dipeso sostanzialmente da due fattori» spiega il direttore di Swg Enzo Risso. II primo rimanda alle vicende degli ultimi giorni, alla chiusura dei porti da parte del ministero dell’Interno. II secondo riporta all’inchiesta che ha coinvolto il Campidoglio e di conseguenza, secondo Risso, avrebbe «fortemente» indebolito il M55. «Ecco, il combinato disposto di questi due fattori ha determinato il sorpasso». Dopodiché si è manifestato un altro fenomeno: la Lega di Salvini risulta essere una forza attrattiva a trecentosessanta gradi. Di conseguenza tre settimane dopo essersi uniti nel sacro vincolo del governo, nel Movimento prende corpo il sospetto che Salvini stia per tradirli, che stia pensando al voto già per l’inizio dell’anno prossimo. E vero che i grillini per ora non hanno prove da rinfacciare all’alleato. Ma l’ennesimo indizio raccolto — a loro giudizio — è emblematico: sta nel botta e risposta tra il premier e il leader leghista sul censimento dei rom, con il primo che si schiera con Di Maio definendo «incostituzionali» le schedature, e il secondo che considera «il codice penale più importante del contratto di governo». È la prima volta che una maggioranza non riesce a godersi la «luna di miele» con l’opinione pubblica. Il fatto è che la competizione nel rassemblement giallo-verde sta garantendo dividendi solo al capo del Carroccio, che sembra immarcabile per i Cinque Stelle, incapaci di togliergli la palla, di impossessarsi cioè dell’agenda di governo. Un problema per M5s: l’attenzione dedicata al caso giudiziario avrebbe contribuito a togliere energie all’azione politica, con il risultato di lasciare ulteriore spazio al movimentismo di Salvini. Sulla sua leadership, per ora, non tramonta mai il sole: da una parte rivela di aver chiamato Conte e dice che la maggioranza «è granitica»; dall’altra annuncia che lunedì prossimo rivedrà Berlusconi, con cui «c’è unità d’intenti». Il leader della Lega mostra insomma di controllare maggioranza e opposizione.
Nomine. «Ci sono altri censimenti politici da fare: il primo è quello dei raccomandati della Pubblica amministrazione e tra questi anche quelli che ci sono in questa azienda, la Rai», dichiara Di Maio. Le parole del ministro scatenano la reazione dem. «Schedare i dipendenti Rai? Mai si erano sentiti toni del genere, così intimidatori», attacca Michele Anzaldi. Tuttavia proprio in tv Di Maio aveva spiegato: «Nessuna azione intimidatoria, però se c’è un governo del cambiamento dobbiamo ristabilire un po’ di meritocrazia». Dietro la frase di Di Maio c’è la volontà di cambiare pelle alla Rai. A partire dalle nomine per i vertici. Si ragiona al momento su diversi nomi, ma l’idea che serpeggia nel Movimento è chiara: quella di selezionare un direttore generale inflessibile. Come stabilisce la legge, se ne occuperà la commissione di Cassa Depositi. La prossima settimana l’assemblea verrà aperta e lasciata aperta in attesa del cda. Scannapieco (Bei) e Tononi sono i candidati più forti. Qualche giorno fa Roberto Fico lo ha ricordato sia al Movimento sia alla Lega: «II modo in cui la politica si comporterà sulla Rai sarà il primo vero banco di prova della legislatura». La scelta su Cdp ha subito un rallentamento. Complice l’inchiesta sullo stadio della Roma che ha coinvolto l’avvocato Lanzalone, nominato in “quota grillina” alla presidenza di Acea. Con ogni probabilità la prossima settimana l’assemblea di Cassa verrà aperta per approvare il bilancio e verrà lasciata aperta in attesa delle liste per comporre il Cda. Fino ad ora si è consumato un vero e proprio braccio di ferro tra il Carroccio e il Movimento 5Stelle su questa nomina. In Cdp i grillini potrebbero dirottare – con il sostegno delle fondazioni – Dario Scannapieco, l’attuale vicepresidente della Banca europea per gli investimenti.
Politica estera
Vertice migranti. Un vertice informale e straordinario sui migranti che preceda il Consiglio europeo. Domenica prossima a Bruxelles. Intorno a un tavolo Italia, Francia, Germania e Spagna, più le due presidenze di turno dell’Unione, quella in chiusura, la Bulgaria, e quella che sta per aprirsi, l’Austria. Ovviamente insieme con i rappresentanti delle istituzioni della Ue: presidente della Commissione e presidente del Consiglio, Donald Tusk, che oggi sarà ricevuto dal presidente del Consiglio italiano e avrà una colazione al Quirinale, insieme al capo dello Stato e al ministro degli Esteri. L’incontro servirà a mettere nero su bianco la proposta sulle «piattaforme regionali per gli sbarchi dei migranti» e la riforma del regolamento di Dublino da sottoporre al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno. Nella prima bozza diffusa ieri delle conclusioni del Consiglio si introduce, su proposta dell’Italia e con il sostegno dell’Alto commissario per i rifugiati Onu Filippo Grandi, il concetto di «piattaforme di sbarco regionali, in stretta collaborazione con l’Unhcr e l’Oim». Ossia centri «per gestire quanti prendono la via del mare e sono salvati nel corso di operazioni di ricerca e salvataggio». Dovranno servire per distinguere tra imigranti economici e quanti necessitano di protezione, «riducendo l’incentivo ad imbarcarsi per viaggi pericolosi». Giovedì la bozza verrà esaminata (ed eventualmente aggiornata) dagli ambasciatori dei 27 Stati membri. Domenica 24 ilvertice ristretto a Bruxelles. Ovviamente il fine ultimo del vertice sarebbe quello di dare maggiore sostanza ad una bozza di conclusioni del prossimo Consiglio europeo, di cui ieri sono uscite alcune anticipazioni, che finora sono apparse a tutti i principali attori coinvolti al di sotto delle aspettative. La collaborazione fra Unione Europea e Nazioni Unite avrebbe il merito di dare un indirizzo preciso ad un’Unione che al momento, dopo il sostanziale e definitivo fallimento del regolamento di Dublino, è alla ricerca di un percorso che sia all’altezza del momento e degli anni a venire.
Il pugno duro di Trump sull’immigrazione clandestina. La levata di scudi contro la linea dura dell’amministrazione Usa, che ha portato a separare duemila bambini dalle famiglie entrate clandestinamente dal Messico, non smuove di un millimetro Donald Trump. Anzi i consiglieri del presidente preparano una nuova stretta sull’immigrazione da varare prima delle elezioni di metà mandato del prossimo novembre. In realtà le immagini che hanno indignato mezzo Paese sui minori radunati nelle gabbie non sono una novità dell’era Trump. Già il mese scorso The Donald ha criticato i democratici che hanno condiviso foto simili a quelle diffuse in questi giorni perché si tratta di scatti pubblicate dal The Arizona Republic nel 2014, durante il secondo mandato di Barack Obama. «I democratici twittano erroneamente foto del 2014 durante Obama che mostrano bambini nelle gabbie al confine», ha scritto il tycoon: «Hanno pensato che fossero immagini recenti per farci sembrare cattivi, ma gli si sta ritorcendo contro». Persone nelle gabbie, i bambini allontanati dai genitori e sdraiati su materassini sparsi alla rinfusa sul pavimento. Ieri la situazione era già rientrata nel format classico dell’evento mediatico. I racconti e le voci smentiscono le rassicurazioni che arrivano dalla ministra per la Sicurezza interna, Kirstjen Nielsen: «Non ci sono abusi, stiamo applicando la legge». Anne Chandler, direttrice dell’ufficio del Tahirir Justice Center di Houston, ha raccontato al Texas Monthly di aver raccolto diverse testimonianze: «Porto tuo figlio a lavarsi» avrebbero detto gli agenti ai genitori, per poi sparire con i bambini. I poliziotti hanno bloccato il ponte: tutti coloro che arriveranno nei prossimi giorni senza documenti in regola dovranno aspettare lì, non si capisce dove. Le procedure sono confuse, con larghi, troppi margini di discrezionalità.
Economia e finanza
Risoluzione del Def. Via libera della Camera e del Senato alla Risoluzione di Lega e Movimento 5 Stelle sul Documento di economia e finanza, premessa della legge di bilancio del 2019. Un atto che sollecita il governo ad eliminare gli aumenti dell’Iva previsti per il prossimo anno e a varare subito i primi provvedimenti previsti dal Contratto di programma. La richiesta all’esecutivo di impegnarsi ad aprire un negoziato con la Ue per ottenere nuova flessibilità di bilancio. Anche se quello è l’obiettivo della maggioranza e l’intenzione del governo, secondo il quale non è inconciliabile con la riduzione del debito pubblico, che per il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, resta comunque prioritaria. «E’ bene non mettere a repentaglio» la discesa del debito/ Pil, ha spiegato, perché rappresenta «una condizione necessaria per rafforzare la fiducia dei mercati, imprescindibile per la tutela delle finanze. Nel quadro programmatico a settembre indicheremo le opportune coperture per le riforme strutturali pubbliche, dei risparmi degli italiani e per la stabilità della crescita». Passaggi come questi preparano per Tria una buona accoglienza all’Eurogruppo di domani: «Siamo molto felici di quanto ha detto il ministro», spiega da Bruxelles una fonte tecnica, aggiungendo però che «si parlerà di flessibilità quando ci sarà un bilancio» per il 2019. All’orizzonte, sempre più chiaramente, si delinea un rinvio del pareggio di bilancio almeno di un anno, dal 2020 al 2021. Anche se quello è l’obiettivo della maggioranza e l’intenzione del governo, secondo il quale non è inconciliabile con la riduzione del debito pubblico, che per il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, resta comunque prioritaria. Il livello di deficit ha detto il ministro ieri in Parlamento, «sarà oggetto di una seria riflessione in sede di predisposizione del nuovo quadro programmatico». Preoccupato Matteo Salvini. Come se a parlare non fosse il ministro dell’Economia del cosiddetto «governo del cambiamento», ma ancora Pier Carlo Padoan. «Sembra quasi che non creda troppo al contratto» confida il vicepremier leghista dopo aver ascoltato le parole di Giovanni Tria in aula sul Documento di programmazione economica e finanziaria. Un sospetto che permea le dichiarazioni, più trattenute, del ministro dell’Interno rilasciate dopo le votazioni sul Def in Senato. «Vogliamo rispettare le regole non infrangerle, rimettendo però al centro la crescita. Siamo al governo da 15 giorni, l’importante sarà dire che non si aumenta l’Iva».
Draghi: “Ripresa economica lenta. Servono investimenti”. La Bce sarà «paziente» quando valuterà la tempistica del primo rialzo dei tassi d’interesse nel 2019: la forward guidance si conferma dunque impostata sulla «pazienza», sulla «gradualità» e sulla «prevedibilità», con i tassi sui livelli attuali «almeno nell’orizzonte dell’estate 2019 e in ogni caso finché sarà necessario». Il presidente Mario Draghi ha così leggermente rafforzato ieri il linguaggio «ampiamente accomodante» della politica monetaria della Banca centrale europea che si avvia ad entrare nella nuova era del dopo-Qe. Un primo aumento dei tassi non è previsto prima di almeno altri quindici mesi. «L’incertezza permea le prospettive — ha detto ieri il presidente della Bce —. I dati più recenti sollevano interrogativi sulla tenuta delle previsioni di crescita». Questa è stata senz’altro la parte più nuova dell’analisi di Draghi ieri a Sintra. Draghi in questo momento non è rassicurato dal passo della ripresa: dall’inizio dell’anno le previsioni di crescita dello staff Bce sono già state riviste al ribasso dello 0,3%, mentre da Parigi l’istituto statistico Insee vede un aumento del prodotto non oltre l’1,7% dopo il 2,3% della Francia l’anno scorso. La frenata oggi è evidente e le implicazioni si vedranno presto anche in Italia. Lo stesso Draghi ieri ha definito questa ripresa europea «breve come durata e piccola come dimensioni»: negli ultimi quarant’anni di solito le fasi di espansione in Europa sono durate poco meno di otto anni dal punto più basso al picco e l’economia si è espansa del 21%; questa volta invece è diverso, ha fatto notare il presidente della Bce, perché la ripresa almeno in questa fase sta rallentando dopo soli cinque anni e il reddito è salito appena del 10%. Il presidente della Bce intravede dietro il rallentamento di questi anche cause più vicine: «La mancanza di investimenti più forti, il cui contributo alla crescita nell’area euro in questa fase è «approssimativamente zero». In sostanza l’espansione europea si è nutrita del fatto che otto milioni di occupati in più sono stati messi al lavoro sugli impianti esistenti, ma ora questo non basta più a sostenerla. E nei corridoi della conferenza a Riga hanno tenuto banco anche le tensioni dei mercati provocate dal rischio di ritorsioni in risposta alle decisioni di Trump. L’impatto sulla crescita globale e sull’andamento dell’economia è dato anche dal solo timore di una guerra commerciale.