Politica interna
Salvini, lite con la Difesa sulle missioni internazionali. Diventa un caso politico lo sbarco avvenuto sabato sera al porto di Messina del pattugliatore irlandese «Samuel Beckett» con 106 profughi a bordo quasi tutti di nazionalità sudanese, salvati dalla nave militare irlandese tra il 4 e il 5 luglio in acque Sar maltesi e senza coordinamento con Roma. La nave «Beckett» partecipa alla missione europea «Euronavformed – Operazione Sophia» avviata nel 2015 contro la tratta di esseri umani nel Mediterraneo. E dal febbraio scorso è a guida italiana. Il piano è stato concordato tre anni fa in sede di Unione Europea e tutti gli Stati membri aderiscono ad eccezione della Danimarca e della Slovacchia. Al momento di vararla, il nostro Paese ha posto come condizione quella di ottenerne la guida poiché si tratta di un’operazione strategica per il controllo del Mediterraneo, ma anche perché consente di trattare in sede Onu e Nato tutto ciò che avviene in questo spazio di mare. «Dopo aver fermato le navi delle Ong — ha annunciato Salvini — giovedì porterò al tavolo europeo di Innsbruck la richiesta italiana di bloccare l’arrivo nei porti italiani delle navi delle missioni internazionali attualmente presenti nel Mediterraneo. Purtroppo i governi italiani degli ultimi cinque anni avevano sottoscritto accordi perché tutte queste navi scaricassero gli immigrati in Italia. Col nostro governo la musica è cambiata e cambierà». Il ministro dell’Interno preannuncia una riunione per oggi con il premier Conte e scatena l’irritazione della collega della Difesa Elisabetta Trenta, costretta a far sottolineare dal suo ministero che la competenza non è del Viminale: «Eunavformed è una missione europea ai livelli Esteri e Difesa, non Interni. Quel che vanno cambiate sono le regole di ingaggio della missione e occorre farlo nelle sede competenti, non a Innsbruck. L’azione deve essere coordinata a livello governativo, altrimenti l’Italia non ottiene nulla oltre a qualche titolo sui giornali, fermo restando che la guida italiana per noi è motivo di orgoglio». L’incontro di giovedì a Innsbruck non sembra certo il terreno più favorevole per la richiesta italiana che punta a rinegoziare quello che il ministro dei Trasporti Toninelli definisce il «folle accordo europeo Sophia con cui Renzi ha svenduto gli interessi dell’Italia».
Pd, reazioni all’attacco di Renzi a Gentiloni. Il giorno dopo l’assemblea nazionale del Pd, «un po’ inutile, è servita solo a regolarizzare la situazione di Martina», come riferito da Beppe Sala, le macerie di un partito incapace di elaborare il lutto del 4 marzo sono ancora tutte lì. Alimentate anzi da una nuova spaccatura — l’attacco a freddo di Matteo Renzi contro Paolo Gentiloni, accusato di essere uno degli artefici della sconfitta — che le rende addirittura più ingombranti e difficili da rimuovere. Paolo Gentiloni è infuriato con Matteo Renzi, offeso per l’attacco subito e molto amareggiato sul piano politico. Gentiloni non ha mai nascosto che la responsabilità della sconfitta alle Politiche sia anche sua. Perché, malgrado i buoni risultati del suo governo, il voto del 4 marzo è un giudizio su un’intera classe dirigente, su un’offerta politica: questa è la considerazione che fa l’ex premier. Ma un conto è condividere le responsabilità, altro è attaccare a testa bassa per spaccare il campo. Renzi invece è stupito di tanta arrabbiatura, in pubblico sfodera una delle sue battute, «non faccio polemica ma politica». Fatto sta che la ferita inferta strappa un rapporto già logorato da mesi, produce una rottura politica che porterà dirette conseguenze. E la prima di queste è che «se aveva qualche residuo dubbio fino all’altro ieri a sostenere una candidatura antitetica come quella di Zingaretti, assai temuta da Matteo, oggi Paolo quel dubbio non lo ha più», garantisce uno dei dirigenti Pd a lui più vicini. «L’affondo di Renzi proprio non me l’aspettavo», insiste Martina, «queste divisioni interne non hanno senso, io voglio un Pd diverso, va attaccata la destra pericolosa ora al governo, non chi di noi ha servito bene il Paese». Una posizione largamente condivisa sulla nave in tempesta che è ormai il Pd. «Un partito in crisi puberale dal 5 marzo» secondo Carlo Calenda: «Siamo ancora fermi al “chi ha sbagliato”. Così non si va da nessuna parte», affonda l’ex ministro dello Sviluppo. E se Gentiloni è disponibile «a dare una mano a Zingaretti» è anche perché l’interessato ha fatto sapere chiaramente di non ambire a una corsa doppia, per segretario Pd e candidato premier del centrosinistra, quando sarà il momento. L’altro giorno, quando usciva dal’Ergife dopo l’assemblea dei rancori, a chi gli chiedeva se fosse d’accordo a separare le due cariche, come previsto dalle modifiche allo Statuto anticipate da Zingaretti, rispondeva placidamente «ma sì».
Politica estera
Thailandia, salvati 4 ragazzi dalle grotte di Tham Luang. I soccorritori si erano dati «tre o quattro giorni» per quella che il governatore thailandese di Chiang Rai a un certo punto aveva definito «Mission impossible». Ma ieri alle 13,50, ben tre ore abbondanti prima dei tempi previsti per il “D-Day” annunciato al mattino, dal buio e dal fango delle grotte di Tham Luang è emerso sano e salvo il primo calciatore degli ormai celebri 13 “Cinghiali selvaggi” di Mae Sai. Si sa che li hanno accompagnati all’aria aperta quasi per mano grazie a guanti speciali e corde anti-scivolo attraverso perigliosi percorsi di rocce e di fango dentro cunicoli e ripidi saliscendi. «L’importante è averli visti fuori in carne ed ossa», ha detto il governatore tra applausi di congratulazioni e di sollievo. Eppure, le previsioni dicevano: se tutto andrà bene, serviranno almeno 11 ore. «Siamo andati molto più rapidamente di quanto pensavamo», ha aggiunto in una conferenza stampa il governatore di Chiang Rai, Narongsak Osanakorn. Nella grotta, con il livello dell’ossigeno che diminuisce pericolosamente e la pioggia intensa, restano in nove, otto giovani calciatori dei “Cinghiali” e il loro allenatore. Le previsioni del tempo sono drammatiche. La pioggia monsonica non accenna a fermarsi. Ci sono due o tre giorni ancora in cui si può tornare nelle grotte di Tham Luang, poi le pompe che lavorano a pieno regime non riusciranno ad abbassare il livello dell’acqua. Per questo la squadra di sub che ieri ha salvato i primi quattro ragazzi, vuole riportare fuori gli altri oggi, e dunque la missione riprenderà già all’alba di oggi. La squadra dei ragazzi dei “Cinghiali”, intrappolati da sedici giorni nella grotta thailandese, tirati fuori da una squadra di sub internazionali: cinquanta stranieri che in questi durissimi giorni hanno collaborato con quaranta soccorritori locali. Sono professionisti australiani, cinesi, belgi, tedeschi e danesi. Ci sono anche alcuni soccorritori americani, come Trump ha sottolineato ieri in un tweet. Si tratta di 36 militari del Comando del Pacifico degli Stati Uniti, tra cui una squadra di ricerche di 12 uomini, alcuni dei quali sub esperti. Sono però gli inglesi che hanno fatto la parte del leone nel team internazionale, il cui contribuito al successo della prima parte del salvataggio è stato determinante. Tra questi, un ruolo decisivo l’ha avuto Vern Unsworth, speleologo professionista che vive in Thailandia e conosce molto bene le grotte.
L’Austria porta avanti la linea dura sull’immigrazione. L’Austria è da nove giorni presidente di turno della Ue e spinge a tavoletta sull’acceleratore per promuovere la linea dura sulla gestione della crisi dei migranti. Non solo confini europei sigillati, per bloccare qualunque sbarco o arrivo via terra non controllato. Presto, se passerà il piano di nove pagine illustrato la settimana scorsa a Vienna, alla riunione dei funzionari del Cosi (Comitato per la cooperazione in materia di sicurezza interna del Consiglio Europeo), sarà impossibile presentare qualunque domanda di asilo nei nostri Paesi. Dovrebbero essere gli StatiUe a scegliere quante persone far venire. Nei campi- «hotspot» – creati fuori dal territorio dell’Unione le organizzazioni internazionali come l’Unhcr o la Iom dovrebbero identificare chi ha davvero bisogno di protezione, su mandato dei singoli Paesi Ue. Ogni membro Ue potrà stabilire a quanti migranti concedere l’asilo. Ma non solo. Stando a fonti austriache citate dalla Faz, durante il recente incontro con Kurz, il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer avrebbe proposto al governo austriaco di chiudere totalmente i confini con l’Italia. La logica sarebbe quella di mettere in difficoltà il governo Conte, se all’imminente riunione dei ministri dell’Interno a Innsbruck, Matteo Salvini dovesse confermare l’indisponibilità a stringere un accordo bilaterale con Berlino per riprendersi una quota di rifugiati registrati in Italia. Fonti governative raccontano inoltre a questo giornale di colloqui in corso con la Francia di Emmanuel Macron per un accordo che preveda uno scambio tra profughi, sulla falsariga di quanto già stabilito con Spagna e Grecia, ma anche dei pre-accordi con Angela Merkel con undici Paesi – tra cui la Francia – che avrebbero promesso intese simili.
Economia e Finanza
Decreto dignità. Le nuove regole introdotte dal decreto dignità porteranno le imprese a rivedere i processi organizzativi sulla gestione delle risorse umane. Il prossimo effetto di irrigidimento sul mercato del lavoro non è il risultato di un esercizio teorico. Se con l’impianto delineato dal Jobs act i datori erano infatti sicuri di poter contare su un polmone di flessibilità (da non confondere con “precarietà”), per far fronte alle variabili dei rispettivi settori, ora non sarà più così: l’uso dei contratti a tempo determinato potrà avvenire con il contagocce. Le aziende, in questo senso, trovandosi prive della giusta cornice di flessibilità dell’impiego, saranno portate ad adottare politiche di maggior turnover. Da qui l’affondo di Berlusconi contro il decreto che — come ha scritto ieri in una lettera al Corriere della Sera — danneggia «le aziende» e fa tornare «Il peggio della sinistra dirigista». Si aprono due fronti. Il primo, più scontato e diretto, con il M5S, che con il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio il decreto l’ha fortemente voluto e lo difende a spada tratta: «Berlusconi è preoccupato perché il nostro provvedimento è contro le lobby». L’altro fronte con la Lega. Perché FI e il Carroccio restano ufficialmente alleate, ma il leader azzurro nella sua critica durissima a provvedimenti che «riducono posti di lavoro, favoriscono il lavoro nero» e fanno del male sia ai lavoratori che alle aziende, chiama in causa anche Salvini e i suoi, dicendosi «certo» che si batteranno contro il decreto «tutti gli eletti con il programma del centrodestra». Nella Lega regna il silenzio. A replicare però c’è il M5S. Con parole di fuoco da parte di Di Maio: «Berlusconi — dice il vicepremier — è preoccupato per il decreto dignità? Forse perché abbiamo tutelato gli interessi delle fasce più deboli e non quelle delle lobby del gioco d’azzardo delle sue tv», dice. Mostrando di non voler fare passi indietro: «Se ne faccia una ragione, noi continueremo a lavorare nell’esclusivo interesse delle famiglie!».
Pensioni d’oro. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria è vicino anche alla scelta del nuovo direttore del Tesoro. Un incarico chiave anche in vista delle prossime scelte di politica economica. Fatta la squadra, per Tria gli impegni non mancano. A cominciare dai progetti che Lega e M5S vogliono portare avanti in Parlamento. Il primo, annunciato dal leader pentastellato Luigi Di Maio, impegnatissimo a recuperare terreno sull’altro vice premier Matteo Salvini, sarà il disegno di legge sulle pensioni d’oro atteso già questa settimana alla Camera. Operazione che sta scatenando la protesta delle rappresentanze dei dirigenti, come Federdirigenti e Cida, che paventano rischi di incostituzionalità e che i leghisti considerano un po’ una forzatura, essendo già nel programma di governo. Tria ha annunciato la creazione di tre commissioni tecniche per studiare gli interventi su welfare, fisco e investimenti pubblici, incaricate di fare analisi e simulazioni prima della decisione politica. Che arriverà solo con la legge di bilancio, quindi ad ottobre. Per allora il ministro spera di essere riuscito a convincere Bruxelles a concedere qualche margine in più di bilancio per attuare le riforme previste dal contratto giallo-verde. «Toccare le pensioni “di privilegio”, come le ha definite qualche giorno fa il presidente dell’Inps Boeri, sembra un gran messaggio, ma potrebbe rivelarsi un boomerang», osserva il leghista Alberto Brambilla, esperto di previdenza ed ex sottosegretario al Welfare. Che rilancia invece il piano messo a punto nel programma elettorale della Lega: un contributo temporaneo di solidarietà per una vasta platea di pensionati. Una proposta, assicura, che permetterebbe al governo di avere per i prossimi quattro-cinque anni le risorse necessarie ad affrontare le principali emergenze legate al welfare: l’invecchiamento della popolazione e la disoccupazione delle fasce più a rischio, senza pesare ulteriormente sul debito pubblico che va invece ridotto. E Inoltre risponde ai requisiti indicati dalla Corte Costituzionale, mentre il ricalcolo delle «pensioni d’oro» potrebbe rivelarsi illegittimo perché definitivo.