Politica Interna
M5S-Lega: al via le manovre per il futuro governo. Sono i vincitori di questa tornata elettorale: i 5 Stelle, primo partito, e la Lega, forza trainante del centrodestra primo classificato. Il Movimento vuole «parlare con tutti», Matteo Salvini invece si dice contrario a «strane alleanze». I punti in comune, probabilmente, non mancherebbero e in ogni caso vederli governare assieme è lo scenario preferito: quella tra grillini e leghisti è l’alleanza che un italiano su tre vorrebbe alla guida del Paese (il 32%). C’è un motivo se il Movimento è interessato all’accordo con il capo dei leghisti: in base ai differenti regolamenti delle due Camere, mentre a Palazzo Madama – superato l’alto barrage delle prime votazioni – il centrodestra avrebbe i numeri per eleggersi un presidente, a Montecitorio – dove serve invece la maggioranza dell’Assemblea – M55 avrebbe bisogno del sostegno altrui. E siccome per far partire la legislatura bisogna necessariamente trattare, si notano le difficolta nelle relazioni. «È presto», ripete Luigi Di Maio a chi gli mette davanti i no del Pd alle offerte di dialogo del Movimento 5 stelle. «Aspettiamo – ripete il capo politico – vi ricordate quanto ci è voluto l’ultima volta? Se non ci faranno fare nulla, possiamo sempre votare una nuova legge elettorale insieme alla Lega e tornare alle urne. Continueremo a crescere. Di certo, è l’ultima cosa che vogliono». Non è questo, però, il tempo delle minacce. Questo è il tempo dell’attesa. Ciò dimostra la volontà di Luigi Di Maio di aprire una reale trattativa sul programma per un “governo di cambiamento”. E Matteo Salvini «non si scansa», esclude passi indietro e studia possibile alchimie per far quadrare un governo. E ai comunisti pronti al grande salto, l’uomo che ha portato la Lega al sorpasso nei confronti di Forza Italia apre la porta e le braccia: «Vedremo di raccogliere quella forza, quella passione di ascoltare gli artigiani, gli operai, i precari che qualcun altro ha perso».
Pd in rivolta: no a M5S. Un alleato, almeno uno. Matteo Renzi prova a riconquistarlo in gran segreto al Nazareno. Con Graziano Delrio si ritrova faccia a faccia di buon mattino. Discutono, provano a chiarirsi. I delegati della direzione che fanno capo al ministro, d’altra parte, sono preziosi per evitare un clamoroso ribaltone interno. Ma al Nazareno lo scontro resta comunque violentissimo. I big vogliono la resa del segretario, senza condizioni. E sono pronti alla conta nei gruppi parlamentari, per scegliere due capigruppo che “gestiscano” le consultazioni senza sbattere la porta in faccia al Quirinale, in caso di appello alla responsabilità di fronte allo stallo sul nuovo governo. Il nodo resta la possibilità di aprire una discussione con il M5S, senza il quale nessuna formula di governo è possibile. Per evitare la frantumazione, gli ambasciatori delle due cordate lavorano in queste ore anche a un clamoroso compromesso: il prossimo segretario non sarebbe scelto da un congresso, ma durante un’assemblea nazionale dem che dovrebbe tenersi in aprile, dopo le consultazioni. Non un reggente, quindi, ma una figura di compromesso destinata a durare fino alla scadenza naturale nel 2021. Sia chiaro, i rapporti sono deteriorati oltre il livello di guardia. E così, la leadership renziana. La notizia arriva nel pomeriggio e mette tutti in allarme: Matteo Renzi potrebbe non partecipare alla Direzione di lunedì prossimo. In realtà il segretario dimissionario non ha ancora deciso il da farsi, ma l’indiscrezione preoccupa i vari Franceschini, Delrio, Gentiloni, Martina, Minniti, cioè tutti gli esponenti della maggioranza del Pd che hanno preso le distanze dal leader, il quale sembra cadere dalle nuvole quando legge le dichiarazioni degli esponenti della fu maggioranza Pd sul suo conto: “Io sto fuori da tutto, che vogliono ancora da me?”, ripete ai suoi prima di partire per la sua Firenze e non per andare a sciare, com’era stato detto. E aggiunge: «Non sono più una notizia, non sono più il leader, quello è Di Maio, io non esisto. Se vogliono fare l’accordo con i 5 Stelle o con la destra lo dicano in Direzione, ma non tirino più in ballo me».
Politica Estera
La svolta di Pyongyang: pronti a bloccare il nucleare. Negli ultimi mesi, in particolar modo dopo l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, è aumentata la tensione attorno alla Corea del Nord, soprattutto perché Pyongyang non ha mai interrotto i suoi test missilistici. Poi un primo disgelo tra le due Coree si è visto alle recenti Olimpiadi invernali e sta proseguendo ora con la visita di una delegazione del Sud al Nord. Obiettivo arrivare a un summit ai vertici tra i due Paesi. Fatto sta che, un po’ a sorpresa, Kim Jong-un dice di essere disposto a discutere con gli americani lo smantellamento del suo programma nucleare e, durante le trattative, pure a tenere chiuso nel cassetto il pulsante dei test missilistici. Dichiarazioni sorprendenti e incoraggianti visto che ancora nel discorso di Capodanno il Maresciallo dichiarava di avere il bottone atomico sulla scrivania e Donald Trump rispondeva che il suo bottone era «più grosso». Trump lancia i soliti tweet: «Vedremo che cosa succederà… possibile progresso… forse una falsa speranza… in entrambi i casi andremo avanti decisi». Del resto da Pyongyang non è ancora arrivata la conferma ufficiale dell’apertura. Ma per quanto indiretta, la versione che ne dà Seul è di quelle che non prevedono smentita: «La Nord Corea ha chiarito che non avrebbe ragione di mantenere il suo arsenale nucleare se la sopravvivenza del regime fosse garantita». Si tratta adesso di capire cosa chiederà Kim in cambio della marcia indietro sul nucleare, l’arma che ha portato il suo regime dalla mappa del folklore a quella della geopolitica.
Ex spia avvelenata, tensione Londra-Mosca. La Gran Bretagna non resterà a guardare mentre sul suo territorio agenti stranieri compiono spettacolari tentativi di assassinio degli avversari. E dunque reagirà in maniera «robusta» di fronte a qualsiasi prova di un coinvolgimento di Mosca nell’avvelenamento dell’ex spia russa Sergej Skripal e di sua figlia Yulia. Entrambi rimangono ricoverati in condizioni critiche al reparto rianimazione dell’ospedale cittadino. Dove sono stati ricoverati anche tre uomini dei mezzi di soccorso e della polizia che erano sul posto. Con una tenda anti-contaminazione sopra la panchina su cui sedevano le due vittime quando hanno perso i sensi e i cordoni gialli delle forze dell’ordine attorno al ristorante Zizzi e al pub Bishop’s Mill dove si erano evidentemente fermate, il sospetto di un complotto venuto da Mosca esiste. Una possibile vendetta o punizione esemplare contro un uomo condannato in Russia a 13 anni di carcere per “alto tradimento” e liberato nel 2010 solo grazie a un clamoroso scambio con agenti del Cremlino negli Stati Uniti, fra cui la celebre Anna “la Rossa” Chapman. Circostanze che hanno riportato alla memoria l’avvelenamento col polonio radioattivo dell’ex agente del Kgb Aleksandr Litvinenko, avvenuto a Londra nel 2006 e imputato direttamente a Putin. Un assassinio evocato ieri esplicitamente in Parlamento dal ministro degli Esteri britannico Boris Johnson, che ha descritto la Russia come «una forza maligna e distruttrice». Johnson ha ammonito «i governi del mondo che nessun attentato a vite innocenti sul suolo britannico resterà impunito». Quindi ha aggiunto che se dovesse emergere un legame fra la Russia e l’incidente di Salisbury «sarebbe molto difficile immaginare» che la presenza britannica ai mondiali di calcio di questa estate a Mosca possa procedere «in maniera normale». Da Mosca però respingono ogni accusa. Dopo le parole di Johnson, il ministero degli Esteri russo ha definito «una follia» pensare di boicottare i Mondiali.
Economia e Finanza
Voto e mercati: i gestori guardano al «fattore-ripresa». Boom di consensi per la Lega nei distretti industriali del nord, valanga M5S in quelli del sud. E’ netto l’orientamento politico delle principali aree manifatturiere del Paese uscito dalle urne. Un voto di cambiamento, una richiesta di svolta che pure arriva dalle aree più sviluppate e lanciate” del Paese, che negli ultimi due anni più hanno beneficiato della ripresa economica in atto. Nessun tono d’allarme: i M5S sono «un partito democratico, non fanno paura» ha detto il presidente di Confindustria Boccia. Ma «non si tocchino provvedimenti che hanno dato effetti sull’economia reale». L’ad Fca Marchionne: «Salvini e Di Maio non mi fanno paura. M5S? Ne abbiamo passate di peggio». L’esito elettorale, quindi, in Italia non ha prodotto onde lunghe sui mercati. I gestori dei fondi dicono: guardiamo di più alla ripresa economica. Nonostante l’affermazione oltre le attese di Lega e 5stelle e l’esclusione di ogni possibilità di larghe intese (l’ipotesi più favorita dai mercati) non s i vede alcun segnale di nervosimo. L’ingovernabilità e l’instabilità politica tipici del nostro Paese si stanno dimostrando essere un male comune in Europa come dimostrano i casi di Spagna, Paesi Bassi e Germania. I mercati ci stanno prendendo l’abitudine e in questo contesto preferiscono restare in attesa di capire l’evoluzione degli eventi prima di prendere posizione.
Nessun allarme dalle Ue: il voto non turba la crescita economica. ll professor Marcel Fratzscher, alla guida dell’influente think tank tedesco l’istituto di ricerca economica DIW Berlin, è cautamente ottimista, Italia ed Europa hanno davanti «almeno altri tre anni di crescita solida». Germania e Berlino guardano all’Italia «con preoccupazione» dopo le elezioni. Positivo il fatto che l’Italia non vuole più uscire dall’euro e che sia stata «responsabile» nella politica fiscale. Ma la strada delle riforme non può essere abbandonata: «Spetta all’Italia, non all’Europa, risolvere i problemi italiani. In Germania e a Berlino guardiamo alla situazione in Italia dopo le elezioni con preoccupazione. Ma è nell’interesse di tutti, dell’Italia, della Germania e dell’Europa che l’Italia continui sulla strada delle riforme strutturali che generano crescita e posti di lavoro. È anche vero però che siamo tutti più rilassati da quando i partiti anti-europeisti hanno tolto l’uscita dall’euro dal tavolo: il M55 ha abbandonato l’idea di un referendum sull’euro. Tutti in Italia ora riconoscono che stare nell’euro è importante. L’Italia cresce bene e il Pil italiano continuerà a crescere secondo le mie previsioni per ancora tre anni. Prevedo che la crescita economica in Italia e in Europa continui ad essere robusta. In Italia c’è molto potenziale non utilizzato, lo vedo nell’alta disoccupazione giovanile. E le aziende italiane hanno capacità inutilizzata. Il nuovo governo italiano dovrà continuare sulla strada delle riforme per sostenere la crescita egenerare posti di lavoro.” Intanto, iI presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, è rientrato al palazzo Berlaymont lunedì con due certezze: la prima è che un nuovo governo tedesco adesso è pronto a mettersi al lavoro; ma la seconda è che l’Italia non è persa nelle mani degli sciovinisti e degli anti-europei. Non lo è ancora, per lo meno, perché esistono soluzioni a Roma per garantire il posto del Paese nel normale funzionamento politico-istituzionale dell’Unione europea.