Politica Interna
Migranti: scontro Italia-Malta. È tarda sera quando a Palazzo Chigi termina il vertice d’emergenza del premier Giuseppe Conte con i suoi vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio. E Conte alla fine pronuncia parole durissime: «Al premier maltese Joseph Muscat che ho contattato personalmente questa sera — dice — ho chiesto che si facesse carico almeno del soccorso umani delle persone in difficoltà sull’Aquarius. Muscat non ha assicurato alcun intervento. Si conferma l’ennesima indisponibilità di Malta, e dunque dell’Europa, a intervenire. L’Italia è in totale solitudine. Il regolamento di Dublino va cambiato». L’Aquarius avrebbe dovuto attraccare oggi alle 12 in Sicilia, ma è saltato tutto. Ieri il ministro dell’Interno Salvini ha negato l’approdo della nave con i 629 migranti soccorsi in acque libiche. Salvini aveva scritto subito alle autorità di Malta per invitarle a farsi carico dello sbarco come porto più vicino. Ma da La Valletta è arrivato l’ennesimo rifiuto: il recupero «è coordinato da Roma, Malta perciò non ha competenza». E iniziato così il braccio di ferro. Il più preoccupato per quello che sta accadendo è proprio Muscat che già ieri sera ha provato a trovare sponde nell’Unione europea. «Non abbiamo alcun interesse a creare un caso con l’Italia. Sulla migrazione abbiamo identici interessi con il governo italiano. E il salvataggio delle vite umane resta una priorità su tutto il resto». Come ha spiegato all’emittente maltese One Radio, il governo di La Valletta è certo di rispettare tutte le norme internazionali sulla migrazione. «È il quarto governo italiano con cui abbiamo rapporti e sono sempre stati eccellenti. Non ci sono ragioni per cui le cose devono cambiare», dice Muscat. «Noi continueremo a rispettare le regole. Ogni nostro passo è dimostrabile con documenti. Ci aspettiamo che anche gli altri governi europei stiano alla legge». Minacciando di chiudere i porti italiani a una nave franco-tedesca carica di migranti, il governo Conte lancia un triplice messaggio: di freno alle Ong; di pressione su Malta; di sfida all’Ue. Anche il rischio è triplice: di sostenibilità umanitaria; di apertura di una crisi bilaterale con La Valletta; di isolamento a Bruxelles. Roma deve domandarsi se può affrontarli tutti e tre contemporaneamente; se il gesto è dimostrativo, a quale sia la via d’uscita. Con la collaborazione libica, Marco Minniti aveva già dato una stretta alle Ong, interdicendo le acque territoriali.
Elezioni amministrative. Dai primi dati parziali si conferma l’ascesa della Lega, che traina il centrodestra. E Il sospetto che sul risultato abbia influito la linea dura sui migranti del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, è legittimo. Il Pd in crisi resiste. Sette milioni di italiani sono tornati alle urne per eleggere i sindaci di 761 Comuni, 20 dei quali capoluogo. Si è votato fino alle 23, e l’affluenza si è attestata in calo rispetto alla tornata di precedenti Comunali, al 61%. Il grosso delle partite non si definirà però oggi: in molti casi sarà il ballottaggio, tra due domeniche, a decidere il vincitore. Tutti lo definiscono comunque «un test importante», per la maggioranza appena insediata e per le opposizioni uscite malconce dalla prova del 4 marzo. E la principale notizia appare quella dello stallo dei Cinque Stelle: fuori da tutti i principali ballottaggi, inchiodato a percentuali molto basse nel Nord ma anche nel Centro, non si sono rifatti neppure a Sud e in Sicilia. Pagano lo scarso radicamento. Per la Lega è diverso. Accarezza il sogno di capitalizzare in tempi non lunghi un’ascesa impensabile fino a sei mesi fa. Viene letto come la conferma di una linea di tendenza e di una strategia che fa della sicurezza e della tolleranza zero contro l’immigrazione una bandiera; e la sventola in un’eterna campagna elettorale, stavolta usando il Viminale come piedistallo e amplificatore. Il centrodestra si conferma in crescita e avanza nel Nord (dove appare pronto a riprendersi Sondrio e Treviso, forse anche Vicenza) ma anche nel Centro, dove potrebbe conquistare sia Terni in Umbria (in ballottaggio con il grillino) che Massa in Toscana. Il Pd era il più esposto a pagare un conto salato all’ondata populista, visto che partiva da più in alto di tutti: dei venti comuni capoluogo dove si è votato, ben quindici erano governati da sindaci di centrosinistra. A cominciare da Pisa, roccaforte della rossa toscana che – si teme – potrebbe essere espugnata dal centrodestra.
Politica Estera
Summit Kim-Trump. Il grande giorno è arrivato. Gli occhi del mondo sono puntati su quel che accadrà domani qui a Singapore, nel “vertice del secolo” fra Donald Trump e Kim Jong Un. Evento inaudito, impensabile ancora pochi mesi fa. C’è chi spera nel miracolo: pochi per la verità, a parte il presidente degli Stati Uniti. È più diffuso lo scetticismo, il sospetto che stia per accadere una sceneggiata, una commedia degli equivoci. Peggio ancora, c’è chi tifa apertamente perché Trump sia finito in una trappola ordita da nordcoreani e cinesi. Il primo punta al colpaccio: la de-nuclearizzazione e la pace con la Corea del nord. Mentre il leader supremo di Pyongyang vuole cancellare l’embargo contro il suo paese per svilupparne l’economia, e non può riuscirci senza il via libera di Washington. Per questo le aspettative per una svolta clamorosa sono enormi a Singapore. Kim è atterrato all’aeroporto Changi alle 2 e 40 del pomeriggio di ieri a bordo di un Boeing 747 della compagnia cinese Airchina e non del suo Ilyushin. Pechino gli ha messo a disposizione l’aereo che viene utilizzato anche dal presidente Xi Jinping. Il segnale politico è chiaro: se l’iniziativa del dialogo con Pyongyang è stata finora mona polizzata da Trump, la Cina non starà a guardare come spettatrice passiva gli sviluppi nel paese confinante e alleato. «Tutto il mondo ci guarda», ha dichiarato Kim prima di incontrare Lee Hsien Loong, che ha ringraziato per «aver permesso di portare a termine i preparativi per questo storico summit». Il vertice costerà 20 milioni di dollari, una spesa che il premier di Singapore ha definito «nei nostri profondi interessi». Trump è atterrato qualche ora dopo nella base militare di Paya Lebar con l’Air Force One. E mentre in volo faceva saltare per aria i risultati del G7, in fondo mandava anche un messaggio a Kim: ecco di cosa sono capace. La stessa spregiudicatezza da negoziatore d’affari che il tycoon proverà a far valere anche domani mattina alle 9, le 3 di notte in Italia, quando i due si troveranno finalmente faccia a faccia all’hotel Capella di Sentosa.
Ue: politiche sull’immigrazione. Proprio in queste settimane si sta giocando, ai tavoli europei, una partita decisiva per il nostro Paese che riguarda la riforma del c.d. «Dublino III», ovvero il Regolamento della Ue entrato in vigore il 1 gennaio 2014. Esso definisce i criteri per individuare quale sia lo Stato membro a doversi fare carico della richiesta di asilo di una persona giunta sul territorio europeo da un Paese terzo. Tra i criteri vi è quello dell’unità familiare (ricongiungimento al coniuge, genitori, o figli minori), o il fatto che un Paese abbia già rilasciato un permesso di soggiorno. Si aggiunge ad essi anche quello che individua la competenza dello Stato sulla base del primo ingresso irregolare dello straniero: criterio divenuto, ormai, prevalente. Da mesi è in discussione il c.d. «Dublino IV». C’è una risoluzione del Parlamento europeo, votata nel novembre del 2017, che, pur migliorabile, rappresenta una interessante base di partenza per la discussione. Essa introduce un meccanismo di ripartizione fisso (le «quote») dei richiedenti asilo in tutti i Paesi Ue, elaborato sulla base di dati oggettivi (popolazione e Pil) e prevede il superamento del criterio in base al quale la competenza all’esame delle domande di asilo si radica in capo al Paese di primo ingresso. Sull’argomento, pur non parlando direttamente del caso esploso in Italia con il divieto di approdo per la nave Aquarius, è intervenuta anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel: «In Europa occorrono norme comuni in materia di asilo. E abbiamo bisogno di una polizia di frontiera europea. Userò tutte le mie forze per questo». L’obiettivo primario che viene esplicitato è quello che riguarda «la nostra sicurezza», infatti Merkel spiega chiaramente che «bisogna fare di più» e non a caso chiarisce che «questo significa anche aumentare il budget per la difesa». Ma alla fine tutto riporta al problema dei migranti e dunque a un controllo delle frontiere «esterne». Il prossimo appuntamento per confrontarsi con gli Stati dell’Unione è fissato al Consiglio che si svolgerà a fine mese e avrà all’ordine del giorno proprio il tema dei migranti.
Economia e finanza
Centri per l’impiego. Dovrebbero essere il fulcro del reddito di cittadinanza, ma allo stato attuale i 501 centri per l’impiego italiani segnalano problemi di organico e di dotazioni informatiche. Dall’ultimo monitoraggio sul 2017 dell’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive, risulta che le forze in campo sono circa 8mila e per ogni addetto ci sono 360 persone in cerca di lavoro da seguire. A quante persone dovrebbe trovare lavoro un Centro per l’impiego (Cpi) che funzioni? «Al 10-15% di chi bussa alla sua porta» stima Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro che coordina i Cpi d’Italia. E a quante effettivamente lo trova? «A meno del 3%». Spostandosi dai numeri agli esempi il quadro non cambia, peggiora. «Gli uffici non condividono i dati – prosegue -, neanche quando sono vicini di casa come Lecco e Como. Con il risultato che un aspirante infermiere non vede se l’ospedale dell’altra città ha un posto vacante. Arriviamo al paradosso di poter visualizzare sul portale europeo Eures le proposte della Grecia ma non quelle della provincia a fianco». Appare così lampante come un po’ dovunque ci sia “scarsità” di forze in campo in quegli uffici pubblici che dovrebbero essere il fulcro del reddito di cittadinanza, uno dei pilastri del nuovo Governo. Gli operatori in Italia sono poco meno di 8mila in 501 strutture, uno zero virgola rispetto ai 110 mila tedeschi, ai 45 mila francesi e ai 60 mila della Gran Bretagna. C’è quindi ben poco da stupirsi di fronte ai dati Eurostat che evidenziano come nel nostro paese, su 30 miliardi spesi l’anno per le politiche del lavoro, 22,3 vadano alle politiche passive (sussidi monetaria disoccupati e cassintegrati), circa 7 a quelle attive (compresi gli incentivi all’assunzione) e appena 700 milioni ai servizi per l’impiego. In pratica una spesa di poco più di 200 euro per disoccupato, mentre in Germania se ne “investono” oltre 6 mila. Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio promette di finanziarli con 2 miliardi. Basteranno? «Sono utili ma non sufficienti – commenta il presidente Anpal -. Do per scontato che sia un investimento annuale altrimenti non serve».
Trump manda all’aria il G7. Il premier canadese Justin Trudeau scende rapidamente da una rampa di scale, attorniato dai suoi consiglieri. Ha appena terminato la conferenza stampa ed è scuro in volto, nervoso. Strano: il G7 è appena terminato con un documento faticosamente sottoscritto da tutti i leader, incluso Donald Trump. Si sapeva che sarebbe stata una riunione ad alta tensione, e così è stato. Ma alla fine i leader sono riusciti a salvare la faccia, come lo scorso anno a Taormina, con un comunicato congiunto che Trump fino all’ultimo ha messo in dubbio, ma poi ha accettato su insistenza dei partner. Un pannicello per tenere la fondamentale unità di facciata, ma che sui dazi lasciava una flebile speranza agli europei. Tanti scontri: dal commercio alla Russia. E una scia di polemiche. ll giovane premier scarica la frustrazione rispondendo alla domanda di un giornalista: «Il nostro Paese prende molto sul serio i dazi su acciaio e alluminio, perché danneggiano le nostre industrie. E inoltre prende molto sul serio il fatto che queste misure siano state adottate dal governo degli Stati Uniti in base a “ragioni di sicurezza nazionale”. Eppure i nostri soldati hanno combattuto fianco a fianco con gli americani dalla Prima guerra mondiale in avanti. Adesso sentir dire che siamo una minaccia perla sicurezza nazionale degli Usa, sembra un insulto». Quando le luci a La Malbaie si spegnavanoe i leader erano già in viaggio lo verso le rispettive capitali, è esplosa la furia di Trump che da 10 mila metri via Twitter ha accusato il premier canadese Trudeau di essere «debole e disonesto», ha annunciato che gli Usa toglieranno la firma al comunicato finale e ha minacciato i temutissimi (per gli europei) dazi sulle auto. Il resto del mondo è rimasto sbigottito, a caldo solo l’Europa ha reagito affermando di sentirsi ancora vincolata dalle conclusioni del G7 (appiglio per tenere vivo il dialogo sui dazi). Ieri quindi Macron sarcastico ha sottolineato che la diplomazia «non può essere dettata da dichiarazioni usa e getta» e ha invitato Trump ad essere «serio». Merkel, guardando soprattutto al mercato dell’auto, dice di essere delusa: «È deprimente, ma l’Europa deve prendere meglio il suo destino nelle proprie mani e difendere da sola i suoi valori, nel caso con il Giappone».