Politica Interna
Trattativa Lega-M5S. Nonostante il Quirinale aspetti risposte entro domani, non c’è ancora nulla di fatto per la formazione di un governo M5S-Lega. Anzi, la tensione fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini è altissima e il loro incontro di ieri non ha neppure prodotto una dichiarazione congiunta. L’appuntamento è rinviato a oggi: a Milano, al Pirellone, con l’obiettivo di stilare «un contratto di un governo». Ma Di Maio chiede già più tempo per arrivare alla firma. E comunque poi il testo verrà messo al voto sulla piattaforma grillina Rousseau di Davide Casaleggio, che ieri sera si è riunito con Di Maio e Beppe Grillo. Si parla di convergenze su flat tax, reddito di cittadinanza e superamento della legge Fornero, ma ci sono diversi contrasti, a partire dal caso Ilva: da chiudere per i 5S, da tenere aperta per la Lega. Ma, soprattutto, il vero nodo che non si scioglie è quello dei nomi per la presidenza del Consiglio e i ministri.
Berlusconi. Silvio Berlusconi può di nuovo candidarsi alle elezioni. Se in questo momento si dovesse andare alle urne, il Cavaliere avrebbe il diritto di presentarsi alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica e tornare così a tutto tondo in campo politico perché ha ottenuto dal Tribunale di sorveglianza di Milano la «riabilitazione», quella che cancella tutti gli effetti della condanna che aveva subito nel processo sui diritti tv Mediaset e l’incandidabilità imposta dalla legge Severino. La decisione di concedere la riabilitazione all’ex presidente del Consiglio, che inizialmente era stata prevista da qualcuno per il prossimo mese, è stata invece presa nel tardo pomeriggio di ieri dal Tribunale di Sorveglianza in camera di consiglio, cioè senza la presenza della difesa e del rappresentante della Procura Generale. Astensione «critica», più che «benevola» o opposizione dura e pura contro il governo M5S-Lega? Tra falchi e colombe attorno a Silvio Berlusconi in questo momento sembrano prevalere i primi. Berlusconi ufficialmente non si pronuncia.
Politica Estera
Iran. Atrofizzare i canali finanziari di sostegno all’apparato di regime, e innescare un’implosione indotta della leadership iraniana favorendo un colpo di Stato morbido a Teheran. L’uscita dall’accordo sul nucleare iraniano e il ripristino delle sanzioni sono solo la prima mossa con la quale l’amministrazione americana punta allo «scacco matto» nella madre di tutte le partite sullo scacchiere internazionale, quella con la Repubblica islamica. La conferma giunge dal piano passato di mano tra i consiglieri della Sicurezza nazionale della Casa Bianca, un compendio in tre pagine su come «rovesciare il regime» senza guerra. Ma il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire dice: «Europa deve smetterla di essere vassalla in materia commerciale e passare dalle parole ai fatti: non possiamo continuare a subire le decisioni americane». Ieri ha puntato il dito sulle sanzioni Usa che, dopo la decisione di Donald Trump di uscire dall’accordo nucleare con Teheran, minacciano le imprese europee impegnate in Iran.
La Catalogna. ll leader che tiene in scacco la Spagna compare in un piccolo appartamento di Berlino, è in libertà provvisoria, porta sul volto i segni di mesi difficili, ma non molla di un centimetro la sua battaglia per l’indipendenza. I servizi spagnoli lo seguono, qualche catalano lo viene a omaggiare e lui continua a dettare la linea a Barcellona. Proprio da questo salotto Carles Puigdemont, ha indicato un successore alla presidenza della Catalogna, Quim Torra, ma lui resta leader, «dall’esilio». Torra non sarà un presidente dialogante con Madrid. «Dobbiamo proseguire nel processo costituente della repubblica catalana», ha detto Quim Torra nella prima intervista da nuovo presidente in pectore, aggiungendo che la regione autonoma sta vivendo una crisi umanitaria «con dirigenti politici in carcere e in esilio».
Economia e Finanza
“Contratto di Governo”. Due aliquote, e quattro scaglioni di fatto con il gioco delle deduzioni, sono tanti per una «Flat Tax» vera e propria, perché la tassa è davvero «piatta» se l’aliquota è unica. Ma il meccanismo in corso di elaborazione, in vista delle riunioni decisive di oggi sul «contratto di governo» fra Lega e Movimento 5 Stelle, prova a mettere insieme due esigenze politiche: il maxi-taglio fiscale con semplificazione del sistema che ha animato il programma economico del Carroccio, e la difesa della «progressività» posta come condizione dai Cinque Stelle. «Stiamo trovando ampie convergenze su reddito di cittadinanza, Flat Tax, legge Fornero, sulla lotta al business dell’immigrazione, sul conflitto di interessi», ha spiegato il leader M5S Luigi Di Maio ieri uscendo dall’incontro con il segretario del Carroccio Matteo Salvini. Spunta anche una misura taglia-leggi nel “pre-contratto” programmatico che oggi dovrebbe essere chiuso dalle delegazioni di Lega e M5S. Un intervento che potrebbe avere il profilo della “norma-ghigliottina” già sperimentata in passato da ministri leghisti con in duplice obiettivo di semplificare procedure amministrative e controllare meglio alcuni capitoli di spesa.
Ilva. Far saltare l’affare Ilva potrebbe costare fino a tre miliardi di euro. E la chiusura immediata dello stabilimento. La vendita ad Am Investco, la cordata guidata da Arcelor Mittal che ha vinto la gara per l’acquisto del siderurgico, così com’è stata strutturata, è arrivata a un punto che difficilmente, se non appunto con un conto salatissimo, è possibile fermare. Lo sanno bene all’IIva dove in queste ore, dopo il naufragio della trattativa sindacale, hanno ripreso i documenti e cercato di capire come stanno le cose. Dunque: l’impegno va firmato entro il primo luglio, caso contrario Am Investco potrebbe sciogliere il contratto ed eventualmente chiedere i danni per i mancati introiti. Il dossier Ilva, di fatto, è già passato al nuovo Governo, anche se non ancora nato.