Politica Interna
Questione migranti. Ancora troppi i migranti che ottengono dal nostro Paese una qualche forma di protezione. Per questo dal Viminale arriva il secondo richiamo in pochi giorni ai presidenti delle commissioni territoriali per il riconoscimento dell’asilo: basta indugi nell’applicare la recente direttiva del ministro dell’Interno, bisogna cominciare a tagliare drasticamente i casi di protezione umanitaria. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una forma residuale di tutela per quanti non hanno diritto al riconoscimento dello status di ri agiato, né alla protezione sussidiaria. Viene rilasciato quando ricorrono serie ragioni di carattere umanitario, come motivi di salute odi età, oppure in presenza di vittime di episodi di violenza o disastri ambientali. Tra le varie tutele, è proprio questa a far la parte del leone. Matteo Salvini ha firmato quindi una direttiva per chiedere una stretta proprio sulla concessione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari. Ma le cose non sono andate come previsto. Tanto che il Viminale è dovuto intervenire nuovamente con una email. Intanto stupiscono le conclusioni di un’inchiesta fatta di sondaggi e indagini su gruppi selezionati. II 53% dei cittadini vede nell’Italia una nazione debole e solo il 5% la dipinge come aperta, ottimista e fiduciosa. La stragrande maggioranza indica nella disoccupazione, non nell’immigrazione, il problema nazionale. Non sorprende se solo il 18% degli italiani considerino positivo l’impatto dell’immigrazione, mentre il 59% lo valuti come «globalmente negativo». In parte vengono addotte ragioni di natura economica, ma risultano molti di più gli italiani convinti che gli stranieri non facciano sforzi per integrarsi (44%) piuttosto che il contrario (29%). Gli italiani sembrano un popolo più frustrato dalla cattiva gestione dei flussi, che ostile agli stranieri in sé. Quanto meno una quota importante dell’opinione pubblica (48%) non è pregiudizialmente né a favore né contro l’immigrazione.
Il ruolo di Mattarella. La Lega sta affilando le armi in vista degli appuntamenti decisivi di questa settimana in tema di nomine dopo essere uscita sconfitta dalla battaglia per la Cassa depositi e prestiti. Occorre ricordare che il ministro Tria è il vero garante a livello internazionale dell’immagine e della credibilità dell’Italia. Ma è chiaro che l’insofferenza è destinata a crescere perché il ministro Tria è stato nominato su precisa e calda raccomandazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Le frizioni con il Quirinale non sono mai mancate e sono destinate a riproporsi. Ma colpire Tria significherebbe cannoneggiare il Quirinale e, quindi, Salvini e Di Maio cercano di percorrere altre strade imponendosi nel valzer delle poltrone.. Nessuno come l’attuale presidente si è trovato a dover sostenere attacchi basati su un’interpretazione populista della realtà e su una non conoscenza della forma istituzionale (che è sostanza della nostra Repubblica). Colui che rappresenta l’unità nazionale è così diventato il più importante contrappeso non solo istituzionale ma educativo, che si fa resistenza a quella che sembra essere una marea montante e inarrestabile. Dopo la manifestazione a sostegno che gli ha permesso di sconfiggere le critiche, Mattarella comunica con tutti ma sopratutto ha assunto il ruolo di educatore: si tratta di un processo che ha bisogno ancora di tempo per dare i suoi frutti e lui, formato a una cristiana pazienza ne è cosciente.
Politica Estera
Caschi Bianchi in fuga. Nella notte tra sabato e domenica il convoglio ha trovato aperto il cancello tra i reticolati che separano Israele dalla Siria e una scorta di militari per arrivare a un’altra frontiera poco lontana, quella con la Giordania. Così 422 rifugiati hanno trovato riparo dai bombardamenti dei jet russi, alleati di Bashar Assad, e nel loro caso anche dalla vendetta: perché l’operazione di salvataggio ha permesso a un gruppo di Caschi Bianchi e alle famiglie di sottrarsi alla rappresaglia dell’esercito governativo. Che considera questi volontari «terroristi al servizio delle potenze straniere». La parola WHITE HELMETS è il nome con cui vengono chiamati i membri della Difesa Civile Siriana, una rete di volontari nata durante la guerra civile. I Caschi Bianchi sono stati candidati per il Premio Nobel per la Pace nel 2016 e hanno sempre sottolineato la loro neutralità e non appartenenza ad un gruppo politico o esercito. I Caschi Bianchi sono finanziati da diversi Paesi, tra cui la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, la Germania, il Giappone e gli Stati Uniti. Sono state le telefonate di Donald Trump e del premier canadese Justin Trudeau a convincere Benjamin Netanyahu a dare il proprio contributo per l’evacuazione dalla Siria. «Si tratta di persone» ha spiegato il premier israeliano «che hanno salvato vite umane e che si trovano adesso in pericolo di morte. Per questa ragione ho autorizzato il loro trasferimento via Israele verso altri Paesi, come importante provvedimento umanitario».
La nuova Costituzione di Cuba. Cuba apre alla proprietà privata, ma con molte e pesanti riserve. L’Assemblea Nazionale è stata chiamata ad approvare il progetto di riforma della vecchia costituzione del 1976, nell’ambito della spinta moderata al cambiamento iniziata da Raul Castro nel 2008. La Costituzione ribadisce la centralità del Partito, «forza dirigente superiore» della società e dello Stato, ma scompare la parola «comunismo» (si fa riferimento soltanto al «socialismo») e ammette per la prima volta nella gestione dell’economia nazionale «il ruolo del mercato e di nuove forme di proprietà, tra cui la privata». Potrebbe essere una svolta storica, se non fosse per i tanti «ma» che accompagnano ogni tentativo di riforma sull’isola. Non è da sottovalutare l’inserimento del concetto di Cuba come uno «Stato di diritto», anche se non si fa accenno a garanzie come la libertà di parola e di stampa, o di alternative al Partito comunista. La nuova Carta prevede anche l’istaurazione della figura del Primo Ministro e potrebbe permettere l’apertura ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. La riforma poi passerà per un referendum popolare, il cui esito è scontato.
Economia e Finanza
Decreto dignità e licenziamenti. Il decreto dignità, in vigore da sabato 14 luglio e ora all’esame del Parlamento per l’iter di conversione, interviene anche sulla materia dei licenziamenti, innalzando del 50% le indennità economiche dovute in caso di provvedimento illegittimo. Il minimo passa da 4 a 6 mensilità, il massimo da 24 a 36. Un piccolo cambiamento interessa anche le piccole imprese che non raggiungono i requisiti dimensionali per l’applicazione della cosiddetta “tutela reale”, dove la soglia minima del “risarcimento” sale in modo automatico da 2 a 3 mesi di stipendio. Nessun intervento, invece, sull’offerta conciliativa, introdotta dal Jobs act per evitare cause in tribunale: un sistema più rapido in cui il datore di lavoro può offrire da 2 a 18 mensilità per chiudere la lite prima di arrivare in aula. Il segretario del Pd Martina, ha quindi rilanciato: «Ecco la nostra proposta che alza l’indennità ai lavoratori anche in caso di conciliazione». Il rilancio di Martina è quanto mai opportuno e svela una delle tante incongruenze del decreto del governo: il decreto si limita ad aumentare l’indennità per i licenziamenti illegittimi. (cioè definiti tali dal giudice) ma lascia intatto ad un massimo di 18 mesi il risarcimento quando c’è una conciliazione tra le parti. L’effetto è che le vertenze si trasferirebbero in tribunale con la speranza di avere un risarcimento maggiore.
Fca e il dopo-Marchionne. Lo dice all’inizio del testo indirizzato ai 238 mila dipendenti del gruppo nel mondo. John Elkann, ammette: «Questa è senza dubbio la lettera più difficile che abbia mai scritto». E racconta «con profonda tristezza» che «le condizioni di Sergio Marchionne sono purtroppo peggiorate nelle ultime ore e non gli permetteranno di tornare in Fca». Così «il miglior amministratore delegato che si potesse desiderare» non tornerà più a guidare l’azienda. Lui che «ha reso possibile ciò che pareva impossibile. Ci siamo conosciuti in uno dei momenti più bui della storia della Fiat ed è stato grazie al suo intelletto, alla sua perseveranza e alla sua leadership se siamo riusciti a salvare l’azienda». E ancora: «Il miglior modo di giudicare un leader è attraverso ciò che l’organizzazione fa dopo di lui». Già oggi e domani a Torino il neo amministrato delegato di Fca, Mike Manley, dovrà guidare i lavori del Gec, il Group Executive Council, il massimo organismo decisionale e strategico di Fiat Chrysler Automobiles. È la prima volta senza Marchionne. Il debutto con la comunità finanziaria per Manley in qualità di ad di Fca è, invece, in programma mercoledì quando verranno approvati i conti semestrali a cui seguirà la tradizionale call conference. Non sarà una sfida semplice quella che dovrà affrontare Manley, anche se l’uomo, da nove anni al brand Jeep, ha saputo conquistare rispetto e considerazione nel mondo molto autoreferenziale dell’automotive. Manley potrà sempre contare sull’eredità di Marchionne: l’insegnamento a guardare sempre a nuovi traguardi. «Il miglioramento continuo è una parte fondamentale della nostra cultura», aveva detto il manager di origine abruzzese a Balocco. Le recentissime uscite pubbliche di Elkann sembrano indicare una strada nel solco della continuità. Ma non si può ignorare il rischio rappresentato dalla furia distruttrice della guerra dei dazi che potrebbe sparigliare tutto. E allora anche lo spezzatino considerato assolutamente indigesto da Marchionne potrebbe finire per essere preso in considerazione.
PRIME PAGINE