Politica Interna
Incarico a Fico per un esecutivo M5S-Pd. Ira di Salvini. Settantadue ore di tempo (fino a giovedì) concesse a Roberto Fico per «verificare un’intesa per una maggioranza parlamentare tra il M5S e il Partito democratico per costituire il governo». Il mandato esplorativo al presidente della Camera, il grillino Fico, è stato conferito dal capo dello Stato secondo i tempi e le modalità annunciate. Tuttavia – nelle parole pronunciate dal segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti – il perimetro di azione indicato a Fico da Sergio Mattarella non prevede sconfinamenti nel campo di una possibile intesa tra M5S e Lega: troppo tardi, ha sottolineato il presidente della Repubblica al presidente della Camera nel corso del colloquio nello studio alla Vetrata, perché sul punto «non sono emerse novità pubbliche». Così la «sottolineatura» di Mattarella ha avuto come obiettivo una richiesta del Pd: la certificazione del «divorzio» tra Lega e MSS, funzionale al possibile «fidanzamento» tra dem e grillini, è infatti subito diventata l’architrave su cui avviare il terzo tavolo delle consultazioni previste per oggi. E che qualcosa si fosse subito mosso sul possibile asse M55-Pd, lo dimostra innanzitutto la dichiarazione di Luigi Di Maio, il capo politico dei grillini, che certifica (per ora) l’intenzione di divorziare dalla Lega: «Ok al dialogo con il Pd, incontrerò il presidente della Camera per verificare questo percorso. Invece, dal suo comportamento, ho capito che Salvini non vuole assumersi responsabilità di governo. Buona fortuna a Salvini». Ma il segretario della Lega non l’ha presa bene. Per Salvini la regola numero uno in democrazia è rispettare il voto degli italiani: «Significa far ragionare i primi due arrivati, i terzi restano invece in panchina. Non mi sembra che sia corretto che governino secondi e terzi e i primi restino fuori. Se qualcuno prova a fare una cosa del genere ci troviamo a fare una passeggiata a Roma».
Regionali in Molise. Fi supera la Lega. Nuovo flop della sinistra. Il popolo molisano smentisce previsioni e sondaggi. Nella regione del centro-Italia l’annunciata vittoria dei Cinquestelle non c’è, anzi il candidato del centrodestra Donato Toma con il 43,46% stacca di 5 punti quello dei grillini, Andrea Greco fermo al 38,5%. Non c’è neppure il sorpasso della Lega su Forza Italia. Gli azzurri ottengono il 9,38% contro l’8,23% della Lega. Sopra il Carroccio va anche l’altra lista vicina a Forza Italia, ovvero Orgoglio Molise dell’europarlamentare azzurro Aldo Patriciello. Bene anche Popolari per l’Italia al 7,1%, l’Udc di Lorenzo Cesa al 5,1% e Fratelli d’Italia al 4,4%. Per il Movimento Cinquestelle il verdetto più doloroso arriva dal voto di lista. Dopo il 44,8% delle Politiche la formazione di Luigi Di Maio si ferma a quota 31%. Crolla, invece, il Pd che si attesta al 9%. E’ chiaro che per il centrodestra unito il voto molisano ha un peso simbolico ben superiore a quello specifico della piccola regione. Il format del centrodestra unito a uscirne vincente. E Berlusconi saluta la vittoria con legittima soddisfazione: «Dal Molise parte un segnale nazionale importante: il centrodestra unito ha la capacità di raccogliere il consenso degli italiani per guidare le regioni e il Paese» dichiara il Cavaliere. Da Berlusconi arriva anche una stoccata al MSS. «Dal Molise esce battuto e fortemente ridimensionato il dilettantismo dei Cinquestelle, rispetto al voto di protesta espresso dagli elettori alle Politiche. I grillini si confermano del tutto non credibili per una funzione di governo». La forza attrattiva del brand Cinque Stelle deve fare i conti con la ragnatela dei piccoli e grandi interessi locali, dei rapporti personali fatti di notabili, clientele, famiglie, amici. Il cambiamento va bene a Roma, meno a Campobasso. Si è visto in Molise oggi, ma qualche mese fa la stessa cosa era successa in Sicilia. La differenza è che in Molise le politiche ci sono state prima delle amministrative mentre in Sicilia è successo il contrario. Il risultato però è lo stesso. Il Movimento vince alle politiche e perde alle regionali.
Politica Estera
Toronto, van sulla folla durante il G7: 9 vittime. Un nuovo attacco con un veicolo contro i passanti. Questa volta a Toronto, in Canada: 9 morti e 16 feriti. Il responsabile è stato catturato e secondo la tv Cbs si chiamerebbe Alek Minassian, 25 anni, studente d’origine armena, noto alle autorità. Gli investigatori, però, sono rimasti cauti sulla matrice. Contrastanti le indiscrezioni dagli Usa. Alcune fonti parlano di pista terroristica altre di problemi mentali del giovane. L’allarme è scattato attorno alle 1.27. Salito all’improvviso sul marciapiede di una spaziosa arteria di Toronto, in Canada, nell’area di Yonge street e Finch avenue, il camioncino bianco appariva tutt’altro che impazzito. L’uomo ha continuato imperterrito la sua corsa, tra urla della gente, passeggini e anziani che volavano in aria e scene di panico, percorrendo quasi mezzo chilometro prima di essere fermato dalla polizia canadese. Il conducente ha cercato di fuggire, ma è stato arrestato. I soccorritori, arrivati in forze, hanno trovato diverse vittime riverse a terra, con ferite piuttosto gravi. I testimoni hanno segnalato un furgone a noleggio di colore bianco: procedeva in modo pericoloso – hanno raccontato – ed è poi salito sul marciapiede nell’intento di travolgere le persone. Il comportamento del guidatore farebbe pensare ad una persona che voleva farsi uccidere dalla polizia. In contemporanea sono state adottate misure di sicurezza previste in questi casi. Uno scudo peraltro già attivo per la concomitanza della riunione ministeriale del G7 in corso ad una trentina di chilometri dalla strage. Il primo ministro Justin Trudeau si è limitato ad un breve commento: «I nostri cuori sono con tutte le persone coinvolte, sapremo e diremo qualcosa di più nelle prossime ore».
Alfie diventa cittadino italiano ma Londra ferma le macchine. Un vorticoso giro di telefonate. Da Strasburgo, da Liverpool, dalla Santa Sede. Il nostro governo è stato crocevia di molteplici contatti, confronti, informazioni, sino a 20 minuti prima che la struttura sanitaria inglese iniziasse le procedure per staccare la spina al piccolo bambino inglese in grado di vivere solo grazie alle macchine. Venti minuti prima del punto di non ritorno, un ultimo giro di telefonate fra Angelino Allano, Marco Minniti e Palazzo Chigi è servito ad imboccare la strada della cittadinanza con un decreto d’urgenza, da approvare ma anche da comunicare in fretta e furia ai media con tanto di secondi contati. E’ stata anche una corsa contro il tempo la decisione che viene applaudita da gran parte della politica italiana, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni. Una corsa che ha come primo obiettivo quello di dare una mano alla battaglia dei due genitori del piccolo Alfie Evans. Ma così non è stato. Alle 21,30 di ieri (22,30 ora italiana) è stata spenta la macchina che teneva in vita il piccolo a dispetto della sua gravissima malattia, una patologia neurologica sconosciuta. Da quel momento in poi Alfie ha iniziato a respirare in modo autonomo, avviandosi verso un’inevitabile agonia. A dare l’ordine di interrompere la ventilazione artificiale è stato Anthony Hayden, il giudice della Corte d’appello britannica che nei giorni scorsi aveva firmato il verdetto per autorizzare i medici di Liverpool a porre fine alla vita del bimbo. Davanti alla stanza del piccolo, una trentina di poliziotti cercavano di tenere a bada le proteste. Una scelta che è arrivata inaspettatamente, all’improvviso, dopo che nel pomeriggio il provvedimento era stato bloccato in seguito al conferimento della cittadinanza italiana.
Economia e Finanza
Il prestito Alitalia non convince la Ue. La Commissione europea ha annunciato ieri di aver aperto una indagine approfondita sul prestito da 900 milioni di euro che il governo italiano ha concesso a suo tempo ad Alitalia, la compagnia aerea in grave crisi finanziaria da molti anni. La decisione comunitaria, che mette l’accento su almeno tre aspetti delle linee di credito concesse all’azienda, giunge mentre da mesi il ministero per lo sviluppo economico sta cercando un compratore per la società. «E’ compito della Commissione europea garantire che i prestiti che gli Stati membri concedono alle imprese siano conformi alle norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato. Verificheremo se il prestito concesso ad Alitalia e conforme a tali norme», ha detto in un comunicato a Bruxelles la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager. L’esecutivo comunitario vorrà verificare prima di tutto se il prestito è avvenuto a condizioni di mercato. Due sono gli ulteriori timori dell’esecutivo comunitario in questo frangente. In primo luogo, la Commissione è preoccupata dal fatto che il prestito va dal maggio del 2017 al dicembre del 2018, quindi ben oltre i sei mesi previsti dalle regole comunitarie. In secondo luogo, Bruxelles teme che il credito non sia limitato “al minimo necessario” per aiutare l’azienda. Ma l’avvio dell’indagine sugli aiuti di Stato da parte della commissione Ue non cambia i piani del governo: il decreto con una nuova proroga (la seconda) di sei mesi della chiusura del negoziato per la cessione di Alitalia – che slitta dal 30 aprile al 30 ottobre 2018 – verrà presentato questa mattina a Palazzo Chigi nella riunione di pre-consiglio, per poi approdare al prossimo consiglio dei ministri. Il decreto interminsteriale di un solo articolo contiene anche una nuova proroga per la restituzione della prima tranche da 600 milioni del prestito ponte: andrà rimborsata entro fine anno, come già previsto per la seconda tranche da 300 milioni.
Padoan: sì al Def in settimana. Un solo decreto legge, quello sull’Authority dell’energia, varato negli ultimi sei mesi. Una lunga serie di importanti misure attuative, in primis dell’ultima legge di bilancio ma non solo, ancora al palo: dal provvedimento per la tutela dei risparmiatori danneggiati dai crack bancari e dalla ripartizione del fondo da 60 milioni per alleggerire il peso del super-ticket sanitario al decreto legislativo per le misure di adeguamento alle nuove regole Ue sulla privacy passando per la web tax, i giochi e il credito d’imposta del 40% sulle spese 2018 relative al costo aziendale dell’attività di formazione in tecnologie 4.0. Un pacchetto nomine in gran parte congelato. E’ un quadro programmatico del Def, che si accinge a vedere la luce in forma” dimezzata”, ancora tutto da immaginare. Ancora una volta il percorso del Documento di economia e finanza si incrocia con lo stallo politico, ma ormai la scadenza europea del 30 aprile incombe e gli spostamenti possibili sono minimi. Ieri il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno fatto di nuovo il punto a Palazzo Chigi, e l’Eurostat ha certificato i dati macro del 2017 confermando il deficit al 2,3% e il debito al 131,8 per cento. Questi numeri, effetto anche dei criteri di contabilizzazione degli interventi salva-banche, sono la base di partenza per il Def tendenziale che potrebbe finire in settimana sui tavoli del consiglio dei ministri. Il calendario per ora punta su giovedì, con possibile slittamento a venerdì per evitare l’incrocio con la fase finale dell’esplorazione affidata al presidente della Camera Roberto Fico.