Politica interna

Mattarella: lunedì ultimo giro di consultazioni.   Lunedì 7 maggio il presidente della Repubblica torna a consultare i leader delle forze politiche, tutti in un solo giorno, nel tentativo di formare un nuovo governo. E siamo giunti al terzo giro di boa dopo le elezioni del 4 marzo perché, è il bilancio del capo dello Stato, «a distanza di due mesi le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste invariate e non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo». Sergio Mattarella ha fatto il suo annuncio prima che iniziasse la direzione del Pd. II Colle ha bruciato i tempi anche perché era chiaro fin da domenica, il giorno in cui Matteo Renzi è andato in tv a chiudere la porta in faccia al M5S, che anche l’asse dem – grillini si è spezzato dopo il naufragio di un’alleanza centrodestra-pentastellati. Il capo dello Stato non vuole attendere oltre. L’aut aut dell’inquilino del Colle sarebbe di questo tenore: «Appoggiate un governo a termine, aperto a tutti, su pochi obiettivi minimi e il ritorno al voto fra un anno. Il Paese non può più aspettare. In caso contrario, pronto comunque a mandarlo in Parlamento: sarà questo esecutivo a gestire le inevitabili elezioni anticipate in autunno». Dunque, già martedì potrebbe arrivare l’annuncio del conferimento dell’incarico ad una figura scelta direttamente dal capo dello Stato: superpartes, con nel “dna” vocazione per l’Europa e competenza economica. Resta aperta, ma in forte calo, la possibilità che si affidi al presidente del Senato o a quello della Camera. Il toto-premier del “governo di tregua” si è messo vorticosamente in movimento, una ridda di voci in libertà: dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco al presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi, da Sabino Cassese al presidente dell’Inps Tito Boeri, ma sul Colle non avrebbero ancora deciso.

Direzione Pd: Renzi impone la sua linea.   La Direzione del Pd ha dimostrato ancora una volta che è lui a dare le carte. Ma Matteo Renzi non si crogiola nel successo. Sa che da lunedì si apre un’altra difficile partita. E questa volta non dovrà affrontare Maurizio Martina, che in mattinata, dopo i buoni uffici di Lorenzo Guerini e qualche telefonata diretta, è addivenuto a più miti consigli. Che cosa farà il capo dello Stato dopo il breve giro di consultazioni già annunciato? L’ex segretario non sembra avere troppi dubbi: «Non si voterà prima del 2020, statene certi». Renzi infatti è convinto che «un governo di tregua sia ancora possibile»: ritiene che alla fine della festa Matteo Salvini non punti alle elezioni ma proprio a un esecutivo siffatto. Quindi non esclude la possibilità di un governo «per le riforme e la legge elettorale» votato dal centrodestra e con l’astensione di Pd e Cinque Stelle, oppure di un’intesa tra centrodestra e grillini con il Partito democratico all’opposizione. Ma non è affatto detto che si riuscirà a non andare al voto. Al Nazareno circolano già due date per le elezioni anticipate: 23 e 3o settembre. Date non lontanissime. E infatti al Pd ci si sta attrezzando per l’evenienza. Ieri Martina è stato confermato reggente fino alla prossima assemblea nazionale.  Sottotraccia spunta però la vera sfida, destinata a combattersi quasi certamente il 27 maggio. Per allora, l’ala dura renziana punta a convocare l’assemblea. E a chiedere, di fronte al rischio di elezioni anticipate, il congresso a ottobre, facendo fuori Martina. La ragione è chiara: affidare la gestione delle liste elettorali a un fedelissimo del leader. Graziano Delrio, se riusciranno a convincerlo. Oppure il Presidente Matteo Orfini, chiamato da statuto a gestire l’eventuale transizione fino al congresso

Economia e finanza

Allarme Ue su crescita e conti pubblici in Italia.   La Commissione europea, nelle sue Previsioni economiche di Primavera, ha lanciato un allarme sull’Italia perché l’instabilità politica può provocare effetti negativi sui conti pubblici. Di fatto ha esortato i partiti italiani a formare rapidamente un governo stabile perché «l’incertezza sulle politiche è diventata più pronunciata e, se prolungata, potrebbe rendere i mercati più volatili e intaccare il sentimento economico e i premi di rischio». In pratica a Bruxelles hanno ventilato un possibile aumento della già alta spesa per interessi sul maxidebito pubblico, che è indicato in lieve discesa al 131,8% del Pil nel 2017, al 130,7% quest’anno e al 129,7% l’anno prossimo «principalmente per la crescita del Pil nominale più forte» e non per i richiesti interventi di contenimento verso l’obiettivo del 60% del Pil in 20 anni. Inoltre l’Italia resta la «maglia nera» della crescita economica in Europa (insieme al Regno Unito in uscita) con solo 1,5% nel biennio 2017-2018 contro la media Ue del 2,6-2,5% e della zona euro al 2,4-2,3%. In arrivo è previsto poi un rallentamento a 1,2% nel 2019. L’Italia ha presentato una Finanziaria per il 2018 che la Commissione europea ha già considerato non sufficientemente ambiziosa. I dati di ieri lo hanno confermato: «Sullo sforzo strutturale per il deficit pensiamo che nel 2018 c’è una stabilità, nel senso che lo sforzo strutturale atteso è zero: le implicazioni che potranno essere tratte per la sorveglianza di bilancio non sono argomento di oggi, ma faranno parte del pacchetto di primavera del 23 maggio», ha commentato il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici.

Il Governo del Presidente, le misure per l’economia e il Meridione.   Lo stallo politico aumenta le incertezze sulla finanza pubblica, e sul rischio di un risveglio brusco dopo la fase di calma apparente che circonda il nostro debito «I mercati restano tranquilli – ragionava ieri l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli -, ma lo stallo pesa perché ritarda decisioni importanti per l’economia». Per questo si guarda alle decisioni del Quirinale, che potrebbero portare alla formazione di un governo di scopo per avviare in fretta i lavori sulla manovra mossa necessaria a evitare un esercizio provvisorio che farebbe aumentare l’Iva e aprirebbe al rischio di fiammate sui mercati. E proprio l’agenda di un esecutivo di questo tipo torna a far circolare trai papabili premier anche Cottarelli, che da commissario alla spending elaborò un dossier rilanciato dai programmi di M5S e Centro-destra. Ma qualsiasi sia la formula di governo che i partiti saranno disposti ad avallare, il mancato accordo sui contenuti che ha pesato finora è destinato a ridurre anche il raggio d’azione della manovra Che sarebbe concentrata su i provvedimenti giudicati più o meno inevitabili. Una griglia costruita al ribasso porterebbe a concentrare l’attenzione quasi solo sul blocco dell’Iva, che ha bisogno di 12,4miliardi per il2019 (e 19,1 nel 2020). In una intervista al Messaggero,  il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani spiega che «serve un governo forte per fermare i tagli dei fondi alle regioni disagiate. Il Sud è una priorità; nel Meridione più che cercare voti bisogna creare lavoro». E aggiunge: «Quella del Mezzogiorno non può che essere una priorità. Non l’unica ovviamente. Il bilancio europeo è molto ricco. I soldi da spendere sono 1273 miliardi in sette anni. In Italia potrebbero arrivare trai 9 e gli 11 miliardi all’anno. Poi, se siamo capaci, altri soldi li possiamo ricavare dai fondi erogati direttamente da Bruxelles e che non passano attraverso gli Stati. Il governo che dobbiamo darci al più presto deve lavorare per la vera coesione. Che significa portare le cosiddette zone disagiate al livello di quelle trainanti».

Società, istituzioni, esteri

Usa, le rivelazioni di Giuliani su Trump e la pornostar.   Il presidente Trump sapeva dei 130.000 dollari pagati dal suo avvocato Michael Cohen per comprare il silenzio della pornostar Stormy Daniels, al punto che glieli aveva restituiti. Però lo aveva fatto con i suoi soldi, e quindi non aveva violato le leggi sui finanziamenti elettorali.  A fare questa rivelazione, che contraddice quanto aveva detto finora il capo della Casa Bianca, è stato il suo nuovo consigliere legale Rudy Giuliani, che così punta a proteggerlo dal rischio di un’incriminazione. Secondo l’accusa di Stormy Daniels, nel 2006 lei aveva avuto una relazione con Trump, Durante un’intervista con la Fox Giuliani ha dato una nuova versione: «Trump ha saputo pochi giorni fa che Cohen aveva fatto il pagamento, ma non conosceva i dettagli. Gli aveva restituito i soldi con versamenti di 35.000 dollari al mese. Il presidente ha fatto i pagamenti con i propri conti personali, e quindi non ci sono state violazioni delle leggi sul finanziamento delle campagne elettorali». Ancora il 5 aprile scorso, il presidente, parlando ai cronisti sull’Air Force One, era stato perentorio: «No, non so niente di questo pagamento, chiedete al mio avvocato». Ieri, invece, Trump, ha clamorosamente cambiato idea, via Twitter. «II signor Cohen, un avvocato, riceveva una somma mensile, ma non dai fondi della campagna elettorale…».In un mese, dunque, Trump è passato dalla negazione totale dei fatti alla spiegazione, fin nei dettagli giuridici, dell’accomodamento con la pornostar. La vicenda diventa sempre più intricata. La brusca sterzata di Giuliani e di Trump, però, potrebbe non bastare. Secondo un’interpretazione restrittiva delle norme, l’assegno per Stormy resta una spesa per facilitare la campagna elettorale e quindi il candidato avrebbe dovuto dichiararla. Intanto la Casa Bianca deve fronteggiare la polemica innescata da tv e giornali: Trump non ha detto la verità agli americani.