Politica Interna
Conte, il debutto al G7. Ci sono due domande che le sei delegazioni in arrivo in Canada per il G7 si stanno ponendo in riferimento al nuovo presidente del Consiglio italiano. Due quesiti banali, quasi elementari ma presenti in molti dei dossier che accompagnano gli altri capi di Stato e di governo: «Chi è Giuseppe Conte?» e «quanto durerà questo governo?». Dalle aule universitarie di Firenze ai bilaterali con i grandi della Terra, il passo è lungo. Eppure Giuseppe Conte è salito sull’aereo di Stato convinto di farcela, grazie all’inglese fluente e allo studio pignolo dei dossier. Il premier ha confidato «un po’ di paura per l’incontro con Trump», ma anche l’emozione e l’orgoglio per il debutto internazionale al G7, «il primo e già così importante». Ben felice di ritrovarsi alla guida di una delle economie più avanzate del mondo, il docente di Diritto privato accolto dai giornali di mezzo pianeta come «il premier sconosciuto», approderà oggi a Charlevoix (Canada). E lì, sulle magiche sponde del fiume San Lorenzo, si troverà faccia a faccia con Trump, Merkel, Macron, May, Il padrone di casa Trudeau e il giapponese Abe. A loro «l’avvocato difensore dei cittadini» dovrà confermare l’alleanza privilegiata con gli Usa, spiegare le sostanziose aperture alla Russia e mostrare di muoversi con disinvoltura e senza foglietti sui temi esplosivi come Iran, Libia politiche migratorie e dazi americani. Al di là delle dichiarazioni ufficiali offerte dalle Cancellerie in occasione della nascita dell’esecutivo, Conte deve affrontare subito un ostacolo che si presenta allo stato quasi insormontabile: la diffidenza dei nostri alleati storici, dei sei “Grandi” della terra. Uno scetticismo che si è acuito nelle ultime 48 ore per la posizione di accondiscendenza nei confronti della Russia manifestata con la formalità che impongono le aule parlamentari. «Io terrò un profilo basso nei confronti di Conte – diceva ad esempio Angela Merkel mercoledi pomeriggio ad un interlocutore istituzionale italiano confermando il velo di apprensione che avvolge il nuovo inquilino di Palazzo Chigi -. Bisogna prima conoscerlo. Vedo confusione e non voglio offrire pretesti».
Nomine viceministri e sottosegretari. I casi Cosipar e Cdp. L’unica cosa certa è che ci vorrà tempo, forse tutta la prossima settimana, per comporre il puzzle dei sottosegretari (20 al MSS e 15 alla Lega) dei vice ministri (5 e 3) e delle 28 poltrone dei presidenti della commissioni parlamentari. Poi ci sono le giunte e i comitati di garanzia che spettano alle minoranze. Ma in questo campo la maggioranza sarebbe in procinto di attuare un colpo di mano: l’idea è di sottrarre al Partito democratico la casella del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Avendo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte trattenuto la delega sugli 007 (Aisi e Aise) ed essendo il Viminale sotto il controllo diretto della Lega, va da sé che la presidenza del Copasir spetti al principale partito di opposizione: il Pd, appunto. Ma la maggioranza M5S-Lega vedrebbe volentieri al Copasir un esponente di Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni che si è astenuto sul doppio voto di fiducia chiesto da Conte. Nel Pd – che valuterebbe come «un fatto gravissimo» l’eventuale strappo – il candidato naturale per il Copasir è Lorenzo Guerini. Sulla scacchiera dei sottosegretari, le caselle più pesanti riguardano i ministeri dei vicepremier. Al Viminale Matteo Salvini punta a due fedelissimi per controllare una macchina assai complessa che gira 24 ore al giorno: Stefano Candiani e Nicola Molteni. Invece è in bilico l’ascesa dell’ex sindacalista del Sap Gianni Tonelli. Sul fronte Cassa depositi e prestiti invece Giuseppe Guzzetti, leader dal 2000 delle fondazioni, sostiene che la presidenza (senza deleghe) spetta statutariamente alle fondazioni, e pare riservata a Massimo Tononi, presidente di Prysmian, in passato banchiere di Goldman Sachs e Mps, e sottosegretario del governo Prodi. Per i ruoli operativi, Guzzetti continua a sponsorizzare Dario Scannapieco, ex Ciampi boy già al Tesoro e da tempo vice presidente della Banca europea per gli investimenti. Lo schema di Guzzetti tuttavia rischia di arenarsi sulla voglia dei nuovi ministri di scegliere figure “loro”. Per questo secondo le voci che rimbalzano dai palazzi romani la Lega appoggia Massimo Sarmi come ad della Cassa: un manager che ha guidato per anni le Poste italiane ed è stato vicino ad An, che ora profitta dei vecchi legami finiani – come quello con la ministra Giulia Bongiorno – e di quelli nuovi che ha instaurato con il vertice leghista.
Politica Estera
Vienna sfida l’Italia: avanti con i passaporti per gli altoatesini. La questione del passaporto agli altoatesini rimane un progetto molto concreto per il governo austriaco. Lo confermano fonti vicinissime al premier Sebastian Kurz, impegnato in un tour diplomatico sempre più attivo: martedì ha visto Vladimir Putin, mercoledì la visita a Bruxelles e la stretta di mano con Jean Claude Juncker e ieri il congresso dei deputati del Partito Popolare europeo a Monaco di Baviera, del quale il cancelliere austriaco fa parte. Il piano – emerso in dicembre – di dare la nazionalità austriaca agli abitanti di lingua tedesca dell’Alto Adige aveva subito un rallentamento negli scorsi mesi. Il provvedimento non era stato calendarizzato in Parlamento. Vienna aveva deciso di procedere con l’istituzione di gruppi di lavoro misti, ovvero comprendenti esponenti altoatesini. La ministra degli Esteri Karin Kneissl – siamo in marzo – aveva teso la mano a Roma ribadendo che ogni passo sarebbe stato valutato insieme alla Farnesina. Ieri ambienti vicini a Kurz facevano capire che la mancanza di una data per la discussione in aula o nelle commissioni parlamentari è solo un rinvio non un accantonamento: «Noi andiamo avanti, non vogliamo giocare una partita unilaterale e cercheremo sempre il dialogo con l’Italia». Ma in ogni caso l’esecutivo di coalizione, popolari e ultradestra Fpö, sponsor originari dell’iniziativa sposata da Kurz, sente di avere la ragione dalla propria parte. Fonti a lui vicine confermano che il suo governo è intenzionato ad andare avanti, nonostante la reazione stizzita di Roma e le successive aperture di Vienna. Gli austriaci ribadiscono di voler cercare il dialogo, ma restano convinti di essere nel giusto: «Voi avete dato il passaporto alla minoranza italiana in Slovenia e Croazia negli anni ’90 e non si è scandalizzato nessuno», rispondono alle critiche. L’esecutivo si riferisce a una modifica alla legge sulla cittadinanza che l’Italia apportò nel 2006, che consentì agli italiani di Istria e Dalmazia di ottenere il nostro passaporto, una misura che provocò malumori nei governi croato e sloveno. Dunque la questione arriverà presto sul tavolo del nuovo governo italiano.
Sanzioni e alleanze, Putin strizza l’occhio all’Italia: qualcosa nell’Ue si muove. Mentre gli ex partner del G8 si riuniscono senza di lui in Canada, Vladimir Putin punta sul vertice alternativo con Cina e altri Paesi dell’Asia Centrale. Ma prima di partire per incontrare il leader di Pechino Xi Jinping, lancia messaggi all’Occidente, approfittando della annuale diretta telefonica con gli elettori russi. I dazi imposti dagli Stati Uniti anche ai loro alleati europei e canadesi sono sanzioni sotto altra forma. Quelle imposte alla Russia, poi, sono del tutto ingiustificate e «finalmente» diversi governi europei se ne stanno rendendo conto: «A livello politico tutti parlano della necessità di ricostruire rapporti normali». E ha poi aggiunto: «Spero che questo processo si rafforzi». Putin ha citato esplicitamente Germania e Francia, Paesi con i quali ha avuto recenti contatti. Ma era chiara anche l’allusione ai cambiamenti avvenuti in Italia. Putin strizza l’occhio all’Italia, in quanto il nuovo governo italiano targato Lega-M5S punta a cancellare le sanzioni con un colpo di spugna, e ieri il ministero degli Esteri russo ha accolto con ottimismo «l’apertura alla Russia» auspicata da Giuseppe Conte: le parole del premier italiano – sottolineano da Mosca – «manifestano la volontà di cooperare con il nostro Paese». I russi sono però prudenti e sanno che «il nuovo governo di coalizione inizia solo adesso il suo lavoro» e che quindi «le sue priorità di politica estera devono essere ancora definite». Ieri Putin ha esaltato la potenza militare e politica della Russia e ha lanciato i suoi strali contro gli Stati Uniti. Ha accusato Washington di mettere a rischio gli equilibri internazionali e ha messo in guardia l’Ucraina: conseguenze se ci provoca durante i Mondiali.
Economia e Finanza
Di Maio blocca l’Iva, avanti con gli incentivi. Una risoluzione unica sul Def, con l’impegno al governo di bloccare gli aumenti Iva per il 2019 e, probabilmente, anche di avviare una trattativa con Bruxelles per far slittare ulteriormente dal 2020 il termine per il pareggio strutturale di bilancio. «Avete la mia parola: l’Iva non sarà aumentata». È l’impegno preso davanti alla platea di Confcommercio da Luigi Di Maio nel suo primo intervento come ministro dello Sviluppo e del Lavoro. Rilanciato anche il programma di semplificazione fiscale: cancellazione di spesometro e redditometro, studi di settore, split payment. II ministro ha annunciato anche un’altra novità fiscale: l’inversione dell’onere della prova per stanare l’evasione fiscale. «Siete tutti onesti ed è onere dello Stato provare il contrario». Nel mondo semplificato dovranno rientrare, secondo Di Maio, anche il Codice degli appalti e il sistema degli incentivi. Sul piano Industria 4.0 l’intenzione sembra quella di andare avanti, ma «semplificandone l’accesso». «Dal ministro – ha commentato il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia – c’è stata una grande apertura che crea aspettative, ci auguriamo quanto prima di confrontarci, è un Governo che vuole cambiare in meglio il Paese. Cercheremo di contribuire al cambiamento». Di Maio ieri ha firmato la sua prima direttiva, che apre alla partecipazione dei parlamentari “locali” di maggioranza e opposizione ai tavoli di crisi aziendale del ministero. Critico l’ex ministro Calenda: «Grave errore politicizzare un lavoro tecnico delicato». Di Maio ha infine parlato dell’Ilva: «Qualsiasi decisione sarà presa con responsabilità e attenzione». In serata i sindacati di categoria CgilFlom, Cisl-Fim e Uil-Uilm hanno scritto una lettera al ministro per chiedere «un incontro urgente», per illustrare la loro posizione e «conoscere le azioni che il nuovo Governo intende mettere in campo sull’Ilva»
Manovra 2019. Dopo l’insediamento del governo Conte, e ora che Di Maio ha solennemente detto davanti alla Confcommercio che l’Iva non aumenterà, prosegue il confronto nella maggioranza sulle modalità di azionamento della leva dell’indebitamento della Pa per comporre il puzzle della prossima manovra autunnale con cui dovrà essere mantenuta almeno una fetta delle promesse fatte in campagna elettorale e ribadite nel “contratto” che ha fatto da guida all’intervento programmatico del premier nel chiedere (e ottenere) la fiducia delle Camere. Nella Lega resta forte la tentazione di far salire l’asticella vicino al fatidico tetto del 3% anche come strumento di pressione nei confronti della commissione Ue. Ma i Cinquestelle, pur condividendo in pieno l’idea di chiedere con forza alla Ue nuovi spazi di flessibilità almeno sull’indebitamento non vorrebbero discostarsi eccessivamente dal quadro tendenziale tracciato dal Governo Gentiloni (0,8 di deficit il prossimo anno). Per il 2019, accanto ai 5 miliardi che servono per rendere più flessibile la legge Fornero sulle pensioni e ai 2 per rafforzare i centri per l’impiego funzionali al reddito di cittadinanza, ci sono anche 12,4 miliardi da trovare per impedire che l’Iva salga. Col rifinanziamento di sanità, missioni di pace ed emergenza sisma, la manovra 2019 già lievita a 25 miliardi. Tutto questo senza tener conto della flat-tax, che vale almeno una quarantina di miliardi. Si profila dunque una manovra di proporzioni assolutamente rilevanti. La cui sostenibilità, più che dalle difficili aperture di Bruxelles, dipenderebbe dalla determinazione del governo nell’individuare coperture “blindate”. E l’aria che si respira al ministero dell’Economia dopo l’approdo di Giovanni Tria, non sembra affatto voler soffocare le intenzione del M5S. Anche se Tria ufficialmente ancora non si pronuncia. Ma il ministro, anche alla luce delle anticipazioni Istat su una frenata della crescita e del nuovo invito dell’Fmi a tenere sotto controlli i conti, sa bene che gli appuntamenti del 21 e 22 giugno per le riunioni di Eurogruppo e Ecofin saranno due occasioni importanti per verificare i possibili margini di trattativa con Bruxelles (anche sull’eventuale correzione dello 0,3% del Pil legata a quest’anno, in aggiunta a quella “strutturale” dello 0,6% del Pil).