Loredana Gargiulo, 44 anni e tre figli, avvocato civilista, di Ercolano, è uno degli ultimi tasselli giunti a comporre il mosaico territoriale del movimento “Sud Protagonista”, che ha in Salvatore Ronghi l’artefice e motore propulsivo. Dov’è la notizia? La notizia sta nel fatto che Salvatore Ronghi è un politico di lunga esperienza, origini missine, prima sindacalista Cisnal e poi Ugl, ex An ed Mpa, già vicepresidente del consiglio regionale campano. La Gargiulo invece, famiglia democristiana, competente e grintosa, proviene dal Pd ercolanese, di cui è stata dirigente. Ma poi ha lasciato il partito di Martina e ha aderito di recente a “Sud Protagonista”, in cui ricopre l’incarico di coordinatrice dei Comuni dell’Area Vesuviana.
Avvocato, non le sembra un po’ un pasticcio? Lei di sinistra con Ronghi che ha invece una lunga militanza nel segno della Destra?
Nient’affatto. Mi sento invece In piena sintonia con il segretario federale Ronghi e con il programma del movimento che ha come primo obiettivo valorizzare il Sud e le immense risorse che lo caratterizzano.
Con quali politiche?
E’ necessario creare e tutelare occupazione, preservare l’ambiente, creare infrastrutture e puntare sulla formazione dei giovani come fulcro sul quale far ruotare un Paese migliore, più a misura di cittadino. In cui meritocrazia, trasparenza operativa, rispetto per la legalità non siano continuamente attentate da costumi corrotti, collusioni e mala politica.
Detta così sembra un colpo di fioretto al suo partito d’origine. Come sono i rapporti con il PD? Qual è il problema più critico ad Ercolano, a suo avviso?
Stiamo affrontando come movimento con grande attenzione la questione della messa in sicurezza degli alvei, con conseguente bonifica delle aree interessate dallo sversamento illecito dei rifiuti. Mi auguro che l’amministrazione comunale collabori attivamente con il movimento per l’ottimizzazione dei risultati prefissati. Io credo nelle potenzialità incommensurabili del territorio vesuviano.
Veniamo alla visione del Mezzogiorno e del meridionalismo che propugnate. Di recente un autorevole commentatore del Mattino, Massimo Adinolfi, ha tenuto a distinguere, come si dice,“il bambino dall’acqua sporca”. Il bambino da salvare è il Mezzogiorno. L’acqua sporca è la retorica passatista del Sud piagnone, vittimista, lazzarone. In una parola: neo borbonico…
Io penso che questo sia un modo un po’ specioso di affrontare la questione meridionale oggi. Mi spiego. Intanto l’acqua sporca del Sud penso sia la stessa in cui stagna l’Italia. E’ il Paese d’Europa che ha il divario più profondo e grave, misurabile in diversi punti decimali, tra il benessere e la povertà che hanno una specifica localizzazione geografica. Permane in Italia un gap che altre nazioni europee non hanno o hanno colmato nel giorno di pochi anni, come la Germania che ha inglobato con successo l’ex Ddr, dimostrando che fare coesione è possibile. Nascondere la polvere sotto il tappeto, magari sostenendo che i colpevoli sono i meridionali incapaci e vittimisti, è un espediente che lascia il tempo che trova.
Perché in Italia non si è riusciti a colmare quel gap in 150 anni?
Per tanti motivi, ma io credo principalmente perché le politiche di sviluppo per il Sud, specie negli ultimi decenni, sono state fallimentari perché indirizzate anzitutto all’assistenzialismo. Tale scelta di fatto ha alimentato il clientelismo, perché il disagio economico e sociale del territorio sembra condizione ideale per “incassare un dividendo” in termini di risultato elettorale, e poi gestire il consenso. Insomma il Sud arretrato fa comodo.
L’economia al Nord ha sempre tirato mentre il Mezzogiorno, viceversa, nella migliore delle ipotesi, si è fatto trainare con politiche di intervento straordinario. E’ d’accordo con questa lettura?
L’esigenza di rendere più omogeneo il Paese collocando il Mezzogiorno sui binari dello sviluppo industriale è stata percepita fino all’inizio degli anni Novanta. Questo percorso poi si è interrotto, proprio mentre la competizione dell’economia globale mandava in crisi il modello dei distretti industriali del Nord. E’ apparsa la questione settentrionale, cioè si è pensato, illusoriamente, che fosse necessario rimettere in corsa il Nord per avere un rilancio del made in Italy e del sistema Paese.
L’idea che il Mezzogiorno ne avrebbe avuto un beneficio indiretto agganciando il treno della ripresa italiana non ha funzionato. Perché?
Evidentemente è stata una lettura scellerata di un passaggio cruciale come la nascita dell’economia globale. Oggi siamo a un tasso di disoccupazione meridionale triplo rispetto a quello del nord, ma l’Italia nel suo insieme non cresce come altri Paesi europei. L’abbandono del Sud ha fatto esplodere la questione demografica, cioè la caduta del numero delle nascite e l’esodo massiccio delle nostre migliori risorse intellettuali.
A che serve un movimento sudista, chiuso nel recinto di un territorio esiguo, con la testa rivolta al passato? Che contributo può dare al dibattito e all’agenda politica?
Nel manifesto del Sud Protagonista c’è un forte appello al “popolo del Sud, con il suo talento, le sue eccellenze, la sua dignità”. Deve crescere la consapevolezza che il Mezzogiorno non è un’area residuale d’Europa, ma il vero territorio di connessione dello spazio euro-mediterraneo, che è poi una leva per proiettare l’Europa verso i mercati del futuro.
Lei dice che uno dei motivi principali della crisi dell’Unione europea, sta nella decisione della Germania di puntare, assorbendo i Paesi dell’ex blocco comunista, alla riedificazione del mercato europeo tradizionale?
Sì, quello che via terra teneva insieme il cuore asburgico all’Ungheria e agli altri Paesi dell’Est dell’area balcanica. Questo è il disegno di un’Europa piccola e chiusa nel suo recinto tradizionale. Questa opzione oggi mostra tutti i suoi limiti, proprio mentre le potenze del mondo, in particolare la Cina con le famose Vie della Seta, puntano al Mediterraneo come al mare di un nuovo impetuoso sviluppo.
E perché a suo avviso in Italia questo scenario viene sottovalutato?
Perché abbiamo avuto per due decenni governi a trazione leghista e, dopo i governi di sinistra, un ritorno alla guida del Paese della forza politica che più interpreta il distacco con l’orizzonte mediterraneo, visto come mare che porta nei nostri confini solo conflitti stridenti e non opportunità.
Ma il dinanzi a questi scenari sembra più un vaso di coccio tra vasi di ferro?
Il Mezzogiorno è la macroregione storicamente più consolidata d’Italia. Come tale si è strutturata fin dai tempi di Federico di Svevia. Oggi dovrebbe riproporsi in questa chiave e non come somma di regioni troppo piccole se vuole, appunto, tornare ad essere protagonista della storia
Che cosa impedisce questa presa di coscienza?
La qualità di una classe politica che guarda sempre e solo alle prossime elezioni invece che alle prossime generazioni. I governi Renzi e Gentiloni hanno provato a fare qualcosa di strutturale, con il tentativo del Master Plan e con le zone franche. Ma il Pd ha pagato l’insanabile divisione interna,che ha visto ferocemente contrapposti i presidenti delle due regioni più importanti del Mezzogiorno: la Campania di De Luca da una parte, la Puglia di Emiliano dall’altra.
Ed oggi, dopo il voto del 4 marzo?
Oggi il Sud non può “rincorrere” il voto di protesta ed affidarsi ad una classe politica “populista” e demagogica, capace soltanto di cavalcare il malessere sociale senza dare risposte vere e concrete. La luna di miele con il Governo lega-stellato è già finita. Il voto europeo dividerà quello che il contratto di governo ha unito a tavolino. E il Mezzogiorno sarà tanto più centrale per i nuovi assetti istituzionali in Italia e in Europa.