di CLAUDIO D’AQUINO
“Dipendesse da lui – scrive Mauro Calise sul Mattino di lunedì 20 ottobre – è probabile che Matteo Renzi farebbe fare alle Regioni la stessa cura dimagrante propinata alle Province”. E cioè non solo la sforbiciata sui bilanci, ma una drastica riduzione del loro numero, tipo aggregazione in macroaree che alcune voci coraggiose ma isolate ogni tanto tornano a proporre…”
Bene. Bravo. Tocca al Sud chiedere il bis. Se l’intento di Renzi è rottamare le Regioni come sono oggi e delegare a nuove entità regionali, più ampie e più autorevoli , compiti di indirizzo legislativo – liberandole dal guazzabuglio della gestione amministrativa della spesa in cui naufragano anche le migliori intenzioni – il Sud deve imporre il gioco al rilancio.
Deve prendere in mano il testimone della rottamazione ed elevarla alla terza potenza. Fuor di metafora, deve chiedere – come fa da qualche tempo, sia pure timidamente, Stefano Caldoro – la soppressione delle Regioni e un riassetto federalista e autonomista dei poteri su scala meridionale.
La priorità del Mezzogiorno diventi dunque quella di entrare nella disputa sulla Riforma del titolo V con un piede di porco: le macroregioni.
Il Sud può e deve infilarsi nella trama della decomposizione territoriale che ha investito l’Italia, per mettere in campo un nuovo soggetto: un vero e proprio Stato federale del Mezzogiorno.
E’ in’idea non nuova, come ricorda Giorgio Ruffolo nelle pagine conclusive del suo libro di qualche anno fa, “Un Paese troppo lungo” (Einaudi), perché l’idea di un governo autonomo del Mezzogiorno, saldamente ancorato a una costituzione nazionale autenticamente federalista risale al grande progetto della rivoluzione meridionale di Guido Dorso e alla costituzione meridionale federalista di Gaetano Salvemini.
MACRO REGIONE EUROMED
Ruffolo parla di un nuovo soggetto politico posto al centro del Mediterraneo, che sappia essere parte integrante della questione mediterranea, a sua volta parte determinante del progetto europeo. In grado di stimolare un impegno transnazionale dei paesi della sponda nord e di quella sud del Mediterraneo al perseguimento di tre obiettivi principali: la cooperazione politica, la prosperità economica, l’intesa sociale e culturale. Parla espressamente di “governo federale del Mezzogiorno italiano” che deve impegnarsi in “una politica di europeizzazione mediterranea”: compito che può essere affidato a una macroregione euro-mediterranea.
COME NASCE UNA CLASSE DIRIGENTE
E’ evidente che a Nord del Garigliano non si ha alcuna idea di come suscitare uno sviluppo del Sud tale da contribuire alla missione della crescita nazionale (ed europea). Non si ha altra idea che quella, piuttosto spuntata, di sperare nella ripresa della “locomotiva” (del Centro-Nord), auspicando che il vagone di coda meridionale si agganci, prima o poi.
E invece no: il vagone di coda può diventare locomotiva se Il Mezzogiorno aggancia i mercati del futuro, quelli del Mediterraneo che rompe gli argini e diviene il canale di connessione tra Far Est ed economie occidentali, aprendosi allo sviluppo formidabile del mondo africano. Solo in un cimento di queste proporzioni può avere successo la demolizione dell’attuale classe dirigente, forgiata sull’intreccio fra reti politiche clientelari e reti mafiose territoriali. Solo dal crogiuolo di un nuovo soggetto politico-istituzionale, che si carichi il compito storico di un Mezzogiorno autonomo e competitivo, può nascere su base democratica una nuova classe politica meridionale.
Questa è la nuova impresa storica per cui vale la pena spendersi. Per l’Italia in crisi e per l’Europa che si trova innanzi a un bivio: porre mano al suo edificio istituzionale aprendo ai popoli e ai territori dell’area Med o restare chiusa nel recinto neo-asburgico e andare in frantumi.