di MARINA AGRESTI
Il sospetto diagnostico lo avevamo maturato in molti e da tempo. Il Mezzogiorno rischia di diventare (se non lo è già) un comodo capro espiatorio per nascondere sotto il tappeto distorsioni e criticità che vive l’intero Paese nel trattare i fondi europei. Sulla efficacia dei quali, a proposito di impulso allo sviluppo, i suoi dubbi li ha ripetuti più volte già di suo Adriano Giannola, ricordando che la loro natura è di essere “aggiuntivi” e non “sostitutivi” a politiche nazionali centrate anzitutto sul rilancio del tessuto industriale del Sud. Da qualche giorno a questa considerazione si sono aggiunte le riflessioni di Gianfranco Viesti in queste stesse pagine.
Se si guardano i dati contenuti nel portale OpenCoesione, afferma Viesti, emerge con nettezza che il ritardo riguarda tutta l`Italia ed è riconducibile… “a una pluralità di cause: nuove e più complesse regole per l`attuazione dei programmi comunitari; una maggiore incidenza di grandi progetti infrastrutturali, la cui gestione è particolarmente complessa; i vincoli di bilancio che hanno ostacolato le capacità? di cofinanziamento statale e regionale”. Non si tratta – conclude l’economista pugliese – banalmente dell’incapacità del Mezzogiorno ma di questioni più complesse e importanti. E’ superficiale dare la colpa al Sud”.
Ora è noto che il Mezzogiorno giace schiacciato dal peso di questa colpa, ormai da una ventina d’anni e più. Ed è stato piuttosto deludente riascoltarne l’eco nelle parole di Yoram Gutgeld, consigliere economico del premier Matteo Renzi, a conclusione di un incontro promosso a Napoli dal Denaro e dalla Fondazione Matching Energies presieduta dall’industriale Marco Zigon.
Era la tappa conclusiva dei un percorso partito nel 2014 e denominato “Manifesto delle 3E”: economia, etica, estetica per un Mezzogiorno capace di contribuire alla crescita italiana. Ai tre relatori del documento finale (Paolo Savona, Domenico De Masi e Alfonso Ruffo), Gutgeld ha risposto poco o nulla, arrampicandosi un po’ sugli specchi della banda ultralarga, che verrà finanziata per l’appunto dirottando su questa posta dfondi che il mezzogiorno “non ha saputo spendere”. Specie a Massimo Lo Cicero che lo aveva incalzato in materia di cose da fare, ora e subito, per il Sud. Come l’avvio dell’Agenzia della Coesione territoriale, ferma al palo da un anno. Come l’idea di un “consorzio” che riunisca in una sorta di macroarea le Regioni del Sud, allo stato troppo piccole per poter gestire in proprio politiche di sistema come quelle in materia di infrastrutture, logistica, internazionalizzazione. Come le città metropolitane, che ancora tardano ad avere una configurazione precisa e rischiano di sostituirsi, nella piramide delle autonomie locali fonte di sprechi, alle Province che non si capisce ancore bene se sono state abolite, come e quando. Il mantra viene ancora una volta recitato pubblicamente, senza nessuno che, al Sud, prenda l’iniziativa di rispedirlo al mittente. Nessuno prima di Giannola e Viesti, s’intende.
Mette conto a questo punto rammentare che quello che non si fa per il Sud, non si fa per l’Italia. Ricordare che un Sud materialmente sconnesso, all’interno e all’esterno del suo territorio, è un danno che si fa al Paese che annaspa alla ricerca del modo di tornare su un sentiero di crescita. Tutto ciò che si fa contro il Sud, è fatto contro le gambe dell’Italia, contro le gambe che possono portare il Paese nel cuore dei mercati in potente espansione. E se non dovesse bastare la logica deduzione che l’Italia diviene più povera se 20 milioni dei suoi abitanti restano in balia di una base produttiva asfittica, si rilegga quello che scriveva Srm in una sua ricerca di un anno fa sulla interdipendenza economica tra Nord e Sud del Paese:
“Il Mezzogiorno, secondo recenti studi della Banca d’Italia importa, infatti, dall’esterno circa il 24% del proprio PIL (88 miliardi di importazioni nette) ed è stato verificato che 100 euro spesi per prodotti del Mezzogiorno determinano una domanda aggiuntiva per le imprese del Centro Nord pari a 40 euro. Quindi, uno shock sul Pil del Mezzogiorno ha un effetto più marcato sul Pil del Centro Nord di quanto non avvenga nel caso opposto e che un aumento della domanda finale interna nel Mezzogiorno induce un incremento consistente di produzione, in particolare del Nord Ovest”.
Gli uomini di Renzi, invece, sono ancora fermi alla parola d’ordine di conio leghista. Il Sud è il principale artefice della propria arretratezza. I primi a doversi occupare del Mezzogiorno sono i meridionali. Come se l’Italia fosse davvero una Repubblica federale e gli enti locali avessero avuto per davvero l’autonomia necessaria a governare oltre che amministrate i territori. Come se, infine, le politiche economiche fossero state delegate a Regioni, Comuni, Comunità montane e autorità di bacino.