di CLAUDIO D’AQUINO
Se il filo rosso della riflessione sul Mezzogiorno, sparito negli ultimi venti anni dall’orizzonte politico, non si è mai spezzato, il merito è anzitutto della Svimez presieduta dall’economista Adriano Giannola e di Srm, il centro studi diretto da Massino De Andreis. Due istituti che rappresentano per così dire lo zenith e il nadir dell’attuale interpretazione di ciò che vale e, soprattutto, di ciò che può fare il Mezzogiorno per l’Italia e per l’Europa. Due torri di osservazione che hanno tenacemente custodito la vena del meridionalismo in una lunga fase in cui il Sud non ha goduto di buona stampa, talvolta anzi ha mietuto (e ancora miete) pessima reputazione. Sud malato d’Europa. Sud sprecone e incapace. Sud un caso da antropologia criminale. Se quindi il Sud riemerge nella tematizzazione mediatica da un sonno durato venti anni – Nicky Vendola ha parlato di “venti anni di solitudine” – lo si deve primariamente a questi due istituti.
DIAGNOSI E TERAPIA
Del Mezzogiorno studiano ogni piega. Srm coi suoi Report sulla logistica, l’economia marittima, i Focus sui mercati del Nord Africa e del Mediterraneo. Ultimamente (martedì 22 scorso), in tandem con la Fondazione Edison, con la presentazione nella sala assemblee del Banco di Napoli del volume “L’economia reale del Mezzogiorno”, curato da Marco Fortis e Alberto Quadro Curzio. Svimez con i suoi studi su aspetti diversi dell’economia meridionale, culminati martedì 28 scorso con la presentazione del Rapporto 2014. Nel giro di una settimana, da un martedì all’altro, hanno confermato essere due osservatori specializzati. Con accenti e sfumature diverse, su cui conviene soffermarsi. Perché il ponderoso Rapporto di Svimez è come una approfondita cartella clinica dei mali del Sud, prevalentemente focalizzato sulla diagnosi che chiede al medico (il governo centrale) una terapia d’urto e di urgente impatto. Il lavoro di SRM, come testimonia l’ultimo libro proposto dalla Fondazione Edison per i tipi de Il Mulino, appare orientato invece sulla “terapia di mantenimento” di medio periodo.
SVIMEZ, erede del migliore meridionalismo, è depositaria della più autorevole conoscenza di che cosa rappresenti il Mezzogiorno, per chi senta il dovere di conoscere e di capire. SRM è impegnato a tratteggiare le traiettorie di un Mezzogiorno rilanciato dal suo riposizionamento competitivo nei mercati del futuro, baricentrato stabilmente in un Mediterraneo che è tornato mare principe dei traffici internazionali. Per restare nella metafora medica, il taglio di Svimez è allopatico (cosa si può fare da fuori e con risorse pubbliche per rianimare l’ammalato grave). Quello di SRM è “omeopatico”: cosa può fare il Mezzogiorno dal di dentro, per se stesso, con un approccio autonomo, mantenendo fermo l’opzione unitaria dello Stato.
La differenza non è di poco conto. Ma pare fuor di ogni ragionevole dubbio che il Sud abbia bisogno di entrambi gli apporti. Ed è interessante notare che i due istituti non mancano l’appuntamento con il dovere di documentare, chiarire, spiegare.
IL GRANDE FREDDO
Si registra il seguente fenomeno: proprio nel momento più critico per il Sud, trascinato nel gorgo della cisi da un mercato interno reso asfittico da una recessione che dura da tre anni, dal fondo del “black hole” che sta ingoiando il Sud territorio canaglia (e l’Italia osservato speciale e l’Europa che si va impiccando alle regole dell’austerity…), il Mezzogiorno riemerge come orizzonte di una possibile – l’unica possibile – exit strategy dal grande freddo.
Il Sud che è avamposto costiero di Mare nostrum (operazione che ha consentito di salvare non meno di 150 mila uomini, donne e bambini) è al tempo stesso la frontiera avanzata del canale che connette le economie dell’Oriente ai mercati delle Americhe: passa di qui una nave su cinque tra quelle che solcano le acque del globo terrestre. In mezzo le ingenti risorse finanziarie dei fondi sovrani del Medio Oriente e del Golfo Persico. E, ancora, la riva nord del continente africano, dove una pattuglia di Paesi si è messi in marcia, silenziosamente, al passo di una crescita annua che in Europa non si conosce dal dopoguerra.
INTERSEZIONE
Non a caso i percorsi logici di SVIMEZ e SRM, pur con chiavi di lettura differenti, trovano convergenza in un campo di intersezione che ha un nome preciso: l’opzione logistica in chiave Euromed. La logistica è il punto di fusione delle chance di un Mezzogiorno prossimo venturo, perché permette di trasformare un vantaggio geografico in una opportunità economica. E’ il settore di attività che sussume le principali precondizioni di uno sviluppo territoriale competitivo. Ma la logistica è sistemica per definizione. Pertanto o le attività di stoccaggio, movimentazione, assemblaggio delle merci trovano il presupposto di una dotazione adeguata di infrastrutture pesanti e immateriali, o non decollano. Possono trascinare verso l’alto sviluppo del Sud e crescita italiane solo a patto che Gioia Tauro, Napoli, Palermo, Bari, Taranto e gli altri porti di feederaggio del Sud vengono attrezzati alla connessione dei traffici marittimi con le vie di comunicazione su ferro e su gomma. Il che richiede non solo che l’Italia sia unita da ferrovie, autostrade e aeroporti, ma anche una profonda rigenerazione del contesto urbanistico delle città portuali, occasione per trasformare il volto delle città a partire da quartieri dove è più alto il degrado sociale e ambientale. Qui il concorso di reti telematiche e reti elettriche di nuova generazione dovranno assicurare la distribuzione intelligente dell’energia da fonti rinnovabili. Ad oggi di efficienza energetica, invece, si parla solo a proposito della eco-sostenibilità degli edifici, mentre cruciale in materia di dotazione di reti elettriche, senza le quali non sarà possibile il mercato unico dell’energia, né saremo in grado di importare risorse energetiche dai luoghi dove è più conveniente produrla: area balcanica per l’idroelettrico, nord Europa per l’eolico off shore, le immense piantagioni di solare dall’Africa sahariana.
OCCASIONE MANCATA
C’è qualcuno che nel governo Renzi ha orecchio e testa su questa partita? Le parole di Delrio pronunciate nel Tempio di Adriano appena mezz’ora dopo l’irruzione di un manipolo di vigili del fuoco, giovani e precari, sono sembrate più centrate del solito. Sul tappeto la promessa del varo imminente dell’Agenzia per la Coesione e del nuovo accordo di partenariato. Ma quello che sembra mancare, a metà del semestre di guida italiana del Consiglio europeo, non è una politica industriale per il Sud e nemmeno un piano strategico di sviluppo del Mezzogiorno, che giustamente invoca la SVIMEZ, ma un dossier Euro-mediterraneo, ossia un contributo dell’Italia e del Sud alla ripresa convinta del cammino verso la costruzione di un’area di libero scambio avviato con il processo di Barcellona. In fondo, l’ultimo a parlare di questa opportunità è stato Sarkosy, alcuni anni fa, con l’idea dell’Unione mediterranea trainata dalla Francia.
Lo tsunami “rivoluzionario” di Renzi e delle Leopolde sembra avere un effetto dirompente in Italia, ma si affloscia temibilmente fuori dai confini. Oltre le Alpi il nostro premier dove trova interlocutori più strutturati di Cnel e operai della Tissen o Regioni del Sud alla canna del gas.
Se la spinta renziana si dovesse limitare a un esercizio di retorica anti-austerity o in un braccio di ferro sui privilegi della casta degli euroburocrati, sarebbe un peccato. Un’altra occasione mancata.
All’Italia non serve un Renzi che faccia il “grillino” a Bruxelles, agitando lo spauracchio di fare da apriscatole all’euroburocrazia, mentre il mondo, fuori dal recinto dell’eurozona, miete a a passo di carica traguardi di crescita.