Raffaele Cantone, è uno dei pochi, pochissimi uomini del Sud carismatici a cui Renzi si sia affidato. Per una missione, come si sa, delicatissima: mettere sui binari della legalità l’Expo di Milano. Caso più unico che raro. Quasi un paradosso. Di questi tempi un uomo del Sud – quella parte del Paese che si vuole funzioni solo se commissariata, come a Bagnoli – viene chiamato a una missione veramente speciale: commissariare un pezzo di Settentrione. Per l’esattezza un’area di circa 1,1 milioni di metri quadrati compresa tra il settore Nord Ovest di Milano e parte del territorio delle città di Pero e di Rho. Ma tu guarda che combinazione.
MISSIONE DIABOLICA
Incidentalmente potremmo ricordare anche che è napoletano, circostanza che rende il suo incarico ancora più singolare. Perché si dicono tante cose su Napoli, il “paradiso abitato diavoli” che fa specie, poi, osservare un “diavolo” mandato in missione a dipanare la matassa infernale di uno degli scandali più clamorosi da Tangentopoli in poi, assieme a Mose, Parmalat e Monte dei Paschi.
SOLO IL PRETE
Il magistrato in libera uscita è stato intervistato di recente da Repubblica. Napoli a proposito dell’uccisione da parte di un carabiniere di un ragazzo del Rione Traiano. Non si è ancora capito chi dei due fosse un povero diavolo, il dibattito è ancora aperto. Ma a proposito della lacerazione tra tutori della legge e cittadini, Cantone si dice preoccupato per un aspetto molto particolare. E cioè per “la mancanza totale dei mediatori sociali o politici”. E’ come se la politica locale, che dal consenso popolare riceve legittimazione, avesse abbandonato il territorio e chi lo abita ai suoi guai. “Per la prima volta in avvenimenti del genere – spiega Cantone – ho visto che i cronisti non avevano da intervistare né un consigliere comunale o circoscrizionale in cui si riconoscessero quei residenti, né un sindacalista, né il capo di una associazione culturale. Solo il prete c’era, anche molto giovane…”.
NESSUNO ASSOLTO
Due o tre giorni dopo, altro giornale, altra corsa. Il Mattino di Napoli, principale quotidiano del Mezzogiorno, ospita un ampio intervento di Paolo Savona. Ministro dell’Industria, commercio e artigianato nel Governo Ciampi, già Capo del Dipartimento per le Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’economista di origine cagliaritana si è dichiarato contrario, fin dalla firma del Trattato europeo del 1992, all’accettazione dei parametri di Maastricht. Anzitutto perché privi di base scientifica. In secondo luogo perché troppo rigidi per un’economia che richiede flessibilità. Ha avuto anche il coraggio di affermare che l’Italia era impreparata a entrare nell’euro, circostanza su cui ha espresso il suo dissenso in un pamphlet intitolato “L’Europa dai piedi di argilla”. “Che il Mezzogiorno abbia i suoi torti – scrive sul Mattino – è un dato di fatto, ma essi non giustificano che i gruppi dirigenti nazionali ed europei si ritengano assolti dall’attuare politiche di sviluppo economico e civile”. Il Sud deve quindi recuperare fiducia nelle proprie possibilità indipendenti di riscossa. “Credo ormai – conclude – che sia indispensabile l’avvio di un movimento civile che porti alla nascita di un partito meridionale e meridionalista, non indipendentista, che rivendichi con forza il rispetto dei principi di libertà e di equità del contratto sociale che ci lega all’Italia e all’Europa. Siamo disposti a discuterne seriamente?”.
Nei giorni seguenti ne hanno discusso, ciascuno con un profilo diverso, due economisti – Adriano Giannola e Gianfranco Viesti – e un politico di centro destra, Giorgio La Malfa, studioso dell’economia del Sud, ma non meridionale. E’ intervenuto sull’argomento anche Pino Aprile, giornalista e scrittore, autore di tanti libri sul nuovo Sud. Ma – la cosa è davvero singolare – nessun esponente politico del Mezzogiorno si è sentito chiamare in causa. Nemmeno quelli del Pd, gli eredi di Gramsci e Don Sturzo. Quelli che nel sangue, mischiati ai globuli rossi, dovrebbero avere i passaggi fondamentali della questione meridionale da Giustino Fortunato a oggi. Né Enzo Amendola, né Pina Picierno, né Nicola La Torre, né Francesco Boccia, intervistati un giorno sì e uno no, hanno sentito il dovere di proferire verbo. E nemmeno Michele Emiliano.
Niente da dire?
Niente da dichiarare?
Dobbiamo forse, anche su questo tema cruciale, intervistare un prete, magari molto giovane?