Di CLAUDIO D’AQUINO
Isaia Sales ha dedicato due degli ultimi suoi interventi sul Mattino – al solito lucidissimi – alla “grande illusione” dei Fondi europei per il Sud. Lo ha fatto richiamando, soprattutto nell’ultimo suo scritto apparso giovedì 4 novembre, i dati del Rapporto Svimez 2014, il più solido ancoraggio per chi si occupa di economia del Mezzogiorno. Ma è proprio il presidente di Svimez ad aver rincarato la dose sui Fondi strutturali, e non da oggi. Per Adriano Giannola, autorevole economista alla guida dell’associazione che è depositaria della più articolata radiografia dello stato di salute del Sud, i Fondi europei per il Sud sono “un grande imbroglio”.
Proviamo a riassumere qui, a beneficio dei lettori enostra, perché sono una illusione (Sales) e perché un imbroglio (Giannola).
IL GIOCO DELLE DUE CARTE
Sales afferma (Il Mattino del 25 ottobre) che i governi spingono (Berlusconi-Monti-Letta; ma con Renzi la musica non è cambiata) le Regioni e i Ministeri a spender ei fondi strutturali, ma “formalmente”. Perché ai fini del mantenimento del patto di stabilità e della riduzione del deficit era (è?) più conveniente non farlo. Una specie di gioco delle due carte. Perché “da un lato di chiedeva di utilizzare velocemente i fondi” e dall’altra “si costruiva una gabbia per impedirne la rapida spesa”.
CAMICIA DI NESSO
Schiacciate nella camicia di Nesso del combinato di investimenti da fare e limiti di spesa, anche volendo recuperare il tempo e le opportunità perdute, le Regioni del Sud non possono fare davvero gran che. Sales lo spiega egregiamente sul Mattino del 4 novembre, richiamando una inchiesta di Nando Santonastaso: da qui al 2015 restano da spendere quasi 15 miliardi di euro tra Ministeri, Regioni e privati. Per centrare l’obiettivo bisognerebbe spendere almeno un miliardo al mese. Ma anche volendo e sapendo fare, non si può. “Come la mettiamo – domanda Sales – con il cosiddetto patto di stabilità, cioè con il fatto che per ogni anno c’è un limite di spesa che nessun ente territoriale può superare?” . E’ un limite che comprende stipendi dei dipendenti, pagamenti ai fornitori, erogazione di vari contributi… e infine i pagamenti per gli investimenti fatti coi Fondi strutturali.
Ancora. Sales rimarca che da anni tutta l’attenzione del dibattito sul Sud sembra centrata sui fondi strutturali. Il Sud scompare dall’agenda dei governi grazie all’alibi delle risorse assegnate dall’Europa. E spiega che i fondi strutturali, anche sul piano mediatico, svolgono una doppia funzione penalizzante per il Mezzogiorno. Una funzione “colpevolizzante” (vi lamentate ma le risorse a disposizione continuate a non spenderle) e una funzione (farisaicamente) “rassicurante” (non vi preoccupate per la crisi, ci sono sempre i fondi a disposizione di qui al 2020 per tirarvene fuori). Al danno che vede sempre più ridursi i trasferimenti statali in nome di una presunta disponibilità di risorse che sono aggiuntive e non sostitutive, si unisce la beffa. Perché delegare il compito di ridurre il divario meridionale alle politiche di coesione dell’Europa è fuorviante. Perché se l’economia italiana va male, non si inverte la rotta con le politiche di coesione. E’ stato calcolato che, per ridurre le distanze, lo Stato italiano dovrebbe concentrare nel Sud il 45% di investimenti in conto capitale. Mentre è evidente che coi soldi dell’Europa si sostituisce ormai di prassi la mancata spesa ordinarie dei ministeri.
PARADOSSALI ASIMMETRIE
Ma perché i Fondi europei per il Sud si traducono in un grande imbroglio bisogna ricorrere all’ultimo rapporto Svimez, che denuncia una situazione che, nel contesto europeo, è di pronunciata asimmetria sistematica. Fino al paradosso che vede l’economia italiana combattere su due fronti. La parte avanzata (il Centro Nord) “trova i suoi competitor naturali nelle economie maggiori – si legge a pagina 23 del documento di Introduzione del Rapporto Svimez –con al suo interno un Mezzogiorno che si trova a competere con le aree “marginali” dell’Unione”. Una competizione, quest’ultima, che è tutta a perdere, perché è una gara in cui il Sud corre con i pesi ai piedi. Ecco come spiega la metafora la Svimez.
LA CORSA A PERDERE
“Le politiche per il Sud devono essere necessariamente collocate nel contesto europeo, ma le politiche di coesione intervengono in una cornice di politiche 2ordinarie” caratterizzate dalla mancanza di armonizzazione dei sistemi fiscali e dalla convivenza tra Paesi dell’eurozona… che hanno conservato la propria sovranità monetaria…”.
Uno stato di cose che si è venuto a creare…
“… a partire del 2004 con l’allargamento ad est dell’Unione, passaggio che ha significato l’introduzione di un’ulteriore forma di “asimmetrie strutturali”, questa volta interne alla sua periferia… Da quel momento il Mezzogiorno ha sofferto in misura crescente la concorrenza del dumping fiscale e della mancanza degli obblighi valutari dei nuovi Stati membri”.
La Svimez insiste giustamente su questo aspetto:
“Per Paesi come Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia e Romania, le risorse europee rappresentano a tutti gli effetti risorse aggiuntive conferite ai bilanci nazionali. Ciascuno di questi Paesi…. ha potuto usare questo canale di finanziamento per attenuare la caduta di investimenti pubblici indotta dalle politiche di austerità. Diverso è il caso italiano, è dove una parte del Paese, il Mezzogiorno, a soffrire del ritardo di sviluppo per cui, in base al principio di addizionalità, lo Stato è chiamato a garantire uno sforzo finanziario nazionale… sistematicamente disatteso.. mentre le risorse nazionali per la coesione sono state dirottate su altri capitoli di emergenza”.
Insomma, per dirla tutta, il grande imbroglio sta qui:
“la distribuzione delle risorse comunitari è sbilanciata a favore dei 10 Paesi non aderenti all’Euro (53,3 per cento del totale contro il 49,5% del 2007-2013), e di una economia dell’area in particolare, la Polonia (22% contro il 19,8% del 2007-2013).
La Svimez propone di introdurre dei necessari meccanismi compensativi degli squilibri interni alla periferia dell’Unione. Una fiscalità di compensazione, il rilancio degli investimenti pubblici e una vera flessibilità sui rapporti di finanza pubblica concessi dai Trattati europei, da utilizzare per consentire il rilancio degli investimenti. Il nodo fondamentale da sciogliere è questo: il crollo degli investimenti pubblici e privati particolarmente intenso al Sud. Da arrestare mediante la proposta di escludere dal computo del rapporto deficit/Pil il cofinanziamento nazionale per le spese di investimenti. Si tratterebbe oltretutto di dare slancio agli investimenti per infrastrutture di importanza strategica per l’Europa, come i progetti TEN che disegnano una rete integrata europea ma in cui larga parte del Mezzogiorno – con investimenti in infrastrutture ridotti a un quinto rispetto agli anni Settanta -sembra destinata a giocare un ruolo del tutto secondario. Ma a metà percorso del semestre di guida italiana del Consiglio europeo, di tutto questo non si è fatto ancora cenno. E questo è un masso che pesa sulla coscienza del nostro presidente del Consiglio.