Tu non sai quanto è ingiusto questo Paese. Non sai perché l’Italia è la nazione più iniqua e feroce d’Europa. Non lo sai, ma puoi saperlo. Come? Puoi acquistare – ad esempio – l’ultimo libro di Pino Aprile, edizioni Pienogiorno, 2021. Come abbiamo fatto noi, prima di interrogarlo a fondo.
Ma chi è Pino Aprile? Chi non lo ha ancora conosciuto grazie a una sua (sporadica) apparizione in un programma tv e non ha impattato una delle sue (numerose) dirette facebook, può farlo conoscendo le sue idee attingendo al suo ultimo lavoro. Giornalista e scrittore, è autore di saggi di straordinario successo, tradotti in diversi paesi. Terroni, uscito nel 2010 e diventato un caso editoriale da mezzo milione di copie. Non meno interessanti le opere successive, tra cui Giù al Sud, Carnefici, Il male del Nord. Da alcuni anni è diventato dei giornalisti d’inchiesta più seguiti d’Italia, per l’abitudine di percorrere migliaia di chilometri incontrando la sua gente in ogni angolo del Sud. Ha anche fondato il Movimento per l’Equità territoriale, il 24 agosto del 2019, partendo da un incontro al Parco storico della Grancia di Potenza, chiamando a raccolta alcune centinaia dei suoi lettori, molti dei quali ora sono suoi sodali. L’ultimo suo volume è la base per svolgere una intervista con lui pur senza di lui. Come dire: una conversazione con Pino Aprile senza Pino Aprile. Tanto per lui – e in maniera efficacissima – parlano le pagine del suo libro. Conoscere un autore meglio che mediante un suo libro non si può. E “Tu non sai com’è ingiusto questo Paese” è appunto la base – è oggetto e pretesto – dell’intervista che segue.
Ciascuno scrittore, narratore o saggista, ha sempre dinanzi agli occhi o accanto a sé il pubblico ideale a cui fa riferimento. Qual è il suo pubblico idealtipico?
Ho pensato di avere per interlocutori gli onesti inconsapevoli: economicamente delle fasce alte, anagraficamente anziani e garantiti, fisicamente normodotati, geograficamente del Nord.
Parla alla classe dirigente Nord e non è la prima volta. Ma ha scelto un momento particolare per portarlo in libreria. Il tempo incipiente di Mario Draghi, il governo dei migliori…
Già. Le cose vanno così male, ma così male, che alla fine è arrivato lui: Mario Draghi. Colui che nell’ultima ora ha ricevuto l’incarico di formare il nuovo esecutivo.
L’ultima ora è arrivata… Ma per fare cosa?
Per un governo in grado di ridurre significativamente le disuguaglianze. O il Paese si ritroverà dissolto. Senza una correzione seria delle disparità, c’è grande possibilità che finisca proprio di esistere. Sì, il debito pubblico, sì l’equilibrio fra le grandi potenze, sì l’ordine pubblico, sì la cassa integrazione, sì la scuola… Queste sono le cose che un governo deve fare. Ma ora l’enormità delle disuguaglianze impone che la loro eliminazione sia il primo compito, l’unico.
La campanella dell’ultimo giro è stata suonata, lei dice. Dopo di che verrà il tempo in cui la cura delle diseguaglianze potrebbe essere la violenza. Non è così?
Elevate e crescenti disuguaglianze mettono a repentaglio i progressi nella lotta alla povertà, minano la coesione e la mobilità sociale, alimentano un profondo senso di ingiustizia e insicurezza, generano rancore e aumentano in molti contesti nazionali l’appeal di proposte politiche populiste o estremiste.
Lei afferma che l’Italia è il Paese più ingiusto dell’Occidente in molti campi, fra i più ingiusti del mondo…
Ed ha un primato in Europa: è il Paese a più bassa mobilità sociale, ovvero la probabilità di migliorare la propria condizione, e a più alta disuguaglianza delle opportunità, ovvero le possibilità concrete, per chi sta in basso e ha buone doti, di vedersele riconosciute e salire socialmente.
Avere le disuguaglianze interne più grandi d’Europa, che cosa significa?
Che i ricchi sono più garantiti dei poveri; gli anziani con un reddito più dei giovani che ne sono privi; chi ha un lavoro più dei disoccupati; gli uomini più delle donne; i normodotati più dei disabili; il Nord più del Sud. Tanto che la condizione peggiore per un cittadino europeo, oggi, sa qual è?
No, me lo dica lei.
Essere di nazionalità italiana, meridionale, donna, giovane, disoccupata, madre, single e – Dio non voglia – per giunta pure disabile e di colore.
Eppure nulla è accaduto dopo i Forconi siciliani e la rivolta delle urne che ha visto il Movimento 5 Stelle diventare il primo partito al Sud…
A porre il nostro Paese nella situazione di maggior rischio è il livello della disuguaglianza di “riconoscimento”. Vale a dire quel senso di esclusione dai diritti che da noi è molto più grave che altrove e che con forza sottolineiamo.
Anche perché le responsabilità del divario territoriale, dicono molti osservatori, ricadono sulle spalle dei meridionali. O no?
E certo. La disuguaglianza viene addossata quale colpa a chi la subisce. I poveri? Non hanno voglia di lavorare. I giovani? Sono bamboccioni e non vanno via da casa di mamma e papà. I meridionali? Cercano “il posto” per evitare la fatica. I greci? Vogliono vivere in vacanza a spese dei tedeschi. Sembra che “la colpa” sia di chi ha il problema.
Ma è un mondo che va così, il mondo della globalizzazione…
Stiglitz ha dimostrato che una quota minima di persone ha il controllo quasi totale delle risorse. Tanto che già nel 2014 l’1 per cento della popolazione mondiale avrebbe posseduto la metà della ricchezza del pianeta e in pochi anni ne avrebbe avuta il 99 per cento. A metà del 2019, il patrimonio di quell’1 per cento più ricco superava il doppio della ricchezza posseduta da quasi 7 miliardi di persone, ovvero poco meno dell’intera popolazione mondiale.
E in Italia?
Per gli anziani con un reddito sicuro spendiamo, unici in Europa, tre volte e mezzo più che per i giovani disoccupati; si incrementa la spesa sanitaria dove la vita media è più alta e in crescita (Nord) e la si taglia dove è più bassa e diminuisce (Sud).
Abbiamo anche la maggiore disoccupazione femminile dell’Occidente, se è per questo…
Le donne italiane sono ancora costrette a scegliere fra lavoro-carriera o maternità; si finanziano gli asili dove ce ne sono già tanti (persino troppi), con o senza bambini che ne abbiano bisogno.
Per non dire del punto cruciale: il divario economico e infrastrutturale Nord-Sud… E’ il più profondo e duraturo del mondo fra due aree dello stesso Paese.
Come spiega Luca Bianchi, direttore della Svimez, è un “divario di cittadinanza”, non di reddito. E divide in due l’Italia, perché mentre ad alcuni la cittadinanza garantisce privilegi che diventano diritti, ad altri si negano diritti elementari come se fossero privilegi, e si chiede loro di contribuire al vantaggio dei primi.
E’ una apartheid sottaciuta?
Lo Stato investe in opere pubbliche, infrastrutture, centri di ricerca e cultura solo al Nord, salvo briciole, e per di più sottraendo fondi destinati al Sud, fino a oltre 60 miliardi all’anno, come certificato dalla Svimez, elaborando i dati dell’ente di Stato Conti Pubblici Territoriali. Quindi siamo l’unico Paese in cui la “colpa del ritardo” viene addossata non a chi lo crea, lo impone e lo sfrutta, ma a chi lo subisce.
Non accade così anche all’estero?
In nessun altro Paese un divario economico è considerato una colpa e la prova dell’insufficienza dell’intera popolazione coinvolta. In Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna hanno divari simili, pur se non così duraturi, ma non essendo intelligenti come noi cercano di risolverli, non di individuare la colpa genetica, storica, climatica, eccetera dei più svantaggiati, per giustificare i privilegi di altri a spese di tutti.
Qui da noi invece si trasforma una differenza di reddito pro capite in un deficit razziale? Vuol dire questo?
L’Italia è un Paese governato con ferocia, dove il privilegio di pochi si nutre del dolore di molti. Da noi, quando le cose vanno male, si chiede a chi sta peggio di soccorrere chi sta meglio: togli il pane al morto di fame, perché non manchi il caviale a chi ha palato e abitudini fini.
E’ una guerra, allora?
E’ una specie di guerra a bassissima intensità, ma sempre più esplicita e rovente, è in atto da decenni e a senso unico nel nostro Paese: insulti, disistima, risentimenti, iniqua distribuzione delle risorse e una crescente voglia di separarsi che alla Lega serviva per alzare i toni.
E a Sud nessuno parla o protesta?
A Sud sono sempre più numerosi quelli che la vedono come la fine della condizione coloniale denunciata da più di un secolo a questa parte da Antonio Gramsci, Guido Dorso, Gaetano Salvemini, Ettore Ciccotti, Giustino Fortunato e Nicola Zitara.
Se padri del meridionalismo pubblicassero oggi quanto scritto allora…
Verrebbero etichettati come “neoborbonici” o sudisti. Una debolezza del meridionalismo è proporsi come se dovesse farsi perdonare la sua storia, perché c’è una storia che non bisogna raccontare, per essere accettati. I più abbienti, avendo la possibilità di influire più degli altri sulle scelte governative (sono essi stessi classe dirigente), chiedono e ottengono maggiore protezione, polizia, giudici, pene, galere.
E’ la malapianta del Risorgimento?
Non ce l’ho con il Risorgimento: l’Italia era da fare. Ma se la si fece nel sangue, in pochi contro i molti, e non meglio, bisognerebbe almeno dirlo.
L’unità si è fatta nel sangue, a colpi di baionette e cannonate…
L’esercito serviva più a sedare conflitti sociali interni che a far la guerra, come dimostrano i risultati di quelle che abbiamo combattuto. Tutte le prime medaglie d’oro sterminarono italiani, anche se del Sud: fucilazioni in massa, rastrellamenti, rappresaglie contro i paesi. Il generale Bava Beccaris fu decorato per aver sconfitto a cannonate i disoccupati in sciopero a Milano e il generale Mazza perché faceva abbattere sul posto dai plotoni di esecuzione, come presunti sciacalli, i sopravvissuti al terremoto di Messina che scavavano fra le macerie.
Quel seme della separazione casta-popolo, Nord-Sud, noi-gli altri, permane ancora?
Si è riprodotto sino a fare del nostro il Paese più ingiusto dell’Occidente. E la globalizzazione ha favorito chi nei Paesi ricchi era già abbiente. Così le disuguaglianze interne crescono.
Eppure in alcuni testi, come ad esempio L’economia reale del Mezzogiorno di Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis, sono favorevoli a investire sullo sviluppo del sud. Non è così?
Sono testi in cui si spiega che se si favorisse lo sviluppo del Sud e delle aree interne abbandonate dallo Stato (infrastrutture, trasporti, servizi), il nostro Paese diventerebbe in pochi anni il primo manifatturiero d’Europa, superando la Germania.
L’Italia è stato l’ultimo Paese europeo a prevedere, con il reddito di cittadinanza, una sorta di sussidio di sopravvivenza per chi non ha lavoro né entrate, o ne ha troppo misere per campare. Ora c’è chi a voce alta afferma che il nostro Paese non si può trasformare in un Sussidistan. Ed è il numero uno di Confindustria.
E’ stato uno dei provvedimenti più discussi e osteggiati di sempre: gli imprenditori a protestare per il regalo immeritato ai nullafacenti che, così, non avrebbero più voluto lavorare per quelle stesse cifre o persino per meno.
Poi arrivarono gli 80 euro di Renzi…
Alla fine, l’esborso del provvedimento che avrebbe sbancato l’Italia fu soltanto di circa la metà della spesa per gli 80 euro dati da Renzi ai non morti di fame. Eppure, si trattava di un provvedimento utile a ridurre le disuguaglianze più feroci in un Paese come il nostro, dove il 10 per cento dei lavoratori più pagati guadagna più della metà di tutti quelli meno pagati messi insieme. Gli industriali poi…
Poi?
Come diceva Gramsci, quando parlava del loro “cretinismo economico”, non hanno mai compreso i loro veri interessi e si sono sempre comportati antieconomicamente.
Perché ci va così duro?
Perché è normalmente stupido lasciare senza alcun sostegno le fasce più povere per due motivi: il rischio che il bisogno estremo, non trovando sbocchi, esploda in conflitti sociali. I soldi che metti in mano a chi non ne ha ti tornano aumentati, perché creano comunque un’economia di base, servendo all’acquisto di beni di sussistenza che qualcuno deve produrre, qualcun altro trasportare, altri ancora vendere.
Ma sono costi a carico del solito contribuente. Per non parlare degli abusi che spesso vengono a galla…
Le rispondo così: uno solo degli scandali di tangenti su grandi opere vale da solo migliaia di volte tutti gli abusi del reddito di cittadinanza messi insieme. Quando li prendono gli altri, replicò il vicesegretario del PD Andrea Orlando a Bonomi, si chiamano sussidi. Quando li prendi tu, contributi alla competitività.
Ad ogni modo, la malattia della iniquità sociale non è nata ieri. E’ un processo che dura da trenta o quarant’anni. O sbaglio?
Il professor Maurizio Franzini nel suo Ricchi e poveri enumera una lunga serie di scelte politiche che hanno fortemente allargato e stabilizzato le disuguaglianze. Si va dall’abolizione della scala mobile (meccanismo che consentiva ai dipendenti di recuperare la perdita di potere d’acquisto eroso dall’inflazione) alla forma più iniqua di impoverimento, che si riscontra in una più generale tendenza a trasferire molti rischi sociali, e principalmente quelli connessi alla sicurezza del reddito, dalla società ai singoli.
Cosa vuol dire, si spieghi meglio…
Vuol dire caricare il costo di servizi e diritti che lo Stato non dà o non dà più sulle spalle dei cittadini, e non di tutti: dei meno abbienti. E povertà non è solo aver poco (o niente), ma non avere possibilità (o poche) di essere altro.
In conclusione, come siamo messi?
Veda un po’ lei. Siamo il primo Paese che potrebbe essere sconvolto dalla violenza al fine di ristabilire un minimo di equità, se non si farà diversamente, con politiche sociali e con il contenimento delle pretese dei più ricchi e della crescita dei loro patrimoni. L’altro Paese a rischio imminente è gli Stati Uniti.
E certo la pandemia non dà una mano, anzi…
Già nei primi nove mesi di pandemia il numero delle vittime, in Italia, ha superato quello dei caduti statunitensi nella guerra del Vietnam (58 mila). Per capire davvero cosa significhi, ci si immagini che in quei nove mesi sia scomparsa dalla mappa d’Italia una città come Pordenone o Campobasso, Mantova o Avellino. Nell’anno della pandemia, la quota di individui in famiglie in condizione di povertà assoluta è salita dal 6,4 al 7,7 per cento, pari a oltre un milione in più rispetto al 2019. L’incidenza della povertà assoluta è aumentata per quasi tutte le tipologie familiari e ripartizioni geografiche.
Quindi se per magia sparisse il Mezzogiorno, i problemi dell’Italia sarebbero risolti?
Non è così. Anche se si escludesse il Mezzogiorno dal computo, l’Italia resterebbe un Paese ad alta disuguaglianza, superiore a quella di quasi tutti i Paesi europei continentali e, a maggior ragione, scandinavi. Non lo dico io ma il professor Franzini, ordinario di Politica economica nella Sapienza di Roma e direttore del “Menabò di Etica e Economia”.