Bruno Contrada non andava condannato perché il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non era giuridicamente definito all’epoca dei fatti a lui contestati. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo condannando l’Italia a una multa di diecimila euro per danni morali e al pagamento di 2.500 euro per spese processuali. La fattispecie di reato in questione, scrive la Corte, è il risultato di un iter giurisprudenziale avviato verso la fine degli anni 80 e consolidato nel 1994. E Contrada, incriminato per fatti che risalgono al periodo compreso tra il 1979 e il 1988, non poteva ragionevolmente prevedere di compiere il reato. Si tratta, fa sapere il tribunale di Strasburgo, di una violazione dell’articolo 7 della convenzione europea dei diritti dell’uomo (“Nulla poena sin lege”), quella per cui “nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che al momento in cui è stata commessa non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale”.