Ci siamo: con il via libera dell’Ue all’ingresso del Tesoro nel capitale, la trasformazione di Mps nel “Monte dei Paschi di Stato” può dirsi cosa fatta. Così come il salvataggio delle banche Venete e la svolta per Carige. Se a questo aggiungiamo anche i quattro istituti dell’Italia centrale salvati ad un passo dal default, l’operazione di messa in sicurezza del nostro sistema creditizio ha fatto sostanziali passi in avanti. Sia pure a caro prezzo: la “cura” è già costata qualcosa come 31 miliardi di euro al ministero dell’Economia. Ma la liquidazione coatta delle banche venete, da sola, sarebbe costata molto di più. E l’eventuale fallimento del Mps avrebbe moltiplicato gli effetti negativi con il rischio di innescare una crisi sistemica dagli esiti imprevedibili.
Da qui a dichiararsi contenti o addirittura soddisfatti, però, ce ne corre. E’ vero che dopo cinque premier e altrettanti ministri dell’Economia impegnati da nove anni a giurare sulla solidità del sistema bancario, si comincia a intravedere qualche piccolo spiraglio di luce. Il traguardo, però, è tutt’altro che raggiunto. E, una volta di più, l’Italia paga un prezzo altissimo per il ritardo e per il modo in cui si è mossa sul fronte del credito, evitando di intervenire quando le regole europee erano più blande ed hanno consentito a Francia, Germania, Olanda e Spagna di agire praticamente indisturbate e al riparo dai rischi di infrazione Ue. E, soprattutto, senza incorrere nella tagliola del Bail-in, il nuovo sistema che scarica sugli obbligazionisti e i correntisti più ricchi gli eventuali costi del default. Ancora oggi, due terzi dei bond bancari in mano alle famiglie europee sono in Italia. Un tema da non sottovalutare.
Non basta. La vicenda italiana mette in risalto altre due criticità, questa volta tutte europee. In primo luogo, la mancanza di strumenti adeguati a gestire le crisi di liquidità e le emergenze degli istituti. Secondo, l’assenza di una governance efficace che eviti conflitti e sovrapposizioni fra le istituzioni che vigilano sulle banche. Se a tutto questo, poi, aggiungiamo il ritardo con il quale si continua a marciare sulla strada dell’Unione Bancaria Europea e nella creazione di un sistema di garanzie per correntisti e obbligazionisti privati, il quadro resta a dir poco problematico.
E’ vero che proprio ieri, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha assicurato che le somme spese per i salvataggi saranno recuperate. Ma senza un intervento di sistema difficilmente si riuscirà ad evitare che, nell’immediato, i costi dei salvataggi bancari continueranno ad essere scaricati sui soliti noti, cioè sui contribuenti che pagano le tasse. Senza neanche andare troppo per il sottile nello scegliere fra le “good” e le “bad” bank.
Antonio Troise
Fonte: L’Arena