“Che fortuna sarebbe avere diversi sali italiani dop, igp, stg, tipici a brand italiano…” all’unisono dicono i grandi cuochi nazionali, anche e soprattutto quelli all’estero. “ Avremmo un plus in più, un po’ come è già per l’aceto balsamico tradizionale o il marchio per la pizza!” . E’ vero che il sale, marino o di roccia, prodotto che si estrae o si lavora partendo da una materia grezza che si può considerare “uguale” tra virgolette un po’ in tutte le zone dove si produce, dalla salina marina alla salina dell’estuario fluviale dell’oceano. E’ vero anche che la salgemma o sale minerario o sale estratto dalla roccia è molto più delicato e meno ricco del sale di mare in iodio, cesio, sodio e magnesio ..ma è più fine, più delicato che necessita di più lavorazioni di pulizia e di lavaggio…ma è anche la spezia di estrazione che – insieme al pepe ed altre erbe – ha consentito di trovare il modo di far durare e conservare alimenti fondamentali per l’alimentazione umana, soprattutto nella dieta mediterranea, alimenti anche salutistici e benefici per l’organismo umano come per esempio la seccatura del merluzzo per dare stoccafisso e baccalà, la saracca di san Colombano, la carne salada, la stagionatura del Culatello o del Prosciutto, della Coppa come del Salame Gentile, ma anche il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano. Per non dimenticare tutte le conserve e le confetture che grazie alla salatura possiamo gustare anni dopo: il sale deve conservare e non modificare sapori, gusti, aromi. Ecco che il sale delicato, diverso dal sale forte “iodato” ha una sua funzione. Non per niente le salgemme (ex siti marini in ere passate, oggi miniere millenarie sotto terra) di Volterra, di Petralia, di Agrigento, di Salsominore e Salsomaggiore – per citarne solo alcune – sono vicino ai distretti produttivi tradizionali dei salami toscani, dei formaggi di fossa, dei salumi emiliani come Pancetta, salame Felino e di Varzi, Coppa Piacentina, Fiocco, Culatello, Parma ecc.. Il sale ha consentito di salvare alimenti, diventando cibo duraturo che ha dato da mangiare a viandanti, pellegrini lungo le antiche strade dal nord al sud Europa, da Londra a Roma. “Il sale è legato alla nostra storia e cultura alimentare – dice Comolli – è l’emblema dell’incrocio fra dieta mediterranea e dieta continentale in cui l’Italia primeggia su tutti grazie alla grande cucina “ mista” piemontese, lombarda, emiliana, toscana, veneta.”
Ma non dimentichiamo anche la salamoia, o salatura, di tante verdure e ortaggi che non potremmo oggi gustare fuori dalla loro stagionalità: cetrioli, cipolle, pomodori, olive. “Non è piacevole gustare e assaggiare – dice Comolli – una oliva fresca e intera e sana e ancora verde-scuro della varietà taggiasca o frantoio a giugno dell’anno dopo, oltre 8 mesi dalla raccolta? “. Il sale grezzo , marino o di roccia, è uguale ovunque in Camargue come a Margherita di Savoia, ma se avesse una chiara indicazione geografica e disciplinare potrebbe essere un plus in più per la identità della cucina italiana nel mondo. E i dati economici possono essere un valido sostegno alla tesi.
In Italia si potrebbero produrre circa 4 mio/ton di sale grezzo anno, attualmente dopo un calo importante negli ultimi anni causa l’arrivo di sali esteri competitivi nel prezzo ma senza chiara origine e/o composizione si commercializzano 2,1 mio di tonnellate, di cui 0,8 mio/ton per l’industria soprattutto stradale (sale antigelo dal basso valore aggiunto, basso valore dell’area di produzione, seppur importante ma molto in balia come mercato e come volumi dal “ghiaccio” e dal freddo invernale); circa 1 mio/ton per uso prettamente industriale e di trasformazione chimica; circa 260.000 tonnellate solo per uso alimentare, farmaceutico, medicinale e cosmetico (perchè il sale marino più o meno iodato ha diverse finalità d’uso importante e utile). Un valore all’origine totale di 120-130 mio/euro/anno prodotto in 10-12 siti-imprese sul mare e da 5-6 siti di terra e un fatturato globale di 200 mio/euro senza nessun valore aggiunto, senza nessun ricavo e utile per i distretti produttivi sempre più meccanizzati, sempre con meno maestranze qualificate perché sempre più un prodotto mass-market. Solo 10-12 etichette poi sono presenti nel retail della distribuzione, cioè direttamente al consumatore finale, e portati sulle tavole….molto in forma anonima o generica. Per questo forse nascono anche certe favole sul sale rosa himalaiano o sul sale rosso americano ricco di ferro e medicamentosi. In particolare il sale marino italiano è un “plus” per il sud Italia: le saline siciliane, sarde e pugliesi da sole producono circa 750mila tonnellate e la salina di Margherita di Savoia, in Puglia, nel meraviglioso golfo di Manfredonia con 4000 ettari a parco naturale, è la salina marina più grande d’Europa. Un vanto nazionale, un vanto per il “ SaledelSud®©”, un prodotto che può essere una risorsa economica. L’Italia esporta sale in Svizzera, Francia, Germania, Cina e Giappone prevalentemente in piccole quantità e con sali da industria, mentre importa da India e Francia maggiori quantità. Una bilancia dei pagamenti ancora a favore dell’Italia, ma quasi dimezzato negli ultimi 20 anni. “ Bisogna recuperare – dice Comolli – una posizione preminente e principale, ma non sui volumi, bensì sul valore aggiunto, sulla tracciabilità, sulla creazione di brand di nicchia , guardare alla salubrità e alla co-terapia sanitaria, da promuovere e diffondere in tutte le cucine italiane nel mondo.”
Per questo che Comolli lancia l’idea dei “Sali stg o igp” italiani. Bene per l’Igp Antica Salina Nubia di Trapani, benissimo il presidio Slow Food del sale di Cervia, ma il mare mediterraneo e le miniere di sale in Italia potrebbero fornire una dozzina almeno di sali riconosciuti, disciplinati e certificati, ognuno con una sua caratteristica di colore, di contenuti minimi e massimi, di concentrazione, di purezza… una specie di analisi sensoriale del sale, dice Comolli. Non è possibile che 1 kg di sale del sud di Londra fra i più richiesti nei grandi ristoranti senza una certificazione e una tracciabilità pubblica riconosciuta costi al consumatore mediamente 26-27 euro, mentre 1 kg del sale di Cervia Igp costi circa 7 euro al chilo? Una differenza eccessiva che non ha fondamento qualitativo. Chiedo aiuto alla Coldiretti per tutelare e difendere il sale, e le maestranze, italiane, ma soprattutto che il valore aggiunto sia a favore del distretto produttivo e del brand tricolore.