Di Laura Bercioux
La bimba abbandonata a Palermo nel cassonetto e poi deceduta e la madre infanticida che, pentita, ritorna laddove l’aveva “buttata” ma ormai è troppo tardi: arrivano i soccorsi, un barbone trova la bimba pescando tra i rifuti ma è troppo tardi. La donna ha partorito in casa da sola, e da sola ha reciso il cordone ombelicare. La sua famiglia, il marito e i ter figli sono in Friuli. Lei è tornata a Palermo e nascondeva la gravidanza. Sono risaliti a lei perché i cognati hanno riconosciuto il tappeto che avvolgeva la piccola. Perché abbandonare un bimbo e “buttarlo” via come fosse carta straccia? Lo abbiamo chiesto a Rosa Rao, Presidente del Movimento per la Vita di Palermo e referente nazionale delle Culle .
“L’abbandono dei neonati non è solo frutto di solitudine o di miseria ma anche e soprattutto un fatto culturale. Nei secoli scorsi la maternità rimaneva un mistero tutto nel corpo femminile e la voce, i desideri, i pensieri dei bambini non avevano alcun riscontro all’interno della famiglia, ancor meno sul piano sociale. Era un evento biologico. Tuttavia la piètas umana smuoveva la comunità che si faceva carico dei bisogni dell’infanzia (l’invenzione delle ex Ruote degli esposti risale in Italia al 1198 presso l’Ospedale del Santo Spirito in Sassia). La sensibilità civile nei confronti del destino e dei diritti dell’infanzia è un segno di “progresso” sociale direttamente collegato al diffondersi di una cultura scientifica e di norme internazionali che risalgono alla metà del secolo scorso (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 1948; Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, 1989, ecc.). Nella storia più recente abbiamo visto sorgere un altro tipo di “monopolio” sulla vita nascente dettato dalla legge 194/78.. Piuttosto che costituire un freno, la leggesi è dimostrata un incentivo all’aborto. A ragion di logica, nessuno dovrebbe stupirsi se qualche donna, o perché non informata, o perché restia all’aborto, porti avanti la gravidanza sperando di risolvere in qualunque modo il suo “problema”. Ci sono donne che ancora partoriscono in casa e non hanno una rete parentale di supporto. Su queste donne grava il giudizio negativo della società che ormai si è abituata alla “pianificazione familiare”. Alcune di queste donne, al momento del parto, sono colte da panico e ricorrono ai mezzi possibili per disfarsi di un “frutto” del grembo che in qualche modo condizionerà la loro esistenza. Lo Stato non potrà mai intervenire in maniera capillare sulla vita “privata” di un cittadino: per questo esistono le associazioni, voce sensibile di una comunità, che intervengono nelle situazioni di reale necessità quotidiana. Il servizio Culla costituisce un’alternativa al parto in anonimato come protezione assoluta della privacy di una donna”.
Lei ha portato avanti la battaglia per mantenere in vita questo centro)
“Noi del Movimento per la Vita abbiamo portato avanti il progetto delle Culle con grande difficoltà e resistenza da parte delle Istituzioni che ancora oggi pensano di aver risolto il problema delle gravidanze indesiderate indicando la legge 194 come alternativa anche all’abbandono. Per poterle offrire come servizio all’intera comunità, l’ideatore del primo Cassonetto (Culla) nel 1992, Giuseppe Garrone, dovette aspettare la Sentenza del Tribunale di Casale Monferrato del 3 maggio 1995 e l’archiviazione (procedimento penale n. 169/95) dell’esposto presentato da un parlamentare nazionale. La motivazione di tale archiviazione chiariva che l’uso della Culla/Cassonetto per la Vita rappresenta l“extrema ratio in condizioni di assoluta ignoranza e disperazione al fine di evitare la commissione di gravi reati di cui talora tratta la cronaca quotidiana”. Anche il MpV di Palermo ha dovuto affrontare grandi difficoltà superate solo grazie alla sensibilità di alcuni autorevoli rappresentanti delle Istituzioni. Il plauso popolare riscontrato negli anni passati durante le manifestazioni del Movimento per la Vita, finalizzate alla conoscenza e alla promozione delle Culle nel territorio nazionale, sono una testimonianza evidente della contrapposizione fra il sentire popolare e l’indifferenza istituzionale verso i bisogni primari degli ultimi.
Cosa fa una culla per la vita?
“La Culla per la Vita è l’emblema di una comunità accogliente che allarga le braccia verso una nuova vita rifiutata proprio da chi l’ha concepita e nutrita nel suo ventre per 9 mesi. Quale colpa ha il bambino? Non ha chiesto lui di essere concepito! In che cosa consiste la differenza sostanziale fra un concepito e un essere umano già nato? Ad un mese dal suo concepimento le nuove tecnologie ci permettono di cogliere il battito del suo cuore e a 10 settimane sono già presenti le impronte digitali che lo accompagneranno per tutta la vita quale segno indelebile della sua unicità. I Centri di aiuto alla vita, braccio operativo del Movimento, non impongono, non giudicano, non contestano le decisioni delle donne che a loro si rivolgono: offrono una spalla per consolare, per incoraggiare, per sostenere il periodo di difficoltà che potrebbe far desistere una donna di fronte ad una gravidanza non voluta, non cercata, non desiderata, che, però, cambierà comunque il suo destino. Attraverso lei, che sempre liberamente sceglie, viene salvata anche e soprattutto la vita di un essere umano innocente ancora senza volto e senza nome, emblema di ogni povertà umana. La rete di solidarietà estesa a livello nazionale tramite il n. verde SOS Vita, 8008.13000, ci permette di raggiungere ogni donna che chiede aiuto. Gli aborti legali in Italia hanno raggiunto quota 6 milioni, ma almeno 55mila sono i bambini aiutati a nascere dalla rete del volontariato pro life. Sono bambini il cui destino sembrava già segnato o dall’aborto o da “scarto”, buttato nei cassonetti dell’immondizia. Non si può definire “civile” una società che destina alla morte i bambini! Nel territorio palermitano non ci è stato consentito di appendere nei consultori le locandine della Culla di via Noce che diffondono, oltre alla possibilità del parto in anonimato, anche il nostro n. verde. Perché?