Di Claudio D’Aquino
Quella di Adriano Giannola è tecnicamente, a tutti gli effetti, una “vox clamantis in deserto”. L’urlo di dolore del presidente della Svimez – la voce più autorevole in Italia in materia di meridionalismo e sviluppo del Sud – si rinnova da alcuni mesi. I fondi europei per il Mezzogiorno? Sono un inganno, un imbroglio, una patacca. Lui, economista formato alla scuola di Augusto Graziani, con un linguaggio diplomatico indora una pillola che è difficile da mandar giù: sono un tentativo di ghettizzare il Sud. E producono anche un effetto boomerang. Perché il governo nasconde la mancanza di strategia per il Mezzogiorno dietro al dito puntato contro al Sud che non sa spendere.
Voce inascoltata, ma per fortuna sempre meno. La visita lampo a Napoli e in altri posti del Meridione di Matteo Renzi è stata indicativa. Non perché è stato accolto da prevedibili contestazioni. Ma perché il suo passaggio è apparso come il tentativo di risolvere una questione cruciale per l’economia italiana (che dipende strettamente dal rilancio di un terzo del Paese) con una distribuzione alla rinfusa di pannicalli caldi: noccioline lanciate al gabbiolo delle papere, scosso dal solito, patetico, questuante schiamazzo.
Invece di un programma di politica economica seria e consapevole, fatta di investimenti volti a riposizionare l’Italia – facendo perno sul Sud – in una prospettiva di aggancio dei mercati in crescita del Mediterraneo, nel suo blitz di agosto Renzi ha portato un gruzzolo a Città della scienza, uno alla Salerno-Reggio, un po’ a Gioia Tauro. Il presidente del Consiglio – che promette di tornare ogni tre mesi nel Sud, non si sa bene a fare cosa – non si discosta molto dai suoi predecessori nemmeno nella topica “il Sud impari a spendere”. Ghetto era ai tempi di Tremonti e tale resta oggi. I fondi Ue sono un inganno, un imbroglio, una patacca. Che seguita a essere tenuta nel conto di centro gravitazionale delle politice per il Mezzogiorno.
Come stanno invece le cose?
Anzitutto i fondi Ue sono formati da risorse che l’Italia mette nelle mani dell’Europa e che l’Europa assegna alle Regioni. Queste devono utilizzarle per la convergenza, cioè per portarsi a uno sviluppo pari alla media europea. Non sono oggetto di un esperimento, perché la storia va avanti dal 1998. Un’agenda dopo l’altra, la divergenza nel Sud è aumentata. Colpa delle Regioni meridionali. Certo, coi fondi europei in passato saranno state anche finanziate la sagra della porchetta a Roccapipirozzi o il Museo dell’emigrante. Ma il punto, come è evidente, è un altro. Le Regioni non spendono perché le regole per farlo sembrano concepite per rendere difficile farlo, a causa di una progettazione burocratica e barocca, nelle cui secche arenano non solo le Regioni del Sud, ma gli stessi Ministeri. Sono infatti ben diciannove i programmi attualmente in ritardo rispetto ai target nazionali, come rileva una fotografia del Sole 24 ore di fine giugno che riprende dati di Opencoesione del maggio scorso. Un dato che Giorgio Santilli, sul giornale di Confindustria commenta così: “Perché Renzi non chiama subito i ministri interessati e gli dà una bella tirata d’orecchie?”. E aggiunge che Bruxelles bacchetta l’Italia per lo stesso motivo che spinge Giannola ad essere critico col governo: al nostro Paese “manca una strategia” in settori chiave come la ricerca e le infrastrutture. Santilli ci va dentro e pone due questioni cruciali. La prima: risposte chiare (dal governo) sui cofinanziamenti nazionali, ossia ai “tagli al cofinanziamento dal 50 al 26% che in governo si accinge a fare per Campania, Calabria e Sicilia. La seconda: quale sarà la programmazione del Fondo sviluppo coesione, quanta cassa avrà, su quali interventi andrà”.
Il pragmatismo di Renzi, su tutta quanta la materia, si è tramutato in assordante silenzio.
Non basta. “Sui cofinanziamenti e Fse – conclude Santilli – era prevista già a marzo una programmazione ad opera del Cipe. Il governo doveva studiare e, guarda un po’, “mettere a punto una strategia”.
E invece? Non ha fatto i compiti e ha perso tempo. Non più e non meno di una qualunque delle Regioni del Sud che – ormai è risaputo – sono da stigmatizzare… Perché non sanno spendere i fondi europei.