Matteo Renzi

È chiaro che oggi si voterà sulla riforma della Costituzione, come è giusto, ma anche sull’operato del governo di Matteo Renzi. Il premier ha impresso questa direzione alla campagna referendaria, e gli avversari l’hanno fatta propria convinti di esserne avvantaggiati. Non è una prospettiva incoraggiante. Utilizzare la Carta fondamentale per legittimare pienamente un esecutivo non eletto, o per abbatterlo, dimostra una sensibilità istituzionale dai contorni controversi. Comunque, se prevale il Sì la Costituzione subirà un mutamento di fondo, del quale si capiranno solo alla distanza le implicazioni. Altrimenti rimarrà com’è. Ma ormai conta il «dopo»: uno scenario che, almeno di qui a fine anno, non prevede le dimissioni di Matteo Renzi. Anche perché per mesi la politica italiana è finita in apnea: per quasi un anno, da quando il 29 dicembre 2015 Matteo Renzi annunciò che in caso di sconfitta sulla riforma della Costituzione si sarebbe dimesso da Palazzo Chigi e avrebbe lasciato la politica. E seguita la lunga campagna referendaria, con il premier e i suoi avversari impegnati su ogni fronte, come se si votasse per le elezioni politiche. Con la differenza che quando c’è la campagna elettorale classica è previsto un congelamento dell’attività istituzionale: Camere sciolte, governo in ordinaria amministrazione. Mentre in questo caso l’interruzione della politica è l’effetto dell’atmosfera da D-day attorno al referendum. Istituzioni, partiti, sindacati, associazioni di imprenditori, banche, cancellerie internazionali: tutti rimasti con il fiato sospeso in attesa del Dies Irae renziano, di sciogliere il Grande Enigma. Ora è arrivato il momento di tornare a respirare. Forse. ll primo capitolo è l’economia reale, come si dice per distinguerla da quella finanziaria (o da quella virtuale delle polemiche nei talk televisivi). Che sarà decisiva per determinare il corso del dopo-referendum. La legge di bilancio 2017 è stata votata dalla Camera prima che cominciasse il rodeo nelle urne, ma in pochi immaginano che il testo attuale sarà confermato dal Senato dopo il 4 dicembre, nonostante l’ottimismo di Renzi e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. I sostenitori della continuità di governo, i più vicini a Sergio Mattarella, quelli che escludono strappi perché passata la festa referendaria bisognerà fare i conti con la realtà, consigliano di riprendere in mano gli avvertimenti espressi in modo ufficiale dall’Ufficio parlamentare di bilancio che valuta il rispetto delle regole nazionali e europee.