“Tutto potevamo immaginare, qui al Sud, salvo che il Mezzogiorno diventasse colpevole (anche) di assumere posizioni anti-industrialiste. Un ragionamento che non sta in piedi. Sia detto con il massimo rispetto di chi lo sostiene, ultimo Angelo Panebianco su Sette del Corsera”. Per Alesssandro Mastrocinque, presidente campano della Confederazione ltaliana Agricoltori, le ragioni vere del quesito del 17 aprile sono state seppellite da una tempesta mediale, con la più classica delle manovre diversive. Il sudonline.it lo ha intervistato.
A che cosa si riferisce?
II ragionamento, portato avanti un po’ alla carlona, è il seguente. Trivelle uguale progresso. Quindi chi si oppone alla prosecuzione del pompaggio e ha proposto il Referendum è un fondamentalista ambientale No Progress. E siccome le Regioni che lo hanno proposto, Puglia in testa, appartengono al Mezzogiorno…
Traiamo le conclusioni: sono colpevoli. Giusto?
E già. Non solo di aver costretto gli italiani alle urne, con una spesa di 300 milioni. Non tanto perché provano (in combutta con la minoranza PD) a “disturbare il manovratore”, il presidente del Consiglio. Ma sono irresponsabili, perché hanno aizzato le belluine istanze ideologiche di una riserva indiana (leggi: il Sud), oggi disposto a tutto per opporsi a tutto. A prescindere.
Riassumiamo. Il referendum di domenica prossima altro non è che uno sfizio dovuto alla mentalità No progress che si è installata nel Sud come il virus della xilella. Nel Sud la cultura Nimby (mai nel mio giardinetto) la fa da padrona. E via dicendo…
Non è stato evocato ancora il brigantaggio e il sanfedismo, ma poco ci manca. Ma in verità l’equazione secondo la quale il Nord è per definizione alacremente produttivista e il Sud, al contrario, vocato alla decrescita indolente (fannullona) non sta in piedi. E non solo perché la contestazione dell’alta velocità è tampoco radicata nelle langhe subalpine del Piemonte. Ma perché l’immagine di un Sud che soggiace “agli interessi delle comunità” e ruba spazio alle libertà (Banfield colpisce ancora), non coglie nemmeno di striscio il Mezzogiorno vero.
Invece il Sud di oggi come si presenta a suo avviso?
Credo sia da respingere il riduttivismo secondo cui nel Mezzogiorno si stia condensando da qualche tempo una neo-ruralità scriteriata è da respingere. Se proprio vogliamo parlare di neo-ruralità, infatti, dobbiamo sapere che questo fenomeno è molto moderno. Esso reca un contrassegno totalmente diverso dalla visione nostalgica di un’Arcadia perduta. L’agricoltura è il mondo in cui più incisivo è il segno ultramoderno dell’innovazione di processo e di prodotto, come dimostra in particolare l’agricoltura biologica, settore che vive di una crescita legata a doppio filo con la ricerca e l’innovazione.
L’Italia eccelle nel mondo per export di prodotti bio e non c’è regione del Mezzogiorno che non registri, di anno in anno, variazioni significative sia per numero di operatori che per superficie coltivata. Non è così?
Certo. E allora chiediamo che cosa c’è dietro un simile fenomeno. Ben altre sono le leve che lo fanno emergere. Siamo di fronte a un comparto che non ha nel mirino soltanto la produttività intensiva, ma la tutela ambientale e la salute dei consumatori, in connessione strettissima con i nuovi bisogni delle società. Le aziende bio si distinguono perché hanno introdotto nella propria vision un principio cardinale che contrasta con l’idea tradizionale del business e con il codice dell’efficienza tipica dell’età industriale: ottenere il massimo profitto profondendo il minimo sforzo.
Altro che arretratezza di un meridionalismo in versione anti-industriale, quindi…
Non c’è niente di bucolico in questo assunto. I tempi del piccolo è bello nel mondo rurale sono finiti da un pezzo. Ora si punta a lanciare start up di settore, sfruttare l’e-commerce, agganciare il turismo e la green economy. Ci si avvede che l’agricoltura del futuro può contribuire ad abbattere la disoccupazione, specialmente giovanile, come i dati ampiamente dimostrano.
Anche al Sud?
Si, anche al Sud. Dove il settore che spinge la ripresa è quello agroalimentare, trascinando l’industria di trasformazione ad esso legata, come ha ribadito un recentissimo studio del Banco di Napoli-Srm.
Tuttavia l’estremismo ambientalista è una realtà, non si può negare…
Sì, se proprio lo si vuole definire così… Ma non è un fenomeno che ha un radicamento esclusivo nel Mezzogiorno. Anzi. Ma la questione vera è un’altra. Non vorremmo che la green economy sia giudicata una cosa buona e giusta se ne parlano Obama e Papa Francesco, pessima se è una prospettiva di scenario abbracciata, nelle forme più varie, dalle comunità del Mezzogiorno.