Scende ancora il numero di famiglie che potranno chiedere il reddito di cittadinanza. La relazione tecnica al decretone – scrive Repubblica in edicola oggi – ne individua un milione e 248 mila, incluse 154 mila di soli stranieri. Rispetto al milione e 778 mila che vivono in povertà assoluta – non in grado cioè di provvedere ai bisogni elementari – e certificate da Istat, significa il 30% in meno. E vuol dire anche che la cifra di 5 milioni di poveri – evocata a più riprese dal ministro e vicepremier pentastellato Luigi Di Maio come destinataria del sussidio – semplicemente non esiste più. Ridotta dalle nuove stime a 3 milioni e mezzo.
Numeri ridimensionati che però riportano l’assegno medio a 500 euro al mese nel 2019, comprensivo del sostegno alle spese per l’abitazione (affitto o mutuo). Una cifra media – il reddito oscilla da un minimo di 40 ad un massimo di 1.638 euro al mese per le famiglie numerose – che si conferma più o meno anche negli anni successivi, soprattutto facile da comunicare. Ridotta anche la dote per la riforma dei centri per l’impiego, dai 2 miliardi previsti in legge di bilancio agli 1,7 miliardi effettivi tra 2019 e 2020. Una parte dei soldi servirà per assumere 10 mila operatori: 6 mila navigator precari con contratto di collaborazione biennale in capo ad Anpal Servizi Spa (mezzo miliardo) e 4 mila addetti stabili a carico delle regioni (ma non esiste ancora la ripartizione delle risorse, 120 milioni nel 2019 e 160 milioni dal 2020).
I precari di Anpal Servizi – il 60% dei dipendenti totali, 654 su 1.103 – si preparano però a una mobilitazione permanente, dal 13 febbraio. Per la loro stabilizzazione il decreto prevede solo 1 milione all’anno, sufficienti a trasformare in tempo indeterminato appena 20 contratti. Al netto di navigator e personale, il “rafforzamento” dei 550 centri per l’impiego può contare invece su 900 milioni nel biennio. Significa 1,6 milioni a testa, cifra non piccola e il cui utilizzo è sin qui oscuro.