Il Mezzogiorno è uscito dalla lunga recessione e nel 2016 ha consolidato la ripresa, registrando
una performance per il secondo anno superiore, se pur di poco, rispetto al resto del Paese.
L’industria manifatturiera meridionale è cresciuta al Sud nel biennio di oltre il 7%, più del
doppio del resto del Paese (3%); influiscono positivamente le politiche di sviluppo territoriale
mentre restano le difficoltà delle imprese del Sud ad accedere agli strumenti di politica
industriale nazionale. La stretta integrazione e interdipendenza tra Sud e Nord rafforza la
necessità di politiche meridionaliste per far crescere l’intero Paese. Ottima la performance
soprattutto al Sud delle esportazioni nel biennio 2015-2016
Le previsioni per il 2017 e il 2018 confermano che il Mezzogiorno è in grado di agganciare la
ripresa, facendo segnare tassi di crescita di poco inferiori a quelli del Centro-Nord.
Tuttavia la ripresa congiunturale è insufficiente ad affrontare le emergenze sociali. Il tasso di
occupazione nel Mezzogiorno è ancora il più basso d’Europa (35% inferiore alla media UE),
nonostante nei primi 8 mesi del 2017 siano stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro
nell’ambito della misura “Occupazione Sud”. La povertà e le politiche di austerità deprimono i
consumi. Il Sud è un’area non più giovane né tantomeno il serbatoio di nascite del Paese. Il
Governo nell’ultimo anno ha riavviato le politiche per il Sud; fondamentali due interventi: le
ZES e la “clausola del 34%” sugli investimenti ordinari.
Le previsioni per il 2017 e il 2018 – Secondo stime SVIMEZ aggiornate a ottobre, nel 2017 il PIL
italiano cresce dell’1,5%, risultato del +1,6% del Centro-Nord e del +1,3% del Sud. Nel 2018 il
saggio di crescita del PIL nazionale si attesta al1’,4% con una variazione territoriale dell’1,4%
nel Centro-Nord e dell’1,2% al Sud. A trascinare l’evoluzione positiva del PIL nel 2017 e nel
2018 l’andamento della domanda interna, che al Sud registra, rispettivamente, +1,5% e +1,4%
(nel Centro-Nord, invece, aumenta quest’anno del +1,6% e il prossimo del +1,3%). Nel 2018 la
SVIMEZ prevede un significativo aumento sia delle esportazioni che degli investimenti totali,
che cresceranno più nel Mezzogiorno che al Centro-Nord: le esportazioni del +5,4% rispetto a
+4,3%, gli investimenti del 3,1% rispetto a +2,7%. Aumento apprezzabile dell’occupazione:
+0,7% al Sud sia nel 2017 che nel 2018, e +0,8% in entrambi gli anni al Centro Nord.
Secondo la SVIMEZ, queste previsioni inglobano anche gli effetti della legge di Bilancio 2018, e
scontano la mancata attivazione della clausola di salvaguardia relativa all’aumento delle
aliquote IVA nel 2018 per circa 15 miliardi. La SVIMEZ ha realizzato una simulazione per
valutare quali sarebbero stati gli effetti della manovra sull’IVA nelle due macro aree del Paese,
se fosse stata realizzata: in quel caso l’economia meridionale avrebbe subito il maggior
impatto, in quanto, nel biennio 2018/2019, il PIL del Sud avrebbe perso quasi mezzo punto
percentuale di crescita, -0,47%, mentre quello del Centro-Nord avrebbe avuto un calo dello
-0,28%.
I principali dati economici del 2016 – Nel 2016 il PIL è cresciuto nel Mezzogiorno dell’1%, più
che nel Centro-Nord dove è stato pari a +0,8%. Nello specifico delle singole Regioni
meridionali, il PIL 2016 più performante è quello della Campania +2,4%, seguita da Basilicata
+2,1%, Molise +1,6%, Calabria +0,9%, Puglia +0,7%, Sardegna +0,6%, Sicilia +0,3%, Abruzzo
-0,2%. Nel 2016 il prodotto per abitante è stato nel Mezzogiorno pari a 56,1% di quello del
Centro Nord (66% di quello nazionale). Il PIL per abitante della regione più ricca d’Italia, il
Trentino Alto Adige, con i suoi 38.745 euro pro capite, è più che doppio di quello della regione
più povera, la Calabria, che è pari a 16.848 euro ad abitante. I consumi delle famiglie
meridionali sono aumentati nel 2016 dell’1,2%, contro l’1,3% del Centro Nord: in particolare,
la spesa alimentare e quella per abitazioni cresce al Sud meno che nel resto del Paese. Nel
2016 gli investimenti sono cresciuti nel Mezzogiorno del 2,9%, un incremento sostanzialmente
in linea con quello del Centro Nord (+3%. Nel 2016 in agricoltura il valore aggiunto, dopo il
boom del 2015, è tornato a diminuire, -8,8% rispetto al 2015, che si traduce in -9,5% nel
Mezzogiorno e -1,9% nel Centro Nord. Nell’industria il prodotto è cresciuto al Sud (+3%) più
che al Centro Nord (+1%). Positivo nel Mezzogiorno anche il valore aggiunto delle costruzioni
(+0,5%), rispetto al centro Nord (-0,3%). Infine, nel terziario il valore aggiunto del Mezzogiorno
con +0,8% ha superano quello del Centro Nord (+0,5%).
Secondo la SVIMEZ, l’aumento del PIL meridionale mostra primi segni di solidità: il recupero
del settore manifatturiero, cresciuto del +2,2%, la ripresa dell’edilizia (+0,5%9, il positivo
andamento dei servizi (+0,8%), soprattutto nel turismo, legata alle crisi geopolitiche dell’area
del Mediterraneo che hanno dirottato parte dei flussi verso il Mezzogiorno
Interdipendenza tra Sud e Nord – La domanda interna del Sud, data dalla somma di consumi
e investimenti, attiva circa il 14% del PIL del Centro-Nord (nel 2015, un ammontare di circa
177 miliardi di euro). I recenti referendum in Lombardia e Veneto hanno riaperto la
discussione sul tema del residuo fiscale. I flussi redistributivi verso le regioni meridionali sono
in calo di più del 10%, da oltre 55,5 a circa 50 miliardi. Peraltro le risorse che, sotto diverse
forme, affluiscono al Sud, non restano circoscritte al solo Mezzogiorno, ma hanno effetti
economici che si propagano all’Italia intera.
Secondo la SVIMEZ, che ha fatto una valutazione quantitativa di tali effetti, su 50 miliardi di
residui fiscali di cui beneficia il Mezzogiorno, 20 ritornano direttamente al Centro-Nord, altri
contribuiscono a rafforzare un mercato che resta, per l’economia dell’intero Paese, ancora
rilevante.
Rilancio degli investimenti pubblici. Nel 2016 hanno toccato il punto più basso della serie
storica (la spesa in conto capitale è stata il 2,2% del PIL, nel Mezzogiorno appena lo 0,8%),
dopo il modesto incremento del 2015. L’andamento della spesa in conto capitale in questi
anni mette il Mezzogiorno su un livello molto più basso rispetto ai livelli pre crisi. Il crollo della
spesa per infrastrutture nell’ultimo cinquantennio è stato del -2% medio annuo a livello
nazionale, sintesi di un -0,8% nel Centro-Nord e -4,8% nel Sud. In termini pro capite, gli
investimenti in opere pubbliche nel 1970 erano pari a livello nazionale a 529,6 euro, con il
Centro-Nord a 450,8 e il Mezzogiorno a 673,2 euro. Nel 2016 si è passati a 231 euro a livello
nazionale, con il Centro-Nord a 296 e il Mezzogiorno a meno di 107 euro pro capite.
Secondo la SVIMEZ, l’attivazione della clausola del 34% potrebbe invertire il trend, ma
dovrebbe riguardare non solo le Amministrazioni Centrali ma anche il Settore pubblico
allargato. La SVIMEZ chiede inoltre di rafforzare l’efficacia di tale norma prevedendo un
monitoraggio al Parlamento e l’istituzione di un Fondo di perequazione delle risorse ordinarie
in conto capitale, in cui riversare le eventuali risorse non spese nel Mezzogiorno, per poi
finanziare i programmi maggiormente in grado di raggiungere l’obiettivo del riequilibrio
territoriale.
Pubblica amministrazione al Sud: -21.500 dipendenti – La qualità dei servizi pubblici nel
Mezzogiorno presenta un quadro di luci e ombre. Il Sud è un’area penalizzata nel godimento di
alcuni diritti di cittadinanza e nell’offerta dei servizi pubblici. Tra gli aspetti postivi, un deciso
calo dei procedimenti di giustizia civile pendenti, più accentuato al Sud, e un forte recupero
nella diffusione dell’ICT nella P.A.
Secondo la SVIMEZ, c’è un forte ridimensionamento della P.A. nel Mezzogiorno, in termini di
risorse umane e finanziarie, tra il 2011 e il 2015: -21.500 dipendenti pubblici (nel Centro-Nord
sono calati di -17.954 unità) e una spesa pro capite corrente consolidata della P.A. (fonte CPT)
pari al 71,2% di quella del Centro-Nord. Un divario in valore assoluto di circa 3.700 euro a
persona. La sfida di una maggiore efficienza della macchina pubblica al Sud passa per una sua
profonda riforma ma anche per un suo rafforzamento attraverso l’inserimento di personale più
giovane a più alta qualificazione. Ciò a dispetto dei luoghi comuni che descriverebbero un Sud
inondato di risorse e dipendenti pubblici.
La Qualità del Lavoro al Sud: crescono gli occupati al Sud ma a basso reddito – Nelle regioni
meridionali nel 2016 gli occupati sono aumentati dell’1,7%, pari a 101 mila unità, ma mentre
le regioni centro settentrionali hanno recuperato integralmente la perdita di posti di lavoro
avvenuta durante la crisi (+48 mila nel 2016 rispetto al 2008), in quelle meridionali la perdita
di occupazione rispetto all’inizio della recessione è ancora pari a 381 mila unità. Nel 2016
l’occupazione giovanile meridionale è aumentata marginalmente, di sole 18 mila unità
(+1,3%), la crescita maggiore continua a riguardare gli ultra cinquantenni, con oltre 109 mila
unità, pari a +5,6%. Sulla crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno incide l’ulteriore aumento
del part time involontario (+1,9%), di poco inferiore all’80% del lavoro a tempo parziale.
L’unica regione del Sud dove gli occupati calano è la Sardegna e, in misura più contenuta, la
Sicilia. I livelli restano comunque generalmente distanti da prima della crisi: -10,5% di occupati
in Calabria, – 8,6% in Sicilia, -6,6% in Sardegna e Puglia, -6,3% in Molise, -5% in Abruzzo. Solo in
Campania (-2,1%) e Basilicata (-0,8%) siamo su valori vicini a quelli del 2008. L’aumento dei
posti di lavoro al Sud riguarda in particolare l’agricoltura (+5,5%), l’industria (+2,4%) e il
terziario (+1,8%). Nei primi 8 mesi del 2017 sono stati incentivati oltre 90 mila rapporti di
lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”, grazie alla proroga delle misure per la
decontribuzione dei nuovi assunti nel Mezzogiorno decise dal Governo.
Secondo la SVIMEZ, la crescita dei posti di lavoro nell’ultimo biennio riguarda innanzitutto gli
occupati anziani, nella media del 2016 si registrano ancora oltre 1 milione e 900 mila giovani
occupati in meno rispetto al 2008. E poi il lavoro a tempo parziale, che però non deriva dalla
libera scelta individuale ma è involontario. Si sta consolidando un drammatico dualismo
generazionale, al quale si affianca un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione,
conseguenza dell’occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, che deprime i
redditi complessivi.
Il depauperamento del capitale umano meridionale
Alla fine del 2016 il Mezzogiorno ha perso altri 62 mila abitanti. Il saldo migratorio totale del
Sud continua a essere negativo e sfiora le 28 mila unità, mentre nel Centro Nord è in aumento
di 93.500. In particolare nel 2016 la Sicilia perde 9.300 residenti, la Campania 9.100, la Puglia
6.900. Il pendolarismo nel Mezzogiorno nel 2016 ha interessato circa 208 mila persone, di cui
54 mila si sono spostate all’interno del Sud, mentre ben 154 mila sono andate al Centro-Nord o
all’estero. Questo aumento di pendolari spiega circa un quarto dell’aumento dell’occupazione
complessiva del Mezzogiorno di circa 101 mila unità nel 2016.
Secondo la SVIMEZ, che ha elaborato una stima inedita del depauperamento di capitale
umano meridionale, considerando il saldo migratorio dell’ultimo quindicennio, una perdita di
circa 200 mila laureati meridionali, e moltiplicata questa cifra per il costo medio che serve a
sostenere un percorso di istruzione elevata, la perdita netta in termini finanziari del Sud
ammonterebbe a circa 30 miliardi, trasferiti alle regioni del Centro Nord e in piccola parte
all’estero. Quasi 2 punti di PIL Nazionale. E si tratta di una cifra al ribasso, che non considera
altri effetti economici negativi indotti.
La ripresa non migliora il contesto sociale – Nel 2016 10 meridionali su 100 risultano in
condizioni di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro Nord. L’incidenza della povertà
assoluta nel 2016 nel Mezzogiorno aumenta nelle periferie delle aree metropolitane e nei
comuni più grandi. Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese,
nelle due regioni più grandi, Sicilia e Campania, sfiora il 40%. L’emigrazione sembra essere
l’unico canale di miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie meridionali.
Secondo la SVIMEZ, l’introduzione del reddito di inclusione avvia un processo per dotare
anche l’Italia di una forma universalistica di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Ma
per ora l’impegno finanziario è assolutamente insufficiente: del REI beneficerà soltanto il 38%
circa degli individui in povertà assoluta per importi che sono generalmente compresi fra il 30
e il 40% della soglia di povertà assoluta per molte tipologie familiari. Vanno fatte scelte
redistributive che, senza gravare sul bilancio pubblico, consentano di allargare la platea dei
fruitori. Si tratta di una misura che avrebbe un impatto sui consumi senza dubbio notevole.
Credito, il surplus dei depositi al Sud finanzia l’economia del Centro-Nord – Il rapporto tra
impieghi – incluse le sofferenze – e i depositi è strutturalmente più elevato nel Centro-Nord
rispetto al Mezzogiorno: nel 2016 esso è pari a 1,14 al Sud contro 1,74 nel resto del Paese.
Questo divario evidenzia il trasferimento della raccolta dalle regioni meridionali a quelle
centro-settentrionali. Nel 2016 nel Mezzogiorno, a fronte di depositi raccolti dalle banche
operanti nell’area per 283 miliardi, ci sono solo 278 miliardi di impieghi. Livelli di impieghi
inferiori ai depositi si riscontrano in tutte le regioni del Mezzogiorno, ad eccezione delle Isole. Il
rapporto tra impieghi e depositi risulta particolarmente basso in Molise, Basilicata e Calabria.
Al contrario, nelle regioni centro-settentrionali, si osserva un fenomeno opposto: a fronte di
959 miliardi di depositi raccolti, ci sono 1.610 miliardi di impieghi