Se il Sud cresce nel 2015 più del Nord, e cioè dell’1%, recuperando parzialmente la caduta dell’anno precedente (-1,2%), lo si deve a due leve essenziali: un aumento dei consumi delle famiglie meridionali (+0,3%) e la riprese degli investimenti, cresciuti dello 0,8% dopo sette anni di variazioni negative. Il rischio impoverimento del Mezzogiorno deriva dal processo di migrazioni qualificata che non accenna ad arrestarsi (nel 2015 oltre sessantamila giovani hanno lasciato la loro terra) e da un saldo dal crollo delle nascite: nel 2015 il numero dei nati al Sud ha raggiunto il livello più basso dall’Unità d’Italia; 170 mila. E non basta. Nello scorso anno dieci meridionali su cento risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di sei nel Centro Nord. Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese. Nelle regioni più grandi, Campania e Sicilia, sfiora il 40%.
E’ questa in estrema sintesi la “lezione dei dati” presenti nel Rapporto Svimez presentato oggi, giovedì 10 novembre, al Tempio di Adriano in Roma. L’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno presieduta dall’economista Adriano Giannola prova a disegnare anche lo scenario del 2016-17.
CHE COSA APPARIRA’?
Secondo stime Svimez aggiornate a novembre, nel 2016 il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,8%, quale risultato del +0,9% del Centro Nord e del +0,5% del Sud. Una variazione ancor più positiva di prodotto del Sud rispetto alle previsioni di luglio 2016. Anche nel biennio preso in esame (2016-17) farà da traino l’andamento dei consumi, stimato del +0,6% al Centro Nord e del +0,4% nel Mezzogiorno. Divergente nel 2016 la dinamica degli investimenti fissi lordi: +2% al Centro Nord, +0,6% al Sud. L’occupazione, dopola drastica riduzione dal 1005 al 405 deglisgravi contributivi, ristagna: +0,3% al Centro Nord, +0,25 al Sud.
Una crescita che si rafforza nel 2017. L’anno venturo il Pil italiano dovrebbe aumentare del +1%, sintesi di un +1,1% del Centro Nord e del +0,9% al Sud.
PIL E MEZZOGIORNO 2015
Nel 2015 il PIL pro capite del Mezzogiorno torna ai livelli di metà anni Duemila: 17.887 euro rispetto ai 17.884 del 2006, pari al 56,5% del resto del Paese.
La regione del Sud con il reddito pro capite più alto è nel 2015 ancora l’Abruzzo (89,3% del reddito pro capite nazionale). Quella con la performance peggiore è la Calabria, con un reddito pro capite pari al 61,8% di quello medio del Paese; anche la Puglia, la Campania e la Sicilia non raggiungono il 70% del PIL.
Un aumento rilevante è registrato in Basilicata (+5,5%), ma anche nel Molise, sebbene con un ritmo più moderato (+2,9%).
L’Abruzzo cresce del 2,5% grazie all’industria, invertendo cosi la flessione del 2014 (–2,0%). La Sicilia e la Calabria, a causa dei risultati eccezionali ottenuti dal settore agricolo, crescono rispettivamente dell’1,5% e dell’1,1%.
Molto più contenuta (solo lo 0,2%) è l’incremento registrato in Campania, Puglia e Sardegna, debolezza parzialmente attribuibile alla persistenza di alcune crisi industriali.
Nel Mezzogiorno, la crisi ha colpito le regioni meridionali,
con un’intensità assai differenziata ma che nella media è quasi doppia di quella del resto del Paese (–13,2% contro il –7,8%).
ANDAMENTO DEI SETTORI
L’agricoltura cresce anche in termini di occupazione: nel 2015 sono 19,6 mila unità in più gli occupati in questo settore, pari a 2,2%. Oltre 18 mila dei nuovi occupati si collocano al centro sud, che conferma il suo ruolo di preminenza con il 55% dei lavoratori nel settore primario.
Il tessuto industriale del Mezzogiorno resta fragile. Nel 2015, in Italia, l’indice della produzione industriale è aumentato dell’1,1% rispetto all’anno precedente, interrompendo la caduta registrata negli ultimi tre anni. Nel 2015 l’evoluzione del prodotto industriale è risultata difforme: -0,9% nel Mezzogiorno e +1,7% nel Centro-Nord. Viceversa le produzioni dell’automotive hanno fatto registrare, nel Sud, un forte balzo in avanti (+39,3%). Se si guarda al medio periodo, tra il 2009 e il 2014, il prodotto meridionale ha perso circa il 31%, quasi tre volte in più della caduta registrata nel resto del Paese (12,1%).
Nel 2015, gli investimenti fissi lordi industriali sono diminuiti, in termini reali, dell’1,6% nel Mezzogiorno e, invece, sono aumentati dell’1,7% nel Centro-Nord. Dal 2008, gli investimenti fissi lordi meridionali hanno perso oltre il 40%, quasi il doppio di quanto verificatosi nel Centro-Nord nello stesso periodo.
Per quanto riguarda la domanda estera, al netto dei prodotti petroliferi, la variazione congiunturale dell’export ha fatto segnare un incremento del 12% nel Mezzogiorno; nel Centro-Nord il medesimo dato è risultato pari al 3,7%. L’aumento delle vendite all’estero del Sud non ha riguardato tutti i settori, diversamente da quanto verificatosi nel Centro-Nord.
Ciò conferma la maggiore fragilità della posizione sull’estero del Sud, che riguarda in maniera disomogenea l’apparato produttivo.
Dal 2008 al 2015, l’industria meridionale ha perso circa 196.000 occupati, pari al 20,5% dell’intero stock di inizio periodo (l’analoga percentuale nella manifattura sale al 22,8%). È questa l’eredità più pesante della crisi avviatasi nel 2009 e che rappresenta, specie per il Sud, un elemento strutturale in grado di limitare le potenzialità di crescita di lungo periodo dell’area.
DRIVERS
Quali sono i motori che possono trascinare l’economia meridionale e, quindi, l’economia italiana?
Secondo la SVIMEZ la crisi di competitività del Mezzogiorno e dell’intero Paese va affrontata con una politica attiva di sviluppo basata su alcune direttrici di intervento prioritarie, fortemente interconnesse tra loro.
I punti di forza che compongono questa strategia sono la logistica in una prospettiva euromediterranea, le energie rinnovabili e le bio energie, la rigenerazione urbana, l’agroalimentare e l’agroindustria con tutti i settori ad essi collegati, l’industria culturale, a partire dalla scommessa di “Matera 2019”.