Arriva il primo sì alla Camera per il cosiddetto “voluntary disclosure” cioè la procedura di collaborazione volontaria del contribuente con l’Amministrazione fiscale per l’emersione e il rientro in Italia di capitali detenuti all’estero. Secondo le stime, la norma garantirebbe soldi freschi per circa 6,5 miliardi di euro per un rientro complessivo stimato in circa 30 miliardi di euro. Ma, precisano gli estensori della norma, non si tratta di un condono: l’autodenuncia, infatti, non sarà anonima e si dovranno pagare tutte le tasse evase. Tra le novità più significative introdotte in sede referente, si segnala anche l’estensione della procedura ai soggetti Ires e alle attività detenute in Italia, nonché l’introduzione del reato di autoriciclaggio. Nel corso dell’esame in Assemblea è stato chiarito che la non punibilità per autoriciclaggio è connessa alle sole attività oggetto della procedura e tale clausola è estesa alla procedura riguardante le attività in Italia. Viene inoltre consentita la rateazione in tre rate mensili di pari importo. L’approvazione definitiva anche attesa ora al Senato, potrebbe fornire una boccata di ossigeno alle casse dello Stato aiutando, dunque, anche il percorso della manovra finanziaria.
A poche settimane dal “duello”, poi ricomposto, in occasione del Patto per la salute, infatti, gli enti locali sono tornati a far sentire la loro voce nei confronti dell’esecutivo. Motivo dello scontro: i tagli previsti dalla finanziaria, quattro miliardi in meno che – sostengono i governatori – sono insostenibili. Col rischio di dover aumentare il prelievo fiscale o, in alternativa, tagliare i servizi. Alla fine, dopo un botta e risposta andato avanti a lungo ieri via twitter, arriva la proposta di un incontro dal presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, al motto di “basta tweet”. Perché, spiega, quello dei tagli è un “tema complesso ma risolvibile” in un incontro con ministero dell’Economia e Presidenza del Consiglio. E lo stesso governatore piemontese assicura “proposte concrete” in vista del faccia a faccia “che non toccano i quattro miliardi ma che li articolano in modo tale da consentire di reggerli”. Un incontro che potrebbe avvenire giovedì, stando a quanto filtra da Palazzo Chigi. Un margine di tempo abbastanza ampio per consentire a tutte le regioni di presentare le loro osservazioni e mettere a punto una strategia comune. Mentre anche dall’esecutivo potrebbe arrivare qualche spiraglio, purché a saldi invariati.
Ma il malumore resta, tutto bipartisan. L’unico a condividere l’impostazione del governo è il presidente della Basilicata Marco Pittella, convinto della necessità di farsi carico dei tagli per “dare priorità al lavoro e quindi alla riduzione della pressione fiscale”. Ma per il resto, la contrarietà è trasversale. Da sinistra, ad esempio, il presidente toscano Enrico Rossi – che con la manovra riceverebbe 300 milioni in meno – chiede maggiore equità ripensando la assoluta gratuità del sistema sanitario per i redditi più alti e un intervento sulle pensioni d’oro. Il pugliese Nichi Vendola, che definisce “rozza” la finanziaria, paventa il rischio di dover “consegnare le chiavi delle Regioni a Palazzo Chigi”. Perfino Debora Serracchiani, governatrice del Friuli e vicesegretaria Pd, pur facendo professione di ottimismo non nasconde la convinzione (e quindi la necessità) che sia trovato “un punto di equilibrio”. Duri anche i commenti dalle Regioni in mano alla Lega, che temono di essere penalizzate in misura ancora maggiore dal provvedimento. Il governatore veneto, Luca Zaia, preannuncia l’intenzione di impugnare la manovra alla Consulta, mentre quello lombardo Roberto Maroni parla di conseguenze “catastrofiche” e sottolinea il rischio di dover chiudere una decina di ospedali per mancanza di fondi. Ma la legge di stabilità incassa un sostegno importante dal Quirinale: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano saluta infatti con favore le “misure importanti per la crescita” sia dirette, col sostegno agli investimenti, che indirette con la riduzione della pressione fiscale. Un endorsement che lascia intendere come, al netto delle modifiche parlamentari e gli aggiustamenti di rotta, l’impianto della legge debba essere conservato.