di Lucio Garofalo
Chiunque pensi di discutere della questione giovanile nella società contemporanea, trattandola in un senso troppo generico o superficiale, rischierebbe di essere sterile, vacuo, inefficace, mescolando nel calderone una serie di tematiche diverse come politiche giovanili, forum dei giovani, musica e cultura giovanile, discoteche, tossicodipendenze e devianze giovanili, attività sportive, formazione culturale, alternanza scuola-lavoro, stage professionali ed altre forme subdole di sfruttamento dei giovani e via discorrendo. Alla fine è come non discuterne affatto. Non serve se non si focalizza il tema centrale, che è la precarietà, il concetto-chiave che descrive e riassume la drammatica e crudele situazione di fragilità e ricattabilità vissuta da intere generazioni di giovani. Si tratta di una condizione di servitù a vita, di vulnerabilità cronica e strutturale, di precarietà stabile o permanente (è una sorta di ossimoro), non solo dal punto di vista lavorativo, ma pure a livello socio-affettivo ed esistenziale. Il precariato diffuso è la base che rifornisce l’odierno proletariato, composto quasi esclusivamente dalle giovani generazioni, condannate a un destino di cieca disperazione collettiva, essendo private di ogni diritto e tutela, persino della speranza di riscatto e di emancipazione sociale, almeno nel contesto capitalistico in vigore. Mai come oggi è fin troppo chiaro che la cosiddetta “emergenza giovanile” non è solamente una mera questione generazionale, ma si intreccia e si identifica direttamente con la questione, più complessa e profonda, dell’alienazione economica, dello sfruttamento del pluslavoro, che si esplica tramite una serie di espedienti “tecnici” infidi, di meccanismi che tendono ad inasprire e cronicizzare la condizione della precarietà a vita, in cui oggi è ingabbiato il mondo giovanile. Un fenomeno aggravato ulteriormente dalla spaventosa crisi economica in atto, che denota caratteristiche irreversibili ed investe il capitalismo come sistema globale. A proposito del “che fare”, ecco insorgere tutte le difficoltà e le criticità di un movimento (non solo giovanile) incapace ormai di opporsi, di lottare ed articolarsi come classe sociale, come soggetto politicamente organizzato. Intervengono dinamiche ostative e disgregative come, ad esempio, atteggiamenti e tendenze di origine piccolo-borghese: opportunismo ed individualismo sfrenato, morboso e quasi patologico. Temo che illudersi di contrastare o debellare il narcisismo individualista mediante Facebook, equivalga a combattere la mafia assoldando tizi come Riina e Provenzano. Per esperienza diretta ho dedotto che Facebook (ma il discorso è valido per i social-network in generale) è uno strumento diabolico e perverso, congegnato proprio per assecondare, alimentare o istigare il narcisismo, intellettuale ed esteriore, dei singoli individui, con il rischio di esaltare all’estremo le tendenze esibizioniste. Il narcisismo individualista ha arrecato non pochi guai in passato, specie quando lo si è gonfiato oltremisura. A maggior ragione, direi, se il narcisismo si sposa al potere ed al prestigio personale. Gli esempi celebri non mancano nemmeno nella storia del movimento operaio e comunista internazionale. Ne cito uno in particolare: Stalin. La lista dei capi narcisisti e paranoici è abbastanza nutrita ed illuminante. Ne discende il corollario finale secondo cui il narcisismo andrebbe assunto in dosi “modiche”, altrimenti rischia di diventare più nocivo e letale della peste bubbonica.