Antonio Pitoni
Siamo stati al Festival dell’Oriente, tenutosi a Napoli all’interno della Mostra d’Oltremare lo scorso fine settimana, e che si terrà anche nei giorni 18,19 e domenica 20 Settembre. Dopo un primo momento di scarsa attenzione verso scenari, allestimenti e prodotti già visti, piano piano, senza accorgercene, siamo stati trasportati in un’atmosfera molto particolare e gradevole. Pur nella caoticità di un sabato pomeriggio, non ci è sfuggito il clima di serena partecipazione dei visitatori, e l’assenza di concitazione e invadenza – e intrusione, con conseguente fuga evitante – che spesso accompagnano le manifestazioni affollate (o, potremmo dire, che accompagnano l’affollamento di tutte le manifestazioni quotidiane). Evitamento e fuga sono reazioni istintive e automatiche, di fronte all’eccesso di stimoli, questo poi diventa un atteggiamento che si cristallizza, e infine ci imprigiona isolandoci. Paradossale ma è cosi: ci ritroviamo isolati e imprigionati nella folla concitata.
Quello che invece succede al Festival è la somma di colori, odori e suoni ritmici e circolari, che ad un certo punto è come se ipnotizzasse, e tutti sembrano un po’ più leggeri. Nei padiglioni della Fiera, ciò che prevale è una dimensione sensoriale, fatta di forme univoche e primarie, ciascuna che tocca una nostra corda ben distinta, stimoli che si impongono, aggirano il filtro mentale sfondano le porte della sensorialità, e ci mettono in contattato con la base di noi stessi.
Ci viene in mente un saggio di Carl Gustav Jung, del 1939, Quel che l’India può insegnarci, dove (al di là di certi passaggi lessicali che risento dell’epoca) si parla della rinuncia al mondo della sensorialità, da parte degli Occidentali, a favore dello sviluppo della razionalità. A lungo andare questo provoca una tale divaricazione tra aspetti fondamentali dell’essere umano (razionalità ed istintività), da renderlo claudicante. Oramai è chiaro a tutti lo squilibrio tra il mentale e il sensoriale. Tra ciò che pensiamo, e ciò che sentiamo-vediamo- osserviamo: il pensiero arriva sempre prima, lascia i sensi a bocca asciutta, ci scolla dalla realtà e ce ne allontana. Siamo sempre più quello che pensiamo e non quello che vediamo, e il pensiero è più manipolabile.
Al Festival è un tripudio di suoni, colori, atmosfere; angoli dove si effettuano massaggi, esercizi yoga, meditazione e respirazione; cibi e spezie che toccano papille gustative che ignoriamo di avere; danze e sensualità di diversi popoli e paesi: tutto ciò produce un leggero e diffuso stato di meditazione e trance, che apre, avvicina e unisce le persone. La diffidenza, l’ostilità e l’aggressività sono estremamente ridotte, non vi è inimicizia, e ci si aggira in una innocente giocosa fanciullesca folla. Certo, questa sensazione non capita spesso, ed una visita alla Mostra può essere un occasione di maquillage psicofisico. Buona esplorazione!!
Perfettamente d’accordo. Un caledoiscopio…emozioni, pensieri e sensazioni si con.fondono dando vita ad una esperienza molto piacevole.
L’Oriente ha molto da insegnarci,a patto di essere disposti ad ascoltare.grazie