Scritto da  Renato Petix
Quando la laurea è un finto traguardo. Storia di un trentenne dei nostri tempi

 Confessa:”sono un bamboccione”. Glielo diceva sempre, la sua nonna. E a suo avviso lo ha confermato anche Renato Brunetta. E’ nato nel decennio sbagliato: gli anni ’80. Troppo tardi per gioire con Tardelli, ma in tempo per piangere con Baggio. Ha passato la sua adolescenza tra i libri di scuola, proiettato fortissimamente verso il cammino universitario. Fin da ragazzo si pose l’obiettivo di diventare un esperto di storia dell’arte. La sua anima giovane aveva avuto facile presa il lirismo intrinseco delle Arti. Ma, diventando adulto, si radicava in lui anche una seconda e più materialistica convinzione: in un paese come l’Italia, titolare del più immane retaggio globale di beni artistici ed architettonici, non sarebbe mai mancato il lavoro. Su questi presupposti fece perno quella scelta accademica: Conservazione dei beni Culturali. Entrato nel mondo universitario, accompagnato dalla signora Letizia Moratti, e dalla sua riforma.

Vide il numero dei suoi esami raddoppiare; il tempo per sostenerli contrarsi, da quattro a tre anni. Poi gli fu detto che così, comunque, la laurea non poteva considerarsi finita, e che occorreva specializzarsi; altri due anni, altri esami ma non si scoraggiò. Testa sui libri, libretto universitario sempre a portata di mano. Andare e venire. Scrivere tesina, scrivere tesi. Proclamazione. Finalmente il dottorato in Storia dell’arte, con una formazione dedicata intensivamente ai tesori della sua regione, la Campania. Il sogno si era realizzato. Cominciò così a spedire Curricula a tutti gli enti preposti, per candidarsi a qualsiasi lavoro attinente i suoi studi. Nessuno gli rispose mai. Abbassò le pretese, e cominciò ad indirizzarsi presso aziende che richiedevano come requisito formativo la laurea. Qui qualche risposta arrivò. La sostanza era sempre la stessa, elegante e formale, ma riassumibile in questa asserzione: “Sì, ok, abbiamo capito che sei laureato. Bravo. Ma cosa sai fare?”. In quei giorni imparò a conoscere davvero le sue mani. Le aveva sempre avute sotto gli occhi e non aveva mai capito veramente quanto inermi fossero. Niente, non sapevano fare niente. Possedeva saperi talmente eterogenei e vasti da fare piangere di invidia gli Enciclopedisti francesi, ma era incapace ad operativizzarli in alcun modo. La colpa era soltanto sua: concentrato com’era a qualificarsi, aveva dimenticato di imparare un mestiere. Ancora ora non capisce come può essere stato talmente ingenuo nel non comprendere quanto importante sia possedere competenze niente affatto pertinenti al settore, per lavorare nel campo delle Arti. Mica si scoraggiò. Maniche rimboccate, attestato inchiodato alla parete della sua stanzetta, nell’appartamento dei genitori, andò sotto casa e si offrii come lavapiatti in un ristorante. Le mani avrebbero appreso, finalmente. Cominciò a lavorare praticamente da subito. Per venticinque euro al giorno, sgobbava in cucina per otto ore filate. Il proprietario spiegò che non poteva dargli di più e non poteva metterlo “a posto” perché non era qualificato. Gli rispose che era laureato, e ancora oggi capita che faccia un incubo in cui vede tutto nero, e sente soltanto la risata fragorosa del titolare. In quegli stessi giorni continuò a setacciare il web, i giornali dedicati ed i Gazzettini Ufficiali, nella speranza di trovare finalmente qualcosa di affine ai suoi studi. Poi, ormai inattesa come la neve a maggio, arrivò la notizia che gli cambiò la vita: “Con il Decreto Dirigenziale n. 185 del 28/9/12, la A.G.C.13 sezione Turismo e Beni Culturali, settore 1, bandisce un esame-concorso, per l’ottenimento della qualifica ufficiale di Guida Turistica Regionale”. Pochi giorni dopo, il primo di Ottobre del 2012, la lieta novella trova conferma nel BURC n. 63 della Regione Campania. Lo stesso organo ufficiale decreta come termine delle iscrizioni il 14 novembre 2012. Fece capriole di gioia. E dovette pensare: “Finalmente, è arrivato il mio momento!”. Preparò tutta la documentazione necessaria. Mollò il lavoro al ristorante per potersi dedicare giorno e notte allo studio. Doveva assolutamente vincerlo, quel concorso. Era grato per quella opportunità che veniva concessa alla sua frustrata generazione. Proprio in quei giorni i telegiornali martellavano le cifre dei sondaggi, a segnalare il preoccupante incremento del fenomeno della disoccupazione nella fascia dei 25-35enni. Ed ecco, pronta, la risposta istituzionale. E poco importa se i quattromila selezionati tra i candidati non avrebbero ottenuto un lavoro, bensì una qualifica per un lavoro, che al momento era già svolto da stuoli di guide non qualificate, quelle che abbiamo imparato a conoscere come “guide abusive”.

Pensava che, ottenuta la certificazione ufficiale, finalmente avrebbe potuto concorrere per dare un senso ai trascorsi accademici. Non restava che aspettare, per conoscere le materie d’esame e la commissione esaminante. Le date sarebbero state diffuse in un secondo momento. Quindi aspettò. Passò un intero inverno, passò la primavera. A giugno posò i libri perché ormai sapeva tutto quello che occorreva sapere, solo non sapeva ancora a chi dirlo, quando e dove dirlo. tornò al ristorante. Stessa paga. Ma dieci ore di lavoro. Trascorse l’estate, e quando ormai le sue mani erano diventate abili ed esperte, al suo orecchio arrivò voce che fosse finalmente giunta qualche novità, riguardo al concorso. Tornò a spulciare il web, con sempre meno ardore. Il 16 Settembre 2013 viene ufficializzata la commissione d’esame. Pochi giorni ancora e vengono resi noti gli elenchi degli ammessi. Il 3 Ottobre la Regione subappalta a Formez, un ente terzo, l’onere della organizzazione pratica degli esami. Immediatamente rimbalza in rete il complessivo delle 4000 domande su cui potrebbero vertere le prove. Queste si terranno i giorni 5 e 6 Novembre. E’ stato ammesso!. Sarà lì, quei giorni, per sostenere l’esame. Ma non studierà per esso. Ormai al ristorante l’ hanno promosso cameriere; guadagna sempre la stessa cifra, ma con le mance porta a casa qualcosa in più. Lavora ancora in nero, e niente ferie né malattie pagate. Ma non si lamenta: lui sa che questo lavoro c’è, è qui ed ora; è tangibile. Il sogno, invece, si è rivelato solo utopia, distratto lungo il viaggio attraverso i corridoi tortuosi di questa Italia. Purtroppo non guadagna abbastanza da potersi permettere un appartamento da solo, o una famiglia. Vive in casa con i suoi, la stanzetta, e con i soldi sudati tra i tavoli ha comprato una cornice bellissima nella quale ha sepolto “il pezzo di carta”, quella laurea tanto agognata. Ogni tanto, dal suo lettino, la guarda. E pensa che aveva ragione la nonna: è “solo un bamboccione”.

Da il fiore uomo solidale