“La rabbia è aggressività repressa. La violenza? Una dinamica più complessa”
Si parla continuamente della ricerca della pace, si legifera e si organizza la società in direzione del benessere, le statistiche ci dicono che non si sono mai verificati così pochi omicidi in Italia come negli ultimi anni. Nel 2020 siamo scesi al minimo assoluto 271 casi meno dell’anno precedente con le 315 vittime. Ma poi accade che ci si uccide per una scarpa sfiorata, per una precedenza non data a un incrocio, e talvolta per uno sguardo di troppo. “Il fenomeno della rabbia e della violenza – afferma Massimo Doriani – è molto complesso ed appartiene ad ognuno di noi.” Psicanalista fondatore dell’Accademia Imago, è anche ideatore del brand “Arte che cura”, attività che ogni anno culmina in un Festival fatto di laboratori, concorsi d’arte, convegni, focalizzato su bellezza e benessere psicologico e sociale attraverso l’arte e la psicoanalisi.
Professore, lei dice che rabbia, aggressività e violenza sono caratteristiche dell’animo umano e appartengono a tutti noi. Può spiegarci da dove derivano questi fenomeni?
Parliamo dei nostri sogni, ad esempio. Nei sogni spesso compiamo atti terribili, di una violenza inaudita, completamente inspiegabile e incompatibile col nostro modo di essere. L’idea freudiana sui sogni, come si evince dal noto testo sulla loro interpretazione, è che durante il sonno notturno il Super Io non agisce o agisce limitatamente. Questo guardiano anteposto al nostro Io, che ci controlla, ci giudica e determina i nostri comportamenti durante la notte allenta il suo controllo e pertanto l’inconscio è più libero di far emergere anche aspetti antisociali e violenti.
È questo il motivo per cui spessissimo i più efferati delitti vengono compiuti durante la notte?
Non ho detto questo. Ho detto che la notte è il momento in cui siamo più a contatto con l’inconscio, l’ES prevale, e spesso compie le sue incursioni consegnandoci parti di noi nascoste. La notte è un momento della giornata in cui è più facile contattare questo nostro mondo sconosciuto buio e misterioso dove si vivono le nostre ombre, le paure e le preoccupazioni, i nostri demoni.
Quindi la rabbia fa parte dell’animo umano, una realtà con cui è necessario fare i conti. Dobbiamo incontrarla per forza?
Assolutamente sì. Ci appartiene profondamente. Infatti non è un caso che le Scritture, un fondamento della nostra cultura, ci parlano di Caino e Abele, ossia un fratricidio effetto dell’invidia, vale a dire di pulsioni arcaiche che sono legate all’animo umano.
Quindi non è possibile evitare di tener conto di queste pulsioni?
No, non è possibile evitare queste pulsioni, ma è possibile gestirle in una vasta gamma di opportunità. Ma procediamo con ordine. Prima di tutto chiariamoci sui termini che utilizziamo.
Allora ci può spiegare che differenza c’è tra aggressività, rabbia e violenza?
L’aggressività è una pulsione che viene dal mondo interiore, che ci spinge ad agire, ad esprimere la nostra forza interiore. Etimologicamente proviene da “ad-gredior” cioè andare verso. Quindi è la forza che ci consente di andare nel mondo. Quando per una serie di motivi psicologici o sociali l’aggressività non può esprimersi, rimane bloccata all’interno dell’individuo e si trasforma in rabbia. La violenza è Il passaggio ulteriore, e si manifesta quando anche la rabbia non può essere espressa assume toni distruttivi divenendo violenza.
Quindi l’aggressività è una cosa sana, mentre rabbia e violenza sono patologiche?
Solitamente ho un po’ di pudore nell’uso di questi termini, ma è proprio così. Esprimersi è un aspetto fondamentale della nostra natura la mancanza di espressione procura problemi.
Beh, però un conto è l’essere arrabbiato, un altro è essere violento, non le pare?
Certamente. Infatti, se la rabbia è semplicemente aggressività repressa, la violenza invece è frutto di una dinamica molto più complessa, perché rappresenta la risposta allucinata al bisogno liberatorio di esprimere aggressività o rabbia.
Può spiegare la differenza?
Certo. La violenza è come un salto nella realizzazione del proprio bisogno liberatorio senza passare per le complesse strade della concertazione, del dialogo, dell’incontro dialettico. Questo è un salto allucinato.
In che senso?
Lo spiego con un caso di cui parla Freud, il quale ci racconta di una sua paziente che ebbe molte difficoltà ad avere un figlio, che alla fine nacque morto. Per consolarsi questa donna teneva in braccio un pezzo di legno avvolto nelle fasce e lo chiamava col nome del figlio morto. Non riusciva a elaborare il lutto, e per questo il suo inconscio diede forma allucinata al suo desiderio, la strada più semplice, ma irreale. Così fa la violenza quando si costruisce una motivazione, scegliendo la strada più semplice, quella della sopraffazione. Motivazione che non è “vera” perché nega l’esistenza e le ragioni dell’altro.
Torniamo al discorso della rabbia. È un tema di cui vi state occupando come Accademia Imago in questo periodo.
Sì è un tema centrale, la sesta edizione dell’arte che cura ha come tema ” l’imperfetto futuro” viaggiamo verso il benessere ma ci ritroviamo nel malessere. Siamo arrabbiati e compressi da forze interne ed esterne a noi che non ci permettono di esprimere.
Può darci qualche anticipazione sul Festival?
Il festival prevede oltre venti laboratori di Arteterapia che saranno svolti nel mese di novembre presso la Real Casa dei poveri a Piazza Carlo III a Napoli, un concorso con undici sezioni nelle diverse arti con borse di studio come premio, per facilitare la formazione nelle arti terapie. E ancora, un convegno itinerante in programma in diverse città: Napoli, Potenza, Trieste, Portici, Ischia. Avrà per titolo: “La gestione della rabbia: quando l’aggressività mi fa perdere il controllo, quando il controllo mi fa perdere l’aggressività”.
È un tema molto sentito specie in ambito scolastico dove troppo spesso troviamo arroganza sopraffazione violenza…
Siamo in un contesto nel quale non si deve solo reprimere ma al contrario stimolare la creatività e canalizzare l’aggressività dei ragazzi.
Come colleghiamo questo discorso al tema della rabbia?
Se un insegnante possiede una modalità di ascolto e di relazione basata sull’espressione dell’allievo, sul far emergere le diverse opinioni, anche se contraddittorie, sull’integrazione delle diversità, automaticamente sta trasmettendo un insegnamento formativo, sta trasmettendo l’idea che bisogna ascoltare l’altro, che possono esserci tante soluzioni e quindi sta meta-comunicando che non si prosegue con l’arroganza e la violenza allucinando la realtà. In questo modo mostra direttamente come una strada concertata porta al benessere e la violenza porta alla distruzione anche di sé. Buddha diceva ” non verrai punito per la tua rabbia, ma dalla tua rabbia”.
Ma come si fa a vedere la propria rabbia: serve l’immaginazione, non è così?
Esattamente. Il nostro immaginario può diventare il motore che trasforma ed elabora. Ad esempio, invece di reprimere o esprimere la mia rabbia, mi fermo, provo a guardarla, gli do un’immagine, un senso, emerge in me l’immagine di come mi sono sentito. Facciamo un esempio concreto, un bullo immagina di essere un guerriero che affronta un leone e lo ammazza. Proviamo a farlo ragionare, devi per forza ammazzare? Come puoi agire la forza da guerriero?
E poi cosa ne faccio di quell’immagine?
Questo guerriero lo porto con me lo faccio uscire da me stesso e lo vedo. Comincio a parlargli: ” tu guerriero che faresti in questo momento? Come puoi risolvere questa situazione?” sto semplificando per intenderci, ma il tema è avviare un dialogo interno che crei uno spazio, uno spazio di democrazia, di opinione relazionata, di integrazione di diverse opinioni. Discutiamo insieme. Cosa può fare questo guerriero? Se ha paura del Leone potrebbe sparare a salve per farlo scappare ad esempio gli suggeriscono i compagni. Dal confronto nascono delle elaborazioni diverse e creative che portano a soluzioni diverse. Abbiamo costruito un’alternativa alla violenza.
Per fare questo percorso può essere utile lo psicodramma?
Certo, e con i ragazzi è molto efficace. Ad esempio, li possiamo invitare a mettere in scena una delle tante situazioni più o meno gravi di bullismo che accadono con i compagni di classe. una scena con un setting teatrale, e con tecniche psicodrammatiche o di giochi di ruolo. Mettiamo in scena una manifestazione di aggressività, di rabbia e di violenza. Poi con tante tecniche diverse possiamo lavorarla questa emozione, ad esempio una delle tecniche si chiama “inversione di ruolo”, l’aggressore recita a fare l’aggredito e viceversa. L’aggressore incarna il ruolo di aggredito e sperimenta sulla propria pelle cosa si prova. Le tecniche di questa metodologia sono tante. Insomma, Queste tecniche puntano a complessificare il tema e a stimolare diverse e varie idee su cosa sia possibile fare. La soluzione semplicistica allucinata basata su violenza ed arroganza scompare da sola senza neanche parlarne.
Se la rabbia si reprime scoppierà da qualche altra parte. Giusto?
Esatto. Allora bisogna dialogare, sentire la presenza dell’altro, entrare in relazione, capire se stesso e l’altro e … le soluzioni emergeranno da sole, senza suggerirle, stesso da loro. E proprio perché emergono da loro sono molto più effecaci, perché sentite. Se in una matassa aggrovigliata tiro un filo con insistenza e solo quel filo lì, non la scioglierò ma al contrario il nodo si stringerà sempre di più se invece tiro un po’ da un lato un po’ dall’altro un po’ dall’altro ancora pian pianino il nodo si scioglie.