Di SIMONA D’ALBORA
“So che è la prima volta che un ministro della giustizia rende omaggio alle vittime di quella terribile strage. Sento per questo tutta la responsabilità e il significato di questa mia presenza in un luogo pieno di simboli e di memoria civile”. Queste le parole del ministro della Giustizia Andrea Orlando che questa mattina ha partecipato alla commemorazione della strage di Portella della Ginestra, dove il primo maggio 1947 un gruppo di lavoratori fu ucciso dalla banda di Salvatore Giuliano. Dopo la commemorazione al cimitero di Piana degli Albanesi, Orlando è andato a Portella della Ginestra sul luogo della strage accompagnato da Mario Nicosia uno dei pochissimi sopravvissuti ancora in vita che gli ha raccontato i ricordi di quei terribili momenti.
LA STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA
La strage di Portella della Ginestra è la prima delle tante pagine vergognose della storia della nostra Repubblica. Quel primo maggio del 1947 persero la vita undici persone, e ne rimasero ferite ventisette, e nei giorni successivi morirono altre tre persone a causa delle ferite riportate. Quattordici morti e 27 feriti e tantissime domande che in quasi 70 anni non hanno ancora trovato una risposta.
Quel primo maggio del 1947 circa duemila lavoratori, per lo più contadini, provenienti dalla zona della Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Ciprello, si erano riuniti a Portella delle Ginestre per protestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte, e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni dell’Assemblea Regionale Siciliana, che aveva visto la coalizione PSI PCI conquistare 29 rappresentanti, contro i 21 della DC. Ma verso le 10,30 dal Monte Pelavet, si abbatté sui manifestanti una lunghissima serie di raffiche di mitra. Undici morti, di cui due bambini, e ventisette feriti, questo il primo bilancio di quel quarto d’ora di terrore, che insanguinò la prima festa dei lavoratori del dopoguerra e che ancora oggi, benché quasi dimenticata dai più, rimane un mistero.
IL BANDITO SEPARATISTA SALVATORE GIULIANO
A quella strage seguirono una serie di attentati contro le sedi del PCI di alcuni paesi siciliani che provocarono un morto e una serie di feriti. Sui luoghi dell’attentato furono trovati una serie di volantini firmati dal bandito separatista, Salvatore Giuliano, che incitavano la popolazione a ribellarsi al comunismo. Salvatore Giuliano era considerato il braccio armato del Movimento Indipendista siciliano, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.
IL PROCESSO
Durante il processo nel 1953, che si concluse con la conferma che gli unici responsabili erano stati Giuliano e i suoi uomini e con la loro condanna all’ergastolo, emerse però anche un altro elemento, il luogotenente del bandito Giuliano, Gaspare Pisciotta fece pesanti dichiarazioni sulla vera natura della strage. Pisciotta accusò alcuni deputati monarchici, e i democristiani Bernardo Mattarella e l’allora ministro Mario Scelba di aver intrattenuto rapporti con il bandito Giuliano per pianificare la strage. Tuttavia in Corte di Assise le sue accuse furono ritenute infondate perché Pisciotta aveva fornito nove versioni diverse sui mandanti politici della strage.
IL MISTERO SULLA MORTE DEL BANDITO GIULIANO
Ecco che la strage, che in un primo tempo lo stesso ministro Scelba aveva definito un fatto circoscritto, senza finalità politiche o terroristiche, inizia ad assumere una nuova connotazione. Si sapeva che Salvatore Giuliano provava una forte avversione per i comunisti, ma resosi conto di essere diventato un personaggio scomodo, egli stesso iniziò a fare una serie di allusioni sui rapporti intrattenuti con noti esponenti politici, tra cui l’onorevole Mario Scelba. La stessa morte del bandito Giuliano, è piena di misteri: trovato morto nel cortile di un avvocato a Castelvetrano, ancora oggi ci sono molte ombre sul suo assassinio. Esistono almeno cinque differenti versioni sul suo omicidio, ma l’anno prossimo dovrebbe cadere il vincolo del segreto di Stato sulla morte. Un mistero nel mistero, insomma, come spesso accade nella nostra nazione. Lo stesso Pisciotta, nel febbraio del 1954, dopo aver dichiarato in un incontro con il sostituto Italo Scaglione, di avere delle sconvolgenti rivelazioni da fare circa i rapporti tra banditismo, mafia e forze dell’ordine, verrà avvelenato con la stricnina nel carcere dell’Ucciardone.
IPOTESI SULLA STRAGE
Esistono altre ipotesi sul movente della strage di Portella della Ginestra, una sostenuta in sede parlamentare da Girolamo Li Causi e appoggiata dalle forze di sinistra e dalla CGIL, secondo la quale il bandito Giuliano era solo l’esecutore del massacro: i mandanti, gli agrari e i mafiosi, avevano voluto lanciare un preciso messaggio politico all’indomani della vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali.
In seguito ai riscontri emersi dal processo, diversi parlamentari socialisti e comunisti denunciarono i rapporti tra esponenti delle istituzioni, mafia e banditi.
Non si sa perché fino ad oggi nessun ministro abbia sentito il dovere morale di commemorare quei morti, non pensiamo per l’etnia delle vittime, sette di loro facevano parte della minoranza albanese, tanto che le stesse vittime la definirono una “strage(di Stato) che parla albanese”. Piuttosto perché dietro quella strage si nascondono strane commistioni, tra banditi, mafia ed istituzioni. Ad ogni modo, la visita del ministro Orlando ha riportato l’attenzione sulla prima pagina nera della storia della nostra Repubblica.