Vincenzo Musacchio, Giurista e docente di diritto penale in varie università italiane da ultimo presso l’Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma. Direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.
Prof. Musacchio, come si è evoluta la criminalità organizzata negli ultimi anni e in che rapporti è con la politica?
Le organizzazioni criminali italiane sono ormai classificabili come filiali politiche in grado di incidere sull’economia, sulle politiche sociali e sulla società civile. La corruzione rappresenta lo strumento primario attraverso cui le mafie influenzano i poteri centrali e periferici dello Stato. Questo è un dato di fatto inconfutabile e sfido chiunque a dimostrarmi il contrario.
Cosa fare e come agire in questo contesto?
I rapporti tra politica e criminalità organizzata hanno raggiunto livelli preoccupanti. I cittadini sono rassegnati sia al potere delle mafie che alle dinamiche corruttive. Nessuno più si meraviglia di nulla. Vige un silenzio assordante. Ritengo che una delle strade da percorre per tentare di risolvere il problema sia una azione energica sia sul piano culturale che legislativo. Oggi, come del resto anche in passato, la macchina pubblica non parte se l’impresa non versa una tangente e questo accade dal Comune più piccolo sino allo Stato centrale. Abbiamo visto come il tutto sia influenzato dai più importanti partiti politici.
Che differenza c’è tra prima e seconda Repubblica?
Nel periodo di Tangentopoli, la mafia siciliana aveva ricevuto il più grande colpo giudiziario della sua storia, con le condanne definitive del maxiprocesso di Palermo, arrivate nel gennaio del 1992. Da allora io non ricordo nuovi grandi colpi inferti alle mafie. Organizzazioni criminali e i fenomeni corruttivi in simbiosi tra loro oggi dominano la scena in maniera molto molto più invasiva rispetto alla prima Repubblica. Mafie e potere politico non hanno mai smesso di parlarsi e di scambiarsi favori. Hanno solo cambiato la modalità dei loro rapporti che oggi passano sottotraccia nel disinteresse generale.
Ma oggi sembra tutto più silenzioso, come mai?
Le mafie hanno compreso che il silenzio rende di più anche in termini economici e quindi hanno stoppato le azioni stragiste. Tendenzialmente le organizzazioni criminali cercano di mantenere un basso profilo, limitando le azioni eclatanti fin dove è possibile, per evitare sovraesposizioni mediatiche e reazioni giudiziarie. Così, il grado di violenza esercitato dalle organizzazioni criminali italiane diminuisce notevolmente, ma di certo non scompare la mastodontica virulenza mafiosa.
In che rapporti sono mafia e corruzione?
La corruzione non ha bisogno delle mafie per esistere: non è detto che dove c’è corruzione ci sia per forza mafia. Ma di certo tra le modalità di relazione che le mafie instaurano con il mondo politico ed economico, l’azione corruttiva è lo strumento privilegiato ed il più efficace. L’amministrazione pubblica rappresenta uno dei canali più permeabili al potere mafioso. La cartina di tornasole in questo contesto sono i provvedimenti di scioglimento per infiltrazione mafiosa degli enti locali.
In quali settori le mafie concentrano i loro interessi economici?
Gli ambiti e i settori economici oggetto di infiltrazione mafiosa sono molteplici e tra loro primeggiano: sanità, assistenza, servizi ambientali, formazione professionale appalti e sovvenzioni pubbliche superando ambiti tradizionali come l’edilizia. Lo strumento corruttivo ha decisamente superato quello violento ed è il grimaldello che apre ogni porta.
Cosa bisogna fare allora?
Per far comprendere ai miei studenti come sono cambiate le organizzazioni criminali dico sempre loro che occorre guardare con gli occhi “aperti”. Lo strumento per aprirli è la cultura: se non si conosce il problema non lo si potrà mai individuare e mai sconfiggere. In Italia, non si apre più un dibattito su niente. Perché non aprirlo sulla decadenza della politica e sulla supremazia delle mafie? O sulla corruzione del mondo politico? O sulla politica come partecipazione? Impossibile, non si può! Questo significa che gli intellettuali che una volta promuovevano e partecipavano attivamente alle discussioni si sono liquefatti e sono divenuti “impotenti” o peggio complici”.
Sul piano giudiziario cosa si potrebbe fare?
E’ indispensabile introdurre una norma inequivocabile per la incandidabilità dei condannati. Chi è condannato non può rivestire cariche politiche a prescindere dall’entità della pena. Del resto non dimentichiamoci che chi ha una condanna penale non può partecipare neanche ad un pubblico concorso. Occorre disegnare in maniera incisiva il delitto di autoriciclaggio, cioè la ripulitura in proprio (non con ausilio di altri come nel riciclaggio) dei profitti illeciti. Oggi, infatti, sono punibili solo i riciclatori di denari altrui. I nuovi reati di corruzione tra privati e il traffico d’influenze, in base alla pena, si prescrivono in sei anni cioè nel tempo medio di durata del processo: un controsenso. Manca anche un efficace sistema di pene accessorie e di misure interdittive. Si potrebbe introdurre un nuovo delitto concernente le false fatturazioni. Si potrebbero estendere le misure di prevenzione antimafia a vari delitti contro la pubblica amministrazione. Insomma in una seria ed efficace lotta alle mafie e alla corruzione occorre impegnare, come diceva Giovanni Falcone, le forze migliori delle Istituzioni. Si seguiranno gli insegnamenti di Falcone? Credo di no!