Esiste una strategia efficace per bonificare il livello di malaffare e di corruzione in cui è sprofondata la nostra Nazione? Sono convinto di si. Il riferimento da cui trarre lo spunto per tentare di risolvere il problema risiede in un mix tra la disciplina dei bandi di ammissione ai pubblici concorsi e l’art. 54 della Costituzione. Per poter partecipare al bando pubblico si impone al cittadino di dover dichiarare nella propria domanda, dandone formale attestazione, i procedimenti penali in corso, i carichi pendenti e le condanne penali riportate. Tale dichiarazione è regolarmente posta come condicio sine qua non. Le attestazioni sopra richiamate, infatti, sono richieste per escludere tutti i candidati che abbiano riportato condanne per le quali la legge (o il bando) non permetta l’assunzione presso la pubblica amministrazione. Per la politica il riferimento imprescindibile è l’art. 54 Cost. il quale sancisce che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
A scanso di equivoci, voglio puntualizzare che la condizione di un cittadino che ha riportato una condanna in via definitiva (sentenza passata in giudicato), è sicuramente differente rispetto a quella di chi riveste provvisoriamente la veste di semplice indagato, di imputato o persino di condannato in via provvisoria (sentenza di condanna impugnata). Questa breve premessa per dire semplicemente che ritengo perverso il fatto che per fare politica oggi si possa aver subito condanne definitive fino a due anni di reclusione ed invece per partecipare ad un concorso pubblico o voler intraprendere una iniziativa imprenditoriale privata occorra la fedina penale assolutamente pulita. Penso che non sia necessario stravolgere il sistema repressivo, che ha una sua logica di fondo valida: occorre semplicemente dare rilevanza ostativa allo svolgimento di funzioni pubbliche ai delitti più gravi e non a quelli bagatellari o di opinione.
L’art. 54 innanzi menzionato può e deve fungere da riferimento per indicare la strada di una politica all’insegna dell’etica e del bene comune. Chi fa le leggi e rappresenta il popolo ha il dovere di essere ligio all’osservanza delle norme in vigore per avere quella legittimazione morale e giuridica che gli dia la coerenza e il buon senso di emanare provvedimenti legislativi vincolanti per tutti i consociati. L’articolo 54 disegna con precisione la politica come la vorrei io: fatta di gente irreprensibile ed rispettabile cui affidare le sorti del Paese più corrotto d’Europa. Sono convinto che le stesse regole che si applicano per i pubblici concorsi dovrebbero, a maggior ragione, essere applicate a chi vuole accedere alla “carriera” politica. Chi è condannato non dovrebbe poter esercitare funzioni politico-costituzionali e tanto meno rappresentare i cittadini: da questa regola minima occorrerebbe ripartire se si vuole invertire la rotta e provare a cambiare l’Italia.