Più che una riforma della giustizia ciò che occorre al nostro Paese è una vera riforma della scuola in senso etico. In Italia è fondamentale ripartire dal sistema educativo. La nostra scuola deve educare a ragionare anche di etica e di morale. Deve esser chiaro che l’etica è una cosa e il diritto un’altra e in uno Stato che ha il primato europeo per corruzione ed evasione fiscale, l’etica dovrebbe venire prima del diritto. Servono tribunali efficienti ma occorrono soprattutto scuole che diano risposte serie ai problemi che affliggono il nostro Paese. L’etica è un concetto che può essere insegnato in tanti modi ma quello fondamentale è dato dagli esempi positivi. Formare i cittadini sin da studenti ad avere comportamenti conformi all’etica probabilmente ci consentirà di avere anche futuri politici migliori degli attuali. Fermo restando che in termini di responsabilità quando si ha un ruolo politico i doveri e le regole sono più stringenti rispetto ai semplici cittadini. L’art. 54 della nostra Costituzione afferma che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore. Se chi governa e fa le leggi non rispetta le regole allora anche gli altri si sentiranno legittimati a violarle. Una delle funzioni della scuola pubblica, a mio giudizio, è quella di formare ottimi studenti mediante il criterio meritocratico e di educare ottimi cittadini mediante l’etica pubblica. Servono strategie in grado di avviare, e soprattutto praticare, un’educazione civica convinta, interiorizzata, visibile e duratura nel tempo, quale strategia di prevenzione per non cadere nelle reti mafiose, nella corruzione e per divenire testimonianza di legalità e di impegno civile. Lo Stato deve ripensare il contenitore scuola come luogo dove i diritti e le libertà di tutti, nel reciproco rispetto, trovino spazio di realizzazione, dove non vengono frustrate le aspettative dei ragazzi ad un equilibrato sviluppo culturale e civile e dove i percorsi formativi siano vissuti in prima persona dagli studenti. Come era solito dire Paolo Borsellino: “La lotta alla mafia non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che ci abitui a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità”. Prima di arrivare a diventare criminali i ragazzi iniziano con troppa facilità a essere bulli, capetti di bande o ladruncoli potenziali. In questa non-cultura, in questa mentalità, in questo gioco delle parti, può nascere il corruttore, l’evasore fiscale o peggio mafioso. Delicatissimo è quindi il compito della scuola che dovrebbe indicare la strada delle regole, che devono essere poche e rigorosamente osservate. E’ una questione di metodo. E’ importante che lo Stato conosca bene e sappia distinguere i diversi ruoli che competono alle istituzioni scolastiche nelle realtà in cui cresce la criminalità. La lotta alle mafie, alla corruzione e ai loro “disvalori” dovrà giocoforza cominciare sui banchi di scuola, non solo perché attraverso essa, nelle fasce dell’obbligo, passano tutte le generazioni, ma soprattutto perché, tra tutte le compagini educative, la scuola è quella che per sua natura è chiamata a formare persone libere, rispettose delle leggi democratiche, consce dei propri diritti e dei propri doveri e può parlare in modo persuasivo e prolungato nel tempo all’intelligenza e soprattutto al cuore delle giovani generazioni. La scuola, dove il giovane incontra per la prima volta lo Stato e che, in contesti sociali particolarmente segnati da disagio sociale, rappresenta, uno dei pochi spazi di incontro e di aggregazione presente sul territorio, deve essere luogo di pratica, e non solo di enunciazione, della democrazia, della legalità, della solidarietà, della cultura avversa alle mafie e alla corruzione. In Molise, regione piccolissima, abbiamo creato la prima Scuola di Legalità d’Italia intitolata a don Peppe Diana, parroco trucidato dalla camorra a Casal di Principe, (esempio premiato in Europa e ignorato in Italia!) affinché si possa dimostrare nelle scuole e con i fatti che vivere e crescere nella legalità e nella solidarietà è possibile e conveniente. La legalità non deve e non può essere un limite ma un valore aggiunto. Questa è la strada maestra da percorrere nel prossimo futuro se vogliamo ancora bene alla nostra Nazione.
Vincenzo Musacchio
Giurista e docente di diritto penale in varie Università italiane,
direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.