di Gaetano Armao*
Per Renzi le contestazioni sul disagio economico e sociale del sud degradano a ‘piagnisteo’ e meno male che a dar voce al disastro, oltre che principali istituto di ricerca sul Mezzogiorno si siano mossi alcuni intellettuali e una sparuta pattuglia di politici.
È’ ormai noto, il ‘sistema Italia’ consolida la lenta ripresa, già partita quest’anno, e che si irrobustirà nel prossimo, l’economia siciliana, invece, continua ad arretrare nel vortice della recessione.
Dati confermato dalle convergenti conclusioni del “Rapporto 2015 sull’economia del Mezzogiorno” della Svimez e del “Report Sicilia 2015″ della Fondazione Curella, presentate qualche giorno fa, le quali registrano altresì per la Sicilia condizioni disastrate del mercato del lavoro ed il più alto rischio di povertà tra le regioni italiane (41,8%), mentre cresce esponenzialmente il divario in tutti i comparti, relegando l’economia regionale ad uno stato comatoso.
Nell’indifferenza della politica – in tutt’altre faccende affaccendata – l’economia siciliana resta nel pantano e così la Fondazione Curella registra la crescita del tasso di disoccupazione (23%): “se ai quasi 400 mila disoccupati si sommano i 600/650 mila soggetti che vorrebbero lavorare, la massa degli emarginati dal mercato del lavoro sarebbe di oltre un milione di persone. In tal caso, il tasso di disoccupazione per così dire allargato si impenna al 44%”.
Un dato drammatico che riporta la Sicilia agli anni ’50.
Vero è che le flebili dinamiche positive che spingono l’economia del Paese sono dovute prevalentemente a fattori esogeni (decremento del prezzo del petrolio, deprezzamento dell’euro, varo del Quantitative Easing da parte della BCE, maggiore flessibilità dei vincoli di bilancio) piuttosto che all’incerta capacità delle riforme già varate. Tuttavia il divario tra Italia e Sicilia si allarga sempre più, relegando l’Isola a prospettive di crisi irreversibile e ad un inesorabile declino.
E così i settori nei quali la Regione si colloca ai primi posti delle classifiche nazionali sono: il tasso di disoccupazione, sopratutto giovanile; quello dell’emigrazione dei laureati; rischi di dissesto idrogeologico, percentuali di immigrati ricoverati; ritardi nei pagamenti e fallimenti d’impresa.
Il Pil procapite del Sud era pari al 57% di quello del Centro-Nord nel 2007, nel 2015 sarà sotto il 55%, mentre i tagli alla spese in conto capitale, esercitano un effetto depressivo che, insieme a quelli alle spese correnti, concorrono a penalizzare l’economia del meridione (S. Prezioso, Gli effetti delle manovre nel biennio 2014/2015: una valutazione territoriale, www.nelmerito.com, 6.3.2015). Se Pino Daniele si sentiva un nero a metà, ma era un valore aggiunto per la sua musica, i meridionali sono ormai stabilmente italiani a metà (per PIL, dotazione infrastrutturale, qualità dei servizi pubblici etc.), salvi gli stessi oneri fiscali.
Secondo le più recenti stime della Banca d’Italia, tra il 2000 e il 2008 i flussi redistributivi in termini reali verso il Mezzogiorno sono stati pari in media a circa 56 miliardi di euro all’anno (3,9 per cento del PIL nazionale), con variazioni di anno in anno contenute.
Nel biennio 2009-2011, la forte flessione del prodotto e la crescita dei flussi redistributivi netti (saliti a oltre 60 miliardi all’anno), ne hanno addirittura innalzato l’incidenza al 4,4 per cento del PIL. Tali flussi si sono successivamente ridotti sensibilmente, fino a circa 44 miliardi nel 2012 (3,2 per cento del PIL) (Banca d’Italia, Economie regionali. L’economia delle regioni italiane Dinamiche recenti e aspetti strutturali, Roma, 2014, 51).
Mentre con riguardo ai fondi europei, lo ricorda G. Viesti (Fondi strutturali, opere pubbliche, Mezzogiorno. Dov’è il problema?, www.nelmerito.com, 12.1.2015), l’inerzia nell’impiego dei fondi è in gran parte ascrivibile alla complessità dei progetti, alla farraginosità delle procedure, alla maggiore incidenza percentuale delle infrastrutture sui fondi assegnati. Tant’è che sugli interventi che non rientrano nei lavori pubblici (e cioè acquisti di beni e servizi, contributi e incentivi alle imprese) a fine 2013 la velocità della spesa è uguale in tutto il Paese.
Se a questi dati aggiungiamo la sostanziale censura della Corte dei conti sul Rendiconto generale della Regione 2014 – solo di qualche settimana fa, ma ben presto passata in secondo piano rispetto alle questioni delle controverse intercettazioni del Presidente della Regione – va constatato il dissesto finanziario al quale si sta condannando la Sicilia.
Per i giudici contabili il ciclo del bilancio non rispetta “le condizioni temporali ed i presupposti sostanziali posti dal legislatore” e pregiudica “l’insieme della funzione programmatoria e la corretta gestione della finanza pubblica regionale”, il bilancio risulta predisposto in base a “stime non attendibili” e la stessa legge di stabilità, che introduce modifiche peggiorative dei saldi di finanza pubblica e norme prive di chiare coperture finanziarie, non è “rispettosa del vigente ordinamento contabile”.
All’esito della parificazione la Corte ha così imposto un assestamento da 1,3 md€ – che l’Ars deve varare al più presto, ma di questo non si parla – e contestato, la crescita del debito (+2,7 md in 30 mesi, giunto sino ad 8 md€).
È così anche l’ennesimo allarme – sempre dai giudici contabili – sul sistema delle partecipazioni regionali, la cui riforma del 2011 é rimasta lettera morta, che genera enormi costi riversati sulla finanza pubblica regionale.
Nel pesante aggravamento della crisi la Regione dimostra l’incapacità di affrontare serie riforme ed un deciso risanamento. Di converso lo Stato, dopo aver ricavato dalla Sicilia oltre 10 md€ (compresi i circa 5 miliardi dell’accordo sottoscritto nel 2014, con il quale la Giunta regionale ha rinunciato ad entrate derivanti da contenziosi costituzionali vittoriosi) e aver ridotto drasticamente investimenti in infrastrutture (-40% rispetto al 2000 secondo SVIMEZ), ha allungato, a mo’ di elemosina, 500 mn€ e solo di fronte alla minaccia di “non pagare stipendi”, sottacendo che queste somme sono a pieno titolo della Sicilia e costituiscono una minima parte di quel che spetta all’Isola. Si tratta di una ‘dazione’ alla politica, al di fuori di ogni dignitosa concertazione finanziaria.
Stato e Regione aggravano gli effetti degli errori di politica economica dell’eurozona che deprimono l’intero sud d’Europa, confermando i sospetti di un “default guidato” (economico, prima, e poi istituzionale) della Sicilia.
Nel 2016 anche la modesta previsione di crescita del PIL (+0,5%, Malta nel biennio 2015-16 supererà il 7%), pur effetto di trascinamento indotto dal trend nazionale, sarà compromessa dal disequilibrio di bilancio regionale nel quale cresce la spesa corrente, a partire da quella sanitaria (+600 mn€), diminuisce quella per investimenti (rispettivamente 83% e 17% degli impegni assunti), e gli ingenti ritardi nei pagamenti (+25%) portano al dissesto imprese e famiglie.
A questo si aggiunge l’impugnativa (la prima) del governo statale nei confronti della legge di stabilità approvata dall’ARS che contesta la legittimità delle appostazioni 2016-2017, anni nei quali i bilanci dovranno, peraltro, rispettare le regole più rigorose effetto dell’armonizzazione contabile.
Se vogliamo reagire a questa prospettiva di ‘decrescita infelice’ alla quale sembra condannata la nostra Isola – non dal destino cinico e baro, ma da precise scelte ed inerzie della politica – occorre puntare decisamente ad un programma di crescita e coesione incentrato su riforme strutturali, rafforzamento dell’autonomia finanziaria, interventi infrastrutturali, attrazione di investimenti mediante fiscalità di vantaggio, sostegno alle start-up ed agli spin-off universitari, coinvolgimento dei privati nella valorizzazione dei beni culturali.
È inevitabile che l’impoverimento e l’abbandono si ribalteranno contro i loro artefici, ed in particolare sui decisori politici che queste scelte hanno determinato e continuano a determinare, ma a coloro che hanno idee e coraggio spetta il compito, oltre gli ormai sterili schieramenti, di portare la Sicilia fuori dal pantano.
Mario Centorrino, economista gentile e compianto amico (di cui ricorre a giorni l’anniversario della scomparsa), chiudeva uno dei suoi ultimi articoli sull’economia regionale (“La Renzonomics in Sicilia” in www.livesicilia.it, 11.5.14) con una indicazione che costituisce un monito: “la prossima volta che parliamo di ritardi, indichiamo perché e per colpa di chi. Oltre a ciò che occorre fare per evitarli nel futuro. Siamo francamente stufi di “chiacchiere e tabacchiere di legno”!”
*Docente di contabilità pubblica nell’Università di Palermo
Dipartimento di Scienze politiche – DEMS, già Assessore per l’Economia della Regione siciliana.
gaetano.armao@unipa.it