Antonio Troise
Rieccolo il cantiere pensioni. Era stato messo da parte a causa dell’emergenza Covid. In qualche maniera rimosso dal dibattito mediatico. Ma oggi, con il primo vertice fra governo e sindacati, l’eterna incompiuta del nostre welfare torna nell’agenda dell’esecutivo. Con tante incognite e una sola certezza: alla fine del 2021 dovremo dire addio alla cosiddetta quota 100, il meccanismo che dava a tutti la possibilità di lasciare il lavoro con 38 anni di contributi e 62 di età. Sul tavolo, al momento, ci sono due ipotesi. La prima, quella più accreditata (e anche meno costosa) farebbe lievitare quota 100 fino a 102, con la possibilità di andare in pensione con 64 anni di età e 38 di contributi. In ogni caso, 3 anni prima rispetto alla soglia dei 67 anni prevista per i trattamenti di vecchiaia. La seconda ipotesi, particolarmente caldeggiata dai sindacati, prevede che si possa lasciare il lavoro, indipendentemente dall’età, con 41 anni di contributi.
La trattativa non sarà facile. Tanto per cominciare, avremo gli occhi dell’Europa puntati sul nostro Paese, soprattutto dopo il via libera ai 209 miliardi del Recovery Fund. Prima di sganciare i quattrini, Bruxelles vorrà avere garanzie sulla sua restituzione e, quindi, sulla tenuta dei nostri conti pubblici. Ma c’è un altro problema non meno importante. Il costo del nostro sistema previdenziale è ancora troppo alto rispetto agli altri Paesi. E’ vero che nei bilanci dell’Inps sono scaricati costi (come la Cig) che con la previdenza hanno poco a che fare. Ma è anche vero che buona parte delle pensioni sono pagate dagli attuali lavoratori.
Qualche mese fa si era diffusa la notizia che il numero dei pensionati avrebbe superato quello degli occupati. Era una fake news: in realtà a effettuare il sorpasso erano le pensioni erogati. E, dal momento che molti pensionati ricevono più di un trattamento, i lavoratori sono ancora in vantaggio: 23 milioni di occupati (tutti compresi, dipendenti, autonomi e precari) contro 16. Tutto bene, allora? No, perché per garantire la sostenibilità delle pensioni bisognerà fare in modo che ci sia un numero sufficiente di lavoratori attivi. Pensare di fare l’ennesima riforma della previdenza, dimenticando di mettere mano alle dinamiche del mercato del lavoro, significherebbe condannarci a nuovi tagli trasformando le pensioni nell’eterno “bancomat” dei nostri conti pubblici.