Andare in pensione prima, ma ricalcolando l’assegno in base ai contributi versati, comporterebbe un taglio di un terzo della pensione lorda, un quinto di quella netta. In soldi, il pensionato potrebbe perdere un importo che va da 50 mila a 80 mila euro netti con un’attesa di vita media a 82 anni. E scivolare, dopo anche 36 anni di lavoro, sotto i 780 euro mensili della pensione di cittadinanza. Inaccettabile per i sindacati, attesi oggi al terzo cruciale tavolo con il governo sulla flessibilità in uscita. Tradotto: superare Quota 100 e riscrivere la legge Fornero. Ecco perché l’esecutivo medita una controproposta: sostituire il ricalcolo contributivo con una penalizzazione per ciascun anno di anticipo dell’uscita. Potrebbe essere il 2% all’anno. L’asticella non è stata fissata, ma è chiaro che il governo non intende riformare la Fornero spendendo più di quanto impegnato per Quota 100: circa 28 miliardi in 10 anni. «Potrebbe essere una strada», ragiona il sottosegretario pd all’Economia Pier Paolo Baretta. Mentre il viceministro pd dell’Economia Antonio Misiani afferma: «Dal primo gennaio 2021 gli italiani pagheranno meno tasse grazie alla riforma Irpef. E se troveremo l’accordo con i sindacati, Quota 100 sarà sostituita da un meccanismo più equo e meno costoso. Importante è dare certezza a chi deve andare in pensione nel 2021. E fare una riforma equa e sostenibile che tuteli i giovani e le categorie più fragili con costi inferiori a quelli di Quota 100».