di Maria Tiziana Lemme
Il 15 dicembre 1963 Giuseppe Patroni Griffi pubblicò sul Messaggero un articolo che cominciava così: «Il senso della dignità umana io lo scopersi, anzi lo provai, in fondo a un pozzo». Offriva la sua scrittura, la sua esperienza e la sua sensibilità a quel giornalismo culturale che fino agli inizi degli anni Novanta caratterizzava le terze pagine dei quotidiani. Un libro, Peppino naturale e strafottente – Per chi la notte non ha mai voglia di dormire (Editoriale Scientifica, 500 pgg. € 30,00) raccoglie i contributi giornalistici che il regista e scrittore di Napoli pubblicò su Il Messaggero e Il Corriere della Sera. La raccolta è a cura di Fausto Nicolini, assistente di Peppino per undici anni (dal 1986 al 1997) e caparbio custode dell’intero suo archivio. Su proposta di chi scrive, l’archivio Patroni Griffi è stato acquisito dalla Biblioteca Nazionale di Napoli. Il libro si presenta il 26 marzo 2019 a Roma all’Istituto Pontificio di Musica Sacra con Fausto Bertinotti, Gianni Letta, Mariano Rigillo, Masolino D’Amico.
Sono 76 articoli scritti tra il 1963 e il 1998 – per Il Messaggero – di cui tre non pubblicati. Del Corriere sono raccolti cinque articoli scritti tra il 1986 e il 1990. Quando non venivano pubblicati, gli scritti gli venivano restituiti con un biglietto di scuse.
Patroni Griffi si trasferì a Roma da Napoli nel 1945, l’armistizio e il conseguente bracconaggio dei tedeschi per rappresaglia sono ancora vividi nella memoria di Peppino. Ne scrive come si scrive una sceneggiatura; per quel naturale bisogno di dire ma anche per lasciarne ricordo, un monito. I racconti della guerra fanno parte della serie “Storie di vent’anni fa: 1943-1963” scritte in occasione dei vent’anni dalla caduta del fascismo.
Oltre quelle memorie, il regista scrive per esempio dell’Unione Sovietica. Peppino era un compagno, era attratto dalla politica Urss e nel 1963, a dieci anni dalla morte di Stalin, partì al seguito della Compagnia dei Giovani, invitata dal governo sovietico a rappresentare alcuni allestimenti. «La prima esperienza che si prova a stare in Russia è quella di non capire niente». Le contraddizioni di Krusciov, che da un lato aveva denunciato i crimini di Stalin, dall’altro aveva sostenuto la costruzione del Muro di Berlino, erano evidenti. La soppressione della libertà di pensiero, pure. Ne fece le spese il poeta Evtushenko, al quale Patroni Griffi dedica due articoli: non lo aveva conosciuto. Era riuscito soltanto a stringergli la mano alla fine di una cena organizzata per la prima del Diario di Anna Frank della compagnia. A lui che era stato sconfessato da Krusciov per aver scritto «Mi sembra di essere Anna Frank/ trasparente come un ramoscello d’aprile».
Scrive di cinema (Il momento cruciale), di società (I nemici intimi), di musica (Chiacchiere e musica) di amenità (Il faticoso luglio romano). Naturalmente di teatro. Fa’ i ritratti di Vittorio Gassman, di Vitaliano Brancati attraverso i suoi scritti e soprattutto attraverso la commedia La governante, censurata per 14 anni e portata in scena il 23 gennaio del 1965 al teatro Duse di Genova: la prima regia teatrale di Patroni Griffi. Scrive di calcio in occasione dell’eliminazione dell’Italia dal mondiale dell’86, quattro anni dopo la vittoria spagnola dell’82. Dedica l’articolo a Paolo Rossi, trionfatore in Spagna, in panchina in Mexico.
Prende parte al dibattito sul referendum del 1974 sul divorzio: «La coscienza, poi, mi fa ridere. E’ il materiale più elastico prodotto dall’industria italiana. Segue la coscienza il borgese fascista e cattolico che tuona per il mantenimento della famiglia unita avendo sulle spalle doppi matrimoni, figli di mogli differenti, ma santificato dall’annullamento della Sacra Rota?». Sembra scritto per il congresso di Verona sulla famiglia.
Non del tutto apprezzato nella sua poliedricità, non pienamente ancora riconosciuto, Patroni Griffi è mostro di umiltà e arroganza per Raffaele La Capria. Per Antonio Ghirelli era “Pepp Norton” in ossequio di Burnt Norton, protagonista di un quartetto di T.S. Eliot, il primo. Chissà, forse per quel tempo che si conquista soltanto con il tempo.