di Laura Bercioux
Al Festival del Cinema di Roma il film di Pasquale Scimeca si è aggiudicato due premi. “Biagio” è il lungometraggio che va visto da tutti,: è un film vero, autentico che racconta la vita di un borghese siciliano che a un certo punto, proprio come il San Francesco d’Assisi, si spoglia di tutto e va in ritiro sulle montagne. Biagio conte, missionario, dedica la sua vita agli altri e fonda a Palermo, il centro per i poveri Missione e Speranza. Marcello Mazzarella interpreta Biagio, attore in Placido Rizzotto nel film Gli indesiderabili. Scimeca ha dunque meritato i premi per la bellezza e per la semplicità con cui ha raccontato il cammino di Biagio.
Al Festival di Roma il suo film “Biagio” qualcuno lo ha già definito un film “in punta di piedi”: perché?
“In punta di piedi, forse perchè sono stato attento a non fare di Biagio un santino agiografico. Trattare temi che hanno a che fare con la ricerca spirituale insita nell’animo umano no è mai facile e c’è sempre il rischio di cadere nella retorica o nell’enfasi. L’arte in generale e il linguaggio cinematografico in particolare, si esprimono essenzialmente per simboli. E i simboli vanno trattati con delicatezza”.
Biagio Conte e i suoi poveri: un Francesco moderno?
“Il cammino di Biagio ha molti punti in comune con quello di San Francesco. Non solo per la sua scelta radicale e rivoluzionaria di dedicare la sua vita ai poveri. Ma anche perchè tutte e due contengono un moto pacifista di protesta nei confronti del sistema economico e culturale del proprio tempo. Rompono gli schemi e si fanno portatori di una nuova idea del mondo. E non lo fanno con le parole ma con l’esempio di una vita coerente con la parola del Cristo”.
Com’è stato raccontarlo?
“Facile e complicato nello stesso tempo. Ma, veramente, stare vicino a Biagio ti cambia la vita. Anche a uno come me che non ha ancora ricevuto il dono della fede. Biagio, per quanto mi riguarda è l’uomo nuovo del terzo millennio. Ma questo concetto è un pò complicato da spiegare in poche righe, perchè attiene a problematiche filosofiche e teologiche più complesse”.
Lei dice…”facciamo film per noi stessi o per gli altri”?
“Un film nasce in primo luogo nel tuo cuore e nella tua mente. E nello stesso modo con cui si formano i pensieri, poi c’è il bisogno di esprimerli a parole e con frasi compiute che devono arrivare chi vede, a chi ascolta. Per me fare un film significa iniziare un discorso con le persone che poi andranno a vederlo. Senza di loro e come parlare al vento, ecco il senso che io intendo quando dico “per chi li facciamo noi i film?”
La Sicilia è l’estrema punta del Sud sommerso da una crisi senza precedenti: potrà risollevarsi e come?
“Come è sempre successo nella storia (non importa se di un singolo uomo o di una società) quando si raggiunge il fondo dell’abisso, non resta altro che il desiderio di rialzarsi e iniziare la risalita (non importa quanto dolore e sofferenza potranno provocare)”.
La semplicità di Biagio, gli ultimi, Giovanni Falcone: due film, due storie. Cosa racconterebbe ancora della Sicilia?
“Non lo so. Spesso succede che sono i film che vengono a noi, quanto meno li cerchiamo, perchè hanno il bisogno di “vedere la luce”.