Mentre i videogiocatori occidentali non sembrano gradire questa idea, le loro controparti cinesi sembrano interessate a valutare un pagamento in denaro per ottenere un vantaggio nei giochi. Insomma, forse in Italia coloro che vorrebbero pagare per poter vincere più facilmente a un videogioco non saranno poi tanti, ma in Cina la pratica è considerata come perfettamente accettabile, e le società di videogiochi non potranno che assumere dovuto atto di questa differenza.
Si tratta, d’altronde, di elementi culturali che influenzano il modo in cui le aziende possono fare soldi all’interno di un’industria sempre più competitiva, e sempre più redditizia. E che secondo quanto ribadisce Tom Wijman, consulente della società di ricerche di mercato Newzoo, andrà a determinare anche le prossime politiche operative delle compagnie operanti in questo settore.
In particolare, notando che la pratica del “pay-to-win” nei videogiochi è “generalmente non accettata dai giocatori occidentali”, Wijman ha contrapposto questo a quanti in Cina accettano i giochi che vendono “premi” o rendono semplicemente la vita più facile in cambio di un pagamento. Insomma, i giocatori occidentali sembrano preferire una visione opposta, quale quella ad esempio offerta dai Casino aams con bonus senza deposito, che concedono dei crediti gratuitamente.
Diverse visioni
La differenza nell’atteggiamento dei giocatori nei confronti di tali pratiche potrebbe derivare da una differenza nelle norme culturali che si sono sviluppate a seguito dei percorsi intrapresi dai mercati del gaming nei vari Paesi.
In particolar modo, i mercati dell’Est (fa tuttavia eccezione il Giappone) e quelli dell’Ovest, sono partiti da punti molto diversi, con varie legislazioni e eterogeneità nei poteri d’acquisto che hanno giocato un ruolo fondamentale nel settore dei giochi.
Qualche esempio? I primi anni del gaming occidentale furono contraddistinti da alcuni momenti spartiacque, come quello coincidente con la creazione di Pong, di Atari, nel 1972 e il rilascio successivo di Space Invaders sulla sua console 2600. Quei titoli hanno avuto il merito di inaugurare una nuova era di videogiochi domestici ma… non in tutto il mondo.
In Asia, ad esempio, in alcuni mercati le console di gioco non erano nemmeno legalmente riconosciute dallo Stato e erano disponibili solo sul mercato nero, come è successo in Cina dal 2000 al 2013 – ricorda Lisa Cosmas Hanson, managing partner di Niko Partners. Quando il divieto è stato ufficialmente revocato nel 2015, il prezzo è però diventato troppo alto per molti consumatori cinesi, e non molti titoli AAA – cioè, i giochi di maggiore successo – sono stati rilasciati in questo importante Paese.
Insomma, invece di giocare a console domestiche con grandi franchise come “Sonic” o “Mario“, molti videogiocatori preferivano andare nei locali dove erano a disposizione diversi computer. “Nei mercati asiatici come la Corea del Sud e la Cina, il modello di consumo tradizionale è stato principalmente orientato verso il PC e, almeno originariamente, il tempo di gioco era impiegato principalmente negli internet cafe”, ha dichiarato Piers Harding-Rolls, direttore e responsabile della ricerca giochi di IHS Markit.
Dal momento che molti dei consumatori di quei mercati erano abituati a pagare costi ricorrenti per il gioco (quelli dell’utilizzo dei dispositivi nei locali comuni), hanno migrato questa abitudine, in gran parte, ai giochi gratuiti con micro transazioni, quali quelli oggi ampiamente disponibili online. Le micro transazioni sono delle vendite in-game da regolarsi con denaro reale in cambio di funzionalità aggiuntive come abilità potenziate, personaggi o contenuti di maggiore qualità.
Al contrario, ha detto, nei mercati come quelli di Stati Uniti, Europa occidentale e Giappone, il ricorso è quello a un modello di business di natura più mista, con le micro transazioni che stanno gradualmente guadagnando terreno, ma molto meno che altrove.
Micro transazioni sotto i riflettori
Come noto a tutti i videogiocatori che ne hanno fatto già uso, le transazioni micro dei videogiochi sono cresciute in modo prominente, attirando tuttavia anche numerose critiche.
In particolare, la situazione è “esplosa” nel 2017, quando due dei titoli di videogame più attesi dell’anno, “Star Wars Battlefront II” di Electronic Arts e “La Terra di Mezzo: L’ombra della guerra” di Warner Bros, hanno introdotto micro transazioni in cambio di denaro, innescando l’emersione di “una caratteristica volontaria in alcuni videogiochi, che forniscono ai giocatori un altro modo per ottenere oggetti virtuali che possono essere utilizzati per migliorare le loro esperienze di gioco”.
Il contraccolpo derivante è stato talmente forte che EA ha visto 3,1 miliardi di dollari del suo valore azionario venir spazzato via sul mercato azionario meno di due settimane dopo il lancio di “Battlefront II”. La pressione è stata abbastanza forte da indurre l’azienda ad annunciare modifiche al gioco. Alcune settimane dopo, la Warner Bros. dichiarò che stava rimuovendo le micro transazioni dal suo blockbuster, ammettendo che l’opzione rischiava di indebolire il fulcro del gioco.
Nonostante il clamore, tuttavia, le micro transazioni restano comuni nell’odierno settore dei videogiochi. In Cina, il più grande mercato mondiale per il settore, hanno ad esempio rappresentato l’88% della spesa per giochi per PC nel 2016, secondo un rapporto di IHS Markit.