Omicidio per omissione. Sarebbe questa l’ipotesi di reato su cui la Procura di Bologna avrebbe deciso di riaprire l’inchiesta contro ignoti sui presunti comportamenti di funzionari di Stato nel momento in cui fu revocata la scorta al giuslavorista Marco Biagi, poi ucciso a Bologna dalle Brigate Rosse il 19 marzo 2002. L’inchiesta avrebbe preso nuovo vigore anche dai documenti sequestrati all’ex ministro Claudio Scajola nell’ambito dell’inchiesta che lo ha portato in carcere per i suoi rapporti con l’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena. Tra le carte entrate in possesso dei magistrati bolognesi ci sarebbe infatti anche una lettera di un politico vicino al giuslavorista spedita a Scajola, allora ministro dell’Interno, in cui si spiegava la serietà del pericolo per Biagi, che di lì a qualche giorno sarebbe stato assassinato dai terroristi. Una lettera che sarebbe stata sicuramente visionata dall’ex ministro Scajola, mentre quest’ultimo sostenne all’epoca di non essere al corrente dei gravi rischi per Biagi.
Scajola peraltro fu costretto alle dimissioni dal Viminale dopo una sua affermazione, raccolta da un giornalista a tre mesi dall’omicidio del giuslavorista, in cui definiva Biagi un ‘rompicoglioni”. Le indagini sulla revoca della scorta sono state riaperte da Antonello Gustapane, lo stesso magistrato che nel 2003 aveva invece chiesto l’archiviazione dall’accusa di cooperazione colposa in omicidio per l’allora direttore dell’Ucigos, Carlo De Stefano, il suo vice Stefano Berrettoni, il questore Romano Argenio e il prefetto Sergio Iovino. All’epoca il gip che archiviò l’inchiesta parlò di “una serie di errori sia a livello centrale che periferico per la scelta di revocare al protezione a Biagi ma stabilì che non avevano rilievo penale”. Va sottolineato che l’omicidio per omissione è un reato che tuttora perseguibile nonostante siano passati oltre 12 anni dalla morte del giuslavorista.