di Nunzia Di Maria, Presidente Associazione “Matematici per la città” di Napoli
La scuola sta vivendo negli ultimi anni e in maniera evidente negli ultimi mesi un periodo di grande difficoltà: il corpo insegnante è diviso, spaccato al suo interno in maniera netta e profonda. Inutile tergiversare, in base a questa presa di coscienza è necessaria una riflessione interna che induca a pensare e praticare una via di uscita dallo stallo educativo completo e aggravato al tempo del Covid. Negli ultimi anni, riviste, pubblicazioni, docenti, educatori, denunciano una Scuola che sta perdendo il proprio ruolo sociale, una scuola che sta venendo meno alla propria funzione di ridurre le differenze, riuscendo, in molti casi, solo a certificarle.
SCENARIO DINAMICO
Cosa è successo alla scuola? Perché questa Istituzione fondativa della Repubblica non riesce ad avere più un ruolo formativo cruciale nella costruzione del futuro?
Certamente si possono mettere in campo alcuni spunti e riflessioni.
Le strutture e le infrastrutture socio-economiche sono cambiate rapidamente e in maniera complessa; in questo scenario dinamico, dalle caratteristiche tipiche del multi-tasking, la Scuola non ha interpretato e tantomeno gestito questo nuovo presente, limitandosi e affannandosi, tra una riforma e l’altra, tra una circolare ministeriale e l’altra, a riproporre stanchi e ritriti approcci che si sono mostrati inadeguati in termini di proposta didattica e stimoli educativi.
Moratti, Gelmini, Fioroni, Fedeli con le riforme degli ultimi 20 anni non hanno messo al centro la necessità di inserire ore obbligatorie e importanti di group meeting, aggiornamenti formativi, briefing sul lavoro da intraprendere, momenti per riflettere e relazionare sulle attività svolte in classe e sulle situazioni che si creano nelle dinamiche di gruppo; non sono nemmeno previsti nell’orario di lavoro obbligatorio momenti per programmare attività condivise tra gli insegnanti di diverse discipline. Prevedere situazioni cooperative in cui ogni insegnante si relazioni alla comunità educante sul lavoro svolto, confrontandosi con tutto il corpo docente. Soltanto dal confronto si possono superare le difficoltà, ritrovare le motivazioni che molti docenti hanno perso, basti guardare il loro volto e soprattutto quello degli studenti alla fine delle lezioni. Avere il tempo per strutturare verifiche serie e non dover ricorrere, anche involontariamente, ad un copia e incolla delle precedenti solo perché tutto deve essere fatto nei ritagli di tempo, per giunta a casa, interferendo con dinamiche familiari non certo ancora esenti da questioni di genere.
Rendere il lavoro dell’insegnamento esattamente quello che dovrebbe rappresentare nella società attuale dei sistemi complessi e interdipendenti: una professione fondamentale per la struttura e la crescita del tessuto sociale e culturale di un Paese.
Un osservatore distratto e poco addentrato nelle questioni del mondo scolastico potrebbe essere indotto a pensare che queste ore siano già previste a Scuola: riunioni di Dipartimento, Consigli di classe, Collegio docenti…ma non è così. Nella pratica scolastica quotidiana, le ore previste non sono sufficienti e tali strumenti di autonomia e democrazia scolastica si riducono ad essere adempimenti burocratici privi di un confronto serio e costruttivo.
È fondamentale prevedere e riconoscere delle ore settimanali fuori dall’aula necessarie a rientrare in aula con maggiore consapevolezza.
Ma a chi interessa la qualità dell’istruzione in questo Paese?
Esiste una forza politica o sociale attenta non solo alle questioni economiche e burocratiche che si affrontano a Scuola?
In primis è arrivato il momento di scorporare e rimettere nella giusta scala di priorità le questioni di amministrazione scolastica e le necessità relative alla formazione e il progresso della capacità critica dei discenti. Non è più possibile sub-ordinare le seconde alle prime. La scuola deve mettere gli insegnanti in condizione di poter svolgere il proprio lavoro, non dovendosi occupare esclusivamente di adempimenti burocratici o rinunciare a progetti formativi per scarsità di fondi, ma dando loro il tempo di impegnarsi a fondo nell’impostazione pedagogica del percorso educativo scelto per i loro ragazzi e ragazze.
DIVISIONI INSANABILI
Nella scuola si sono create divisioni insanabili tra chi la vive in maniera profonda e chi la vive in maniera superficiale, tra chi la vive con trasporto e chi la vive con grande distacco, tra chi ne avverte la responsabilità sociale e chi non si sente parte del suo degrado culturale, tra chi si aggiorna costantemente e chi è rimasto ad una retorica volontà di affermare, ancora oggi, i dettami e i rigori sterili della riforma Gentile, tra chi vuole realizzare una Scuola democratica e aperta a tutte e a tutti e chi invece intimamente, ma non pubblicamente, vuole continuare ad allargare la forbice sociale che invece la Scuola dovrebbe ridurre.
Non si tratta di sfumature, di differenze capaci di generare armonia: questi diversi approcci rappresentano vere e proprie rotture metodologiche, spaccature politiche che generano disorientamento e abbandono tanto nella società quanto nei discenti.
È necessario pensare e praticare una via di uscita.
Un insegnante che ha verificato sul campo, attraverso il confronto con le classi, con i colleghi, con se stesso e la responsabilità di cui si è investiti, di non essere più interessato o non di poter più essere in condizione di praticare il ruolo di docente, deve poter avere una via di uscita, deve avere la possibilità e le tutele economiche per decidere di non volere essere più “abitante”, parte della comunità educante della Scuola.
La retorica e la distorsione concettuale del “posto fisso” nella scuola può creare dipendenze e routine devastanti.
Non sono in gioco la tutela del lavoro, i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, le intoccabili conquiste della Costituzione e dello Statuto dei Lavoratori, fin troppo massacrato dalle politiche economiche dal 94 in poi, è in gioco una visione futura di Scuola, una visione futura di società. Non si può restare a Scuola solo per il salario, è necessario un mondo del lavoro dinamico e con diritti e tutele adeguate, per dare agli studenti un corpo insegnante che faccia questo lavoro per passione e per scelta, non per ripiego o per questioni digenere.